Pillola Ru486, la circolare del Piemonte contro la linea del governo: «Aborto farmacologico solo negli ospedali»

di Giada Ferraglioni

Dopo l’Umbria, anche il Piemonte fa partire l’offensiva contro le linee guida sull’aborto farmacologico. Cresce la protesta: obbligare le donne a un’ospedalizzazione di giorni scoraggia molte di loro a praticare questo metodo meno invasivo e più economico di quello chirurgico

La giunta regionale del Piemonte, guidata dal governatore di centrodestra Alberto Cirio, ha emanato una circolare che obbliga al ricovero ospedaliero le donne che vorranno sottoporsi ad aborto farmacologico tramite la pillola Ru846. Tra i fautori del provvedimento c’è l’assessore Maurizio Marrone, esponente di Forza Italia, che da tempo lavorava affinché la Regione si schierasse contro le nuove linee guida nazionali.


«In Piemonte l’aborto farmacologico si potrà effettuare solo negli ospedali», si legge nel testo inviato alle struttture ospedaliere e alle aziende sanitarie territoriali. Il 13 agosto il ministro della Salute Roberto Speranza aveva varato nuove linee guida per consentire la pratica libera anche negli ambulatori, estendendo anche il periodo per l’utilizzo fino a 9 settimane.


L’offensiva del Piemonte – che colpisce in primis i diritti delle donne, in un contesto già difficile di obiettori di coscienza – va quindi a smorzare la scelta del governo, che ha puntato sull’aborto farmacologico come alternativa a quello chirurgico. Come affermano anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e dal Consiglio superiore di Sanità, si tratta di una pratica meno rischiosa e più efficace a garantire la libertà di scelta sull’interruzione di gravidanza.

Con l’entrata in vigore dell’ordinanza, ogni medico e ginecologo potrà decidere in autonomia se predisporre il day hospital – come stabilito dal governo – o se sottoporre la donna a ricovero, «tenendo in considerazione le condizioni fisiche e psicologiche di chi richiede l’aborto».

Una decisione più netta era stata presa in Umbria, Regione a guida leghista, dove il 10 giugno la presidente Donatella Tesei ha ristabilito il ricovero obbligatorio di 3 giorni. Le proteste si erano fatte subito sentire: obbligare le donne a un’ospedalizzazione di giorni scoraggia molte di loro a praticare questo metodo di interruzione di gravidanza, invece molto più sicuro, economico e meno invasivo di quello chirurgico.

Immagine di copertina: Ansa/Gianluigi Basilietti | Una protesta contro la delibera della Regione Umbria che ha introdotto tre giorni di ricovero in ospedale per le donne che ricorrono all’aborto farmacologico, Perugia, 25 giugno 2020

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