Il governo ha sempre seguito le indicazioni degli scienziati? I vuoti di memoria del presidente Conte

di Sara Menafra

Nel suo intervento a Montecitorio il premier ha evidentemente dimenticato le affermazioni tranquillizzanti degli ultimi mesi

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto oggi alla Camera e ci aspettiamo ripeta al Senato una frase che avrebbe dovuto essere tranquillizzante: «Non abbiamo mai affermato di essere fuori dal pericolo e da una condizione di necessaria allerta». Affiancata ad un secondo concetto, secondo cui le attuale restrizioni seguono le indicazioni scientifiche sull’epidemia da Coronavirus che sono sempre state rispettate tanto che ora siamo costretti a chiudere molte attività perché nello schema elaborato dall’Istituto superiore di sanità ci troviamo nello scenario 3, in una scala da 0 a 4.


Menomale, verrebbe da dire subito, seguendo il filo del suo ragionamento. Il punto, però, è che non è vero. Nei mesi precedenti all’attuale nuova ondata le scelte della politica non sono state semplicemente sottoposte al volere della scienza. Anzi. Per tutta l’estate abbiamo assistito ad estenuanti trattative con gli scienziati – anche, e in qualche caso soprattutto, quelli inseriti dal governo nel comitato tecnico scientifico – che chiedevano interventi più stringenti ed evidenziavano le priorità più allarmanti e la politica che tirava nell’altra direzione, con l’obiettivo di non rallentare troppo l’economia e, più in generale, creare meno disagi possibili ai cittadini.


A volte per andare ragionevolmente incontro alle loro esigenze a volte – è forse il caso di ammetterlo almeno ora – per quella costante ricerca del consenso che è poi la chiave che contraddistingue la politica italiana nazionale e locale di questa fase storica. E’ andata così nella trattativa sul quanto riempire il trasporto pubblico locale: prima si è parlato del 70%, poi il Cts si è letteralmente piegato ad approvare l’80%.

Oggi però chiunque di noi guarda i concittadini con terrore quando sale a bordo di un autobus o vagone di metropolitana che sia pieno almeno più della metà, come era ovvio che sarebbe accaduto fin da questa estate, e tutte le simulazioni dicono che rimanere a stretto contatto con un malato, anche asintomatico, anche con la mascherina, per più di quindici minuti senza che lo spazio sia areato porta al contagio con probabilità altissima.

Ancora oggi, in una intervista al Corriere della Sera, il coordinatore del Cts Agostino Miozzo ha ricordato: «Dal 18 aprile chiediamo di applicare ogni misura per ridurre i picchi di utilizzo del trasporto pubblico. I verbali dimostrano che lo abbiamo scritto per ben 20 volte sollecitando, a più riprese, un nuovo concetto di mobilità».

E’ andata allo stesso modo anche quando si è parlato del distanziamento tra i banchi nelle classi scolastiche e quando si è esclusa la necessità della turnazione: prima un metro e mezzo di distanza “da bocca a bocca”, poi un metro, alla fine una valutazione di massima ma senza metratura tassativa. E le mascherine al banco? Prima sì, alla fine no finché si sta seduti. Oggi molte scuole sono chiuse per qualche contagio e alcune regioni hanno pensato bene di chiudere tutto d’imperio, lasciando studenti e genitori sgomenti e senza un indirizzo chiaro o tempi certi.

Nel frattempo, ancora all’epoca del Dpcm di dieci giorni fa, quello del 18 ottobre, il presidente del Consiglio assicurava che avevamo tutti gli strumenti per tenere le scuole aperte in sicurezza. Per non parlare di quando, a luglio, le sue dichiarazioni erano molto spesso di questo tenore: «Con il piano di controllo territorialmente articolato siamo in condizione di affrontare con relativa tranquillità anche i prossimi mesi». Allora è vero, Conte non ci ha mai detto che eravamo fuori pericolo, ma non è forse altrettanto vero che lui ed altri hanno nutrito in tutti noi la convinzione che col virus si potesse venire a patti, in ragione di superiori esigenze politiche?

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