Coronavirus, nella corsa dei Paesi ricchi per il vaccino non dimentichiamo la trasparenza

Il rischio è quello di una gara ad accaparrarsi quante più dosi possibili. E a cui potrebbero partecipare i soli paesi ricchi, escludendo il 60% della popolazione mondiale

Finora sono stati investiti più di 12 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, sperimentazione e produzione di 6 possibili vaccini per il Covid-19 sviluppati da AstraZeneca/Oxford University (oltre 1,7 miliardi di dollari), Johnson&Johnson/BiologicalE (1,5 miliardi di dollari), Pfizer/BioNTech (2,5 miliardi di dollari), GlaxoSmithKline/Sanofi Pasteur (2,1 miliardi di dollari), Novavax/Serum Institute of India (quasi 2 miliardi di dollari) e Moderna/Lonza (2,48 miliardi di dollari). Questi 6 vaccini, largamente finanziati da fondi pubblici grazie al contributo di vari governi, sono in avanzata fase di sviluppo e probabilmente saranno disponibili dai primi mesi del prossimo anno. 


Gli accordi

Stella Egidi, Coordinatrice medica MSF 

A oggi, se sappiamo che accordi sono in corso tra le aziende produttrici e molti paesi che già si aggiudicano il diritto alle prime dosi che verranno prodotte, poco o nulla è noto rispetto alle condizioni stabilite da questi accordi. L’assoluta mancanza di trasparenza da parte delle aziende farmaceutiche è una grave limitazione del diritto di ciascuno di noi a beneficiare a condizioni eque di uno strumento essenziale di lotta all’epidemia, peraltro in larga parte finanziato con soldi pubblici. In questo momento critico per la salute della popolazione mondiale, gli stati devono prendersi la responsabilità per i miliardi di dollari versati per la ricerca contro il Covid-19 e richiedere a chi li produrrà che siano resi pubblici tutti gli accordi, oltre ai dati degli studi.  


Soprattutto di fronte a una emergenza di proporzioni mondiali come quella in corso, è inaccettabile che si privilegi il profitto a discapito degli interessi di salute pubblica, ma il settore farmaceutico non sembra pensarla nello stesso modo, impedendo l’accesso pubblico a informazioni cruciali: dagli accordi per la concessione di brevetti alla condivisione della tecnologia, dai costi di ricerca e sviluppo ai dati sulla sperimentazione di un farmaco. E le poche informazioni disponibili, per esempio sull’accordo AstraZeneca-Università di Oxford, in base alle quali si ipotizza che l’azienda caricherà sul prezzo finale un 20% in più rispetto agli effettivi costi di produzione, sono un segnale preoccupante che dimostra quanto le case farmaceutiche non siano intenzionate ad agire nell’interesse della salute pubblica.   

Vaccino bene pubblico?

EPA/KIM LUDBROOK | Una protesta alla Wits University contro l’inizio della sperimentazione di un candidato vaccino contro il Coronavirus a Johannesburg, Sudafrica, 1 luglio 2020.

Nonostante le rassicurazioni dei capi di Stato sul fatto che qualsiasi vaccino per il Covid-19 sarà trattato come un bene pubblico, non possiamo affidarci alla speranza che l’industria agisca nell’interesse dei pazienti, nemmeno in tempi così difficili. Per garantire la tutela della salute delle popolazioni, gli stati dovrebbero fare ampio ricorso agli strumenti previsti dagli accordi commerciali internazionali, quali per esempio le licenze obbligatorie, che permettono in caso di gravi emergenze nazionali di salute pubblica, di impedire la registrazione di un prodotto – dietro pagamento di una royalty- e di concedere l’uso a soggetti terzi, garantendo in questo caso l’accesso al vaccino a condizioni più eque.

Sebbene diversi paesi, tra cui Germania e Cile, si siano nei mesi passati espressi a favore, finora solo India e Sud Africa hanno intrapreso iniziative concrete per ottenere l’autorizzazione alle licenze obbligatorie. Se il ricorso alle licenze obbligatorie fosse adottato da più Stati, il potere contrattuale delle case farmaceutiche si ridurrebbe e sarebbe allora possibile garantire un maggiore accesso ai vaccini a prezzi più equi, permettendo alla larga fetta di popolazione mondiale, per ora esclusa dagli accordi in corso, di avere accesso a ciò che è da considerarsi come un bene di salute pubblica.

Per tale ragione, Medici Senza Frontiere si rivolge ancora una volta ai governi affinché, con azioni decisive, pretendano condizioni negoziali eque dalle aziende farmaceutiche e non esitino ad utilizzare tutti gli strumenti disponibili a tutela della salute dei propri cittadini. In caso contrario, si rischia una gara ad accaparrarsi quante più dosi possibili; gara i cui soli concorrenti sarebbero i paesi ricchi, e da cui rimarrebbe escluso il 60% della popolazione mondiale. 

*Stella Egidi è Coordinatrice medica MSF 

In copertina EPA/Siphiwe Sibeko | Uno dei primi volontari in Sudafrica per testare un candidato vaccino contro Covid-19 a Soweto, 24 giugno 2020

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