Coronavirus, i numeri in chiaro. Il virologo Pregliasco: «Le nuove restrizioni serviranno a gestire meglio la campagna di vaccinazione»

di Maria Pia Mazza

«Il meccanismo delle zone rosse è un tentativo italiano di mitigare l’effetto del lockdown e, in un qualche modo, risulta funzionare e contenere i contagi», spiega a Open il virologo e direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano

Il bilancio dell’ultimo bollettino del ministero della Salute e pubblicati dalla Protezione Civile vede +16.146 nuovi casi e 477 decessi per Covid nelle ultime 24 ore. Cresce il numero di tamponi che sale dai 160.585 processati ieri ai 273.506 odierni. Ma, in tal senso, c’è una novità: da oggi vengono conteggiati anche i test antigenici rapidi (che sono 116.859) e non solo quelli molecolari. Sale il numero dei guariti, che raggiunge quota 1.713.030 sin dall’inizio dell’emergenza e si è superato il milione di dosi di vaccino anti-Covid somministrate: 1.002.044, per la precisione. «E questa è davvero una buona notizia perché solo il vaccino può permetterci di difenderci dal virus, ma anche di far ripartire l’economia», spiega a Open il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano e presidente dell’Anpas.


Professor Pregliasco, cosa ci dicono i dati odierni? 


«I dati di oggi restituiscono una situazione pressoché stazionaria, ma presentano delle difficoltà nell’interpretazione perché sono stati aggiunti i test rapidi. Quindi dal punto di vista formale c’è una forte riduzione del tasso di positività, che però al momento non è un parametro molto rappresentativo né interpretabile rispetto ai dati dei giorni scorsi».

Diminuiscono decessi e ingressi ospedalieri, ma la pressione sugli ospedali è ancora alta e preoccupa, no?

«Sì, si conferma una riduzione dei decessi e questo è un aspetto, seppur nella sua drammaticità, positivo, perché indica che l’incremento della curva dei decessi che si era registrato nei giorni scorsi forse si sta fermando e che questa terza andata potrebbe trasformarsi solo in una piccola onda e non in un’ondata vera e propria. Anche i dati sulle terapie intensive sono discretamente buoni: non si è registrato un incremento massivo, cosa che ci preoccupava (e continua a preoccuparci), anche perché chi finisce in terapia intensiva, ancora oggi, ha una probabilità di avere esiti infausti con percentuali piuttosto elevate».

L’inclusione dei test antigenici ha però scombussolato un po’ i tassi di positività, no?

«I test rapidi servono comunque, perché più positivi troviamo in questo momento e più riusciamo a tenere i contagi sotto controllo: questa è una novità importante, ovviamente. Tuttavia, in un’ottica pratica, la comparabilità dei dati attuali con quelli del passato si viene a perdere, almeno per qualche tempo. Poi c’è da tenere anche in considerazione una quota di falsi negativi che non si riesce a rilevare con questa tipologia di test. Diciamo che il problema con i test antigenici sta per lo più nell’eventualità che possano restituire dei falsi negativi e, di conseguenza, su quella che può essere l’interpretazione da parte del paziente, che magari si sente libero e sereno, e invece rischia di veder peggiorare le proprie condizioni di salute e di contagiare gli altri».

Guardando a questa prima settimana post festività qual è la situazione? 

«Dopo i segnali più pessimistici della scorsa settimana, e che hanno portato poi a una riclassificazione nelle varie suddivisioni nelle zone rosse, arancioni e gialle, forse con la prossima elaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità si potrà vedere un allentamento delle misure. Il meccanismo delle zone rosse è un tentativo italiano di mitigare l’effetto del lockdown e, in un qualche modo, risulta funzionare e contenere i contagi. Ci sono regioni, come il Veneto, che son sempre rimaste gialle. E hanno un po’ pagato quel tipo di classificazione, perché la zona gialla rischia talvolta di dare una parziale sensazione di maggiore libertà, che può far assumere comportamenti sbagliati e quindi facilitare la diffusione del virus».

Dal 18 gennaio diverse regioni cambieranno colore e dovranno osservare nuove restrizioni. Che impatto potrebbero avere, se rispettate?

«Queste nuove restrizioni potrebbero servire in questa fase per governare meglio la campagna vaccinale e per riuscire a far calare i casi. Durante la seconda ondata abbiamo un po’ tardato a contenere la diffusione del virus, ma queste misure restrittive potrebbero farci ottenere risultati che porterebbero a non inficiare la campagna vaccinale, a ridurre la pressione sul servizio sanitario nazionale e di conseguenza darci dei risultati per cui potremmo stare un po’ più tranquilli del prossimo futuro».

L’idea delle 4 settimane di lockdown proposte da Andrea Crisanti, o comunque di almeno un ulteriore mese di misure più rigide a livello nazionale, potrebbe funzionare?

«Il lockdown generalizzato certamente porterebbe a una netta riduzione della circolazione del virus, ma lo escluderei. Ma è fondamentale da qui a fine febbraio che le restrizioni sussistano e si faccia massima attenzione. Questo non solo per la riduzione della pressione ospedaliera, ma anche per il buon andamento della campagna vaccinale, specialmente nel momento in cui si procederà con la vaccinazione massiva della popolazione. In tal caso se i casi positivi sono alti, ovviamente la vaccinazione rischia di andare a rilento».

Cosa ci possiamo aspettare dalla progressiva ripresa della didattica in presenza delle scuole superiori?

«Sarà la prossima scommessa. Vedremo nei prossimi 15 giorni cosa succederà. Se si va in questa direzione è possibile che si vedrà una continua ripresa della didattica in presenza. Insomma, in qualsiasi caso è meglio evitare di riaprire subito per richiudere immediatamente dopo, creando non solo eventuali contagi, ma anche confusione e stress sia per studenti, insegnanti e personale scolastico, sia per genitori e famiglie».

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