Maradona e il ricordo di Zoff, Gentile, Cabrini e Tardelli: «Noi che ai Mondiali dell’82 giocammo contro il Dio del calcio, e quel giorno lo battemmo» – Le interviste

I quattro moschettieri Azzurri Dino Zoff, Claudio Gentile, Antonio Cabrini e Marco Tardelli raccontano a Open cosa significò quella vittoria sudata contro «il giocatore più forte di sempre»

Nel 1982, in Spagna, la Nazionale italiana guidata da Bearzot affronta l’Argentina di César Luis Menotti. Quella partita – finita 2-1 per noi -, insieme al match successivo contro il Brasile – 3-2 sempre per noi – e alla finale giocata contro la Germania, rappresentano di fatto gli incontri più celebri, più appassionanti e più sentiti di quel mondiale (e probabilmente, non solo). Quattro dei moschettieri italiani che hanno incrociato sul campo sia in Nazionale che nel campionato italiano Diego Maradona, scomparso ieri – 25 novembre -, ricordano El Pibe de Oro, giocatore e uomo. Sono Dino Zoff, Claudio Gentile, Antonio Cabrini e Marco Tardelli. Per tutti, aver battuto l’Argentina di Maradona resta il punto più alto della loro carriera. Le sfide, dopo il mondiale vinto in Spagna, continuarono in Italia. Non tutti, però, incontreranno ancora l’osso duro argentino sulla propria strada. E noi abbiamo chiesto ad ognuno un ricordo del Diego.


I gol di Tardelli e Cabrini in Italia – Argentina 2-1, Stadio Sarrià di Barcellona, 29 giugno 1982


Dino Zoff

ANSA/ALESSANDRO DI MEO | Dino Zoff

«Ero invidioso, in senso buono, di Maradona. Ma lo ero soprattutto dei miei compagni di squadra. Partiamo da un fatto, e cioè che Maradona è il calcio. Come lui non c’è nessuno, non c’è mai stato. Lui era il calcio-spettacolo, era un artista inarrivabile. Per questo dico che da portiere l’ho sempre invidiato. Perché i giocatori creano, i portieri no. Lui ha fatto il calcio mondiale. Quello che è stato fuori dal campo non è sempre coinciso con quello che era quando indossava la divisa da giocatore. Ma gli artisti sono artisti, e non sarò io a giudicare. Al mondiale dell’82 Maradona era l’avversario con la “a” maiuscola. Le paure della squadra erano quasi tutte per lui. Quello che ho apprezzato di più è che aveva rispetto per l’avversario, non ha mai approfittato di quello che era, del nome. Da sportivo quale sono ho preso molto male la notizia della sua scomparsa, quando se ne va uno dei più grandi, se non il più grande, è un dispiacere immenso».

Claudio Gentile

ANSA/CARLO FERRARO | Claudio Gentile

«A Italia-Argentina, nel 1982, lo marcavo io. Per come è andato il mondiale è stata una grande soddisfazione. Nei giorni precedenti, è stato un incubo. Bearzot, il nostro allenatore, tre giorni prima della partita mi prende da parte e mi fa: “Tocca a te stare addosso a lui”. Parlava di Maradona. Mi ha preso di sorpresa, mai avrei pensato desse a me quel compito, non era in programma. Mi ricordo che andai a cercare le videocassette di tutte le partite giocate da Maradona. Le studiavo per cercare di capire la sua tecnica, per trovare i punti deboli, semmai ne avesse avuti. Le notti seguenti avevo gli incubi, sentivo la pressione, la responsabilità era tanta. E soprattutto l’Argentina era campione in carica e lui era la ciliegina. La vigilia della partita non è stata serena. Sceso in campo, ho cercato di impedirgli avere gioco. Con Maradona c’era poco da fare, se ti giravi un attimo, te lo perdevi – basta pensare che nell’86 è partito da metà campo e ha scartato 6 giocatori in pochi secondi. Ho cercato di renderlo inoffensivo e ci sono riuscito. A fine partita era talmente deluso, che si è rifiutato di scambiare le nostre maglie, cosa che accade puntualmente tra giocatori alla fine di una partita. Quando è venuto in Italia, io giocavo nella Fiorentina: non ci siamo mai più incontrati. Per me, in ambito calcistico, è ancora il numero uno al mondo».

Antonio Cabrini

ANSA/ALESSANDRO DI MARCO | Antonio Cabrini

«La prima volta che ho saputo di un ragazzo di nome Maradona era il ’78 quando sono stato in Argentina per i mondiali. Ho visto questo ragazzetto giovanissimo in campo, famoso anche se non era stato convocato dalla nazionale, ed era già chiaro a tutti che fosse un astro nascente del calcio. Il suo gioco? Fuori dalla logica del calcio naturale. Poi sono arrivati i mondiali dell’82, entrati nell’immaginario collettivo anche per quella partita, non solo per la vittoria della Nazionale italiana. E ai mondiali tutti lo conoscevano, anche perché, ricordiamolo, era il giocatore di una squadra avversaria, l’Argentina, ma soprattutto di una delle squadre più forti al mondo. Non c’era bisogno del fischio d’inizio in campo per capire che fosse lui la punta di di diamante. E dovevi sacrificare un uomo per marcarlo. Quella è stata una partita dove ci fu una grande prestazione di Gentile che si applicò al 100% per marcare Maradona. E Diego era immarcabile: o gli stavi addosso o non lo prendevi più. Questo lo sapevamo, lo sapeva Bearzot. C’era bisogno di dedicarsi a lui per l’intera partita, così da ridurre al massimo il rischio che potesse prendere palla. Il confronto con Pelé? Sono stati indubbiamente i due più grandi giocatori di tutti i tempi, non si possono paragonare perché le giocate erano diverse. Erano avanti rispetto a tutti. Mi dispiace ci abbia lasciati, così giovane, poi».

Marco Tardelli

ANSA / MATTEO BAZZI | Marco Tardelli

«Ho preso molto male la notizia della sua morte, non riesco ancora a crederci. Maradona ha fatto vedere cose incredibili al mondo. Il calcio, il modo di pensarlo e di giocarlo sono cambiati con e grazie a lui. Per non parlare di quando è veramente esploso, sotto al Vesuvio. Insomma, quando ha cominciato a giocare col Napoli. Per quella città lui ha rappresentato qualcosa di irripetibile e incredibile. Aveva una personalità in campo impossibile da replicare. Ai mondiali dell’82 è stato il nostro incubo, letteralmente. Insieme a Pelé hanno fatto la storia. Due grandissimi ineguagliabili».

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