Intervista all’ex ministra per la Scuola, Lucia Azzolina: «Io, i banchi a rotelle, gli squali della politica. E le Regioni che hanno remato contro»

L’esponente M5s ha lasciato il posto a Patrizio Bianchi, l’uomo che lei stessa aveva messo a capo della task force dell’Istruzione composta per rispondere la pandemia. «Un tecnico? No, era stato indicato dal Pd»

Durante le ore in cui, alla Camera, si discute sulla fiducia al nuovo esecutivo Draghi, Lucia Azzolina vive con tribolazione questa fase politica. È preoccupata per la minaccia delle varianti Covid, la cui diffusione rischia di imporre una nuova serrata alle scuole, «per me resta l’ultima cosa a dover chiudere», e per la fase complicata che attraversano i 5 stelle, «le espulsioni sono una ferita per tutto il Movimento». Nel suo ruolo da deputata, l’ex ministra dell’Istruzione ha scelto di votare la fiducia alla squadra di Mario Draghi, «ma sia chiaro, questo non è il miglior governo possibile». Il suo pensiero, però, resta sempre rivolto al mondo scolastico: esorta il nuovo inquilino di viale Trastevere, Patrizio Bianchi, a «fare in fretta a decidere sulla maturità, perché gli studenti hanno bisogno di risposte».


Onorevole, ha fatto gli scatoloni dal ministero. Qual è il rammarico che porta via con sé?


«Il rammarico più grande è aver visto tanti, troppi squali della politica utilizzare la scuola come una preda. Qualcuno usa la scuola per costruirsi consenso, per me è sempre stata il luogo di formazione di eccellenza per i cittadini italiani, sia dal punto di vista didattico che delle relazioni umane. Avevano provato a dare la spallata al Conte II già questa estate, attaccandoci proprio sulla scuola, senza successo».

Non è stata solo la politica, però, ad avervi attaccati sui banchi a rotelle ad esempio. Non sono stati uno spreco?

«D’estate lavoravamo al metro di distanza, su indicazione del Cts. Gli scienziati ci dicevano: “Se volete aprire le scuole a settembre, dovete mettere i banchi a un metro di distanza”. Io me li ricordo i presidi che iniziavano a costruirsi i banchi monoposto da soli. Non sono soldi sprecati perché quegli investimenti in edilizia leggera e arredo scolastico resteranno anche quando la pandemia sarà finita. I banchi a rotelle, poi, sono usati nelle scuole all’avanguardia di tutta Europa». «Mentre noi investivamo per garantire il ritorno in sicurezza, c’era chi cercava di fare polemica su ogni cosa. Salvini andava a dire in giro che la mascherina in classe era una violenza, era questo il clima politico nel quale dovevamo lavorare. Tornando ai rammarichi, ecco: mi sarebbe piaciuto poter lavorare a progetti come la digitalizzazione del ministero, la lotta alla dispersione scolastica. Purtroppo è arrivata la pandemia che ha cambiato l’ordine delle priorità. Resto felicissima, comunque, del lavoro fatto».

Sono tanti gli studenti che, però, hanno manifestato contro il suo lavoro. Non è stata capita o pensa che sia nell’ordine delle cose che gli studenti delle superiori protestino?

«Non ho mai pensato che lo facessero semplicemente per un gioco delle parti. Per me è molto facile immedesimarmi negli studenti perché ho mantenuto sempre un filo diretto con i miei ex alunni. Non è facile da far passare questo messaggio: quando gli studenti manifestavano per andare a scuola, stavamo giocando la stessa partita. Stavano manifestando per un diritto che anch’io volevo garantire. La verità è che le scelte nell’ambito dell’istruzione, durante la pandemia, non dipendevano, ahimè, soltanto dal mondo scuola». «C’era un problema di tracciamento dei contagi, dei trasporti, che erano in capo, però, alle Regioni. Quei ragazzi stavano manifestando per il loro futuro. Certo, non nascondo che ho provato dispiacere quando sentivo i loro cori rivolti contro di me. Penso, tuttavia, che il loro malessere fosse rivolto all’intero sistema politico che non era in grado di garantire la sicurezza che avrebbero meritato fuori da scuola. E sottolineo la parola fuori».

Anche il suo ministero ha avuto delle falle, ad esempio sul monitoraggio dei cluster nelle scuole. Perché l’avete interrotto?

«Il monitoraggio del virus nelle scuole è stato interrotto solo per due settimane. Fermo restando che il monitoraggio dei contagi non è competenza del ministero dell’Istruzione. Lo dovevano fare le autorità sanitarie delle Regioni: noi abbiamo fatto una cosa in più, perché proprio dalle Regione non ci arrivavano le informazioni sufficienti. Il vero problema, però, è stato nel tracciamento». «Tutto, nelle prime settimane di apertura delle scuole, stava funzionando perché si era in grado di sottoporre a tampone tutta la classe appena si verificava una positività. Poi, i casi sono aumentati esponenzialmente in tutto il Paese e non è stato più possibile testare i ragazzi e gli insegnanti. Se non hai più tamponi, allora, sei costretto a mandare in quarantena intere classi e il mondo scolastico si inceppa».

Anche subito dopo l’estate, quando la diffusione del Coronavirus non era incalzante come nel mese di ottobre, non siete riusciti a garantire il ritorno in classe omogeneo in tutte le scuole.

«Quando in politica si dice una cosa, la parola data va mantenuta. Il calendario scolastico l’abbiamo stabilito a giugno insieme alle Regioni le quali, all’unanimità, aveva approvato il ritorno dei ragazzi in classe il 14 settembre. A un certo punto, soprattutto alcune Regioni del Sud, hanno deciso che era meglio aprire dopo le elezioni amministrative. Anche lì, la scuola era tornata a essere un mezzo per fare campagna elettorale. Le vere chiusure delle scuole superiori, ad eccezione della Campania, sono arrivate a inizio novembre». «La verità che soggiace a questa disomogeneità si trova nel titolo V della Costituzione: la governance sulla scuola è inefficace perché variegata. Ci sono troppi livelli istituzionali che entrano in conflitto. Io, da ministra, potevo dare un’indicazione rispetto all’apertura o alla chiusura, ma non avevo potere decisionale. Il 4 marzo 2020, ad esempio, fu Speranza a firmare l’ordinanza di chiusura». «Invece, un sindaco, un presidente di Regione, può decidere se aprire o chiudere un istituto. Più volte è successo che abbiamo firmato intese con le Regioni all’unanimità, l’ultima il 23 dicembre. Mi aspettavo che quanto scritto su quei fogli venisse rispettato. Invece, qualche giorno dopo, il livello nazionale, quello regionale, provinciale e comunale entravano in conflitto».

Sta proponendo una riforma di rango costituzionale per risolvere i problemi della scuola?

«Non è questo il momento. Adesso il pensiero è rivolto a come uscire dalla pandemia il prima possibile. Quando il clima nel Paese sarà più sereno, sarà necessario fare una riflessione sul titolo V della Costituzione. Il regionalismo delle disuguaglianze è deleterio: un bambino pugliese o campano non può essere trattato in maniera diversa da un bambino che vive in una Regione dove la scuola non si è mai fermata. Così facciamo un danno, amplifichiamo le disuguaglianze anziché appianarle, che poi è uno dei compiti più alti della scuola».

Nelle prossime ore il nuovo ministro, Bianchi, dovrà firmare l’ordinanza che definirà l’esame di maturità 2021. Come si dovrà svolgere secondo lei l’esame e crede che non si tornerà più alla maturità pre-covid, quella con le prove scritte e l’orale finale?

«L’esame va pensato in relazione al contesto storico. Sugli esami di Stato ho lasciato una proposta al ministero, stilata dopo aver sentito le consulte e i forum degli studenti, i sindacati, le associazioni dei genitori e dei docenti: erano quasi tutti d’accordo nel mantenere l’esame come l’anno scorso, con una prova orale. Il ministro sembra voler accogliere questa proposta perché pare che abbia funzionato. Bisogna fare in fretta, però, perché gli studenti hanno bisogno di risposte». «Credo che su questo aspetto, inoltre, occorra convocare le commissioni Cultura  di Camera e Senato: l’esame di Stato è un passaggio importante e deve essere fatto con il parlamento. Per il futuro, ritengo che le prove scritte a un esame siano rilevanti. Adesso non ci troviamo nel contesto giusto per farle, anche perché l’esame di Stato è nazionale e va tarato considerando le specificità di ogni territorio: non si possono fare differenze da Regione a Regione. Quindi l’orale è la soluzione più attuabile per tutti».

Altro fronte caldo, le immissioni in ruolo degli insegnanti. Non si è ancora tenuto il concorso ordinario.

«Domani si chiude il concorso straordinario. È una bellissima notizia per il mondo scuola perché, malgrado mille difficoltà e tantissimo ostruzionismo, è stato fatto. Permetterà di immettere in ruolo già questa estate 32 mila persone. È vero, il concorso ordinario deve essere ancora fatto e spero che parta subito: ci sono 500 mila giovani hanno fatto domanda per parteciparvi». «Chi parla di scuola di qualità non può che puntare sull’insegnamento di qualità, e questo passa dai concorsi. Ho letto che il ministro Bianchi ha parlato di “stabilizzazione temporanea” dei docenti. Ecco, questo è un ossimoro, non ho capito cosa intende, ma la stabilizzazione è una sola e va garantita al più presto a decine di migliaia di docenti».

Che opinione ha del suo successore al ministero?

«Bianchi è stato un assessore del Pd per 10 anni. Non consideratelo un tecnico, è un politico. Io l’ho messo a capo della task force di 18 componenti per il mondo scuola durante la pandemia. L’ho fatto perché ho sempre cercato di coinvolgere tutti gli attori della maggioranza che reggeva il precedente governo: sia chiaro, il nome di Bianchi era una proposta giunta dal mondo Pd».

Con la diffusione delle varianti si ripropone il tema della chiusura di massa delle scuole. È d’accordo?

«No. Per me la scuola resta sempre l’ultima attività da chiudere. So bene che c’è il problema delle varianti, ma sentendo il parere degli scienziati mi pare che si possano tenere aperte le scuole, fornendo al personale scolastico le mascherine ffp2 e ffp3 per una maggiore sicurezza. Poi, il mio auspicio è che si modifichi il piano vaccinale, passando dal parlamento: dopo i medici e il personale delle Rsa, si mettano al primo posto della lista di persone da vaccinare i docenti e gli operatori scolastici».

Passando alle questioni politiche, perché ha scelto di votare “sì” alla fiducia?

«Voterò sì alla fiducia non perché pensi che questo governo sia il migliore possibile, ma perché credo che il Paese abbia bisogno di un governo in questa fase complicatissima. La crisi di governo è stata inconcepibile e credo che i cittadini votino affinché i politici trovino delle soluzioni per il bene del Paese. Adesso, il ritorno alle urne era da scongiurare e si è formato l’unico governo in grado di lavorare con un’ampia maggioranza parlamentare. Spero che l’esecutivo sia all’altezza delle aspettative, ma non posso dire di esserne certa».

Il Movimento 5 stelle vive una fase di fibrillazione. Condivide la scelta del reggente di espellere chi ha votato in dissenso da Rousseau?

«Sono dispiaciuta per le espulsioni dei miei colleghi. È una ferita, una sconfitta per tutto il Movimento. La situazione è critica, servirebbe che ci fermassimo tutti e avviassimo una riflessione interna».

Quindi stop alle espulsioni e imbastire un dialogo tra le differenti anime del Movimento?

«Sarebbe un bene se il Movimento si ristrutturasse partendo da capo, facendo leva sulle migliori energie e competenze in campo. Io do la mia piena disponibilità ad aiutare il Movimento a rinascere, tenendo a mente, però, che nulla sarà più come prima. Adesso è il momento di ripartire dai temi, non più dalle persone».

Quali temi propone?

«Sicuramente l’ambiente. Poi c’è il tema dell’occupazione femminile, dei giovani e dell’istruzione, un argomento diventato identitario dei 5 stelle. Sono temi abbastanza orfani, che non hanno padri in politica. Il Movimento deve ripartire facendosi carico di questi argomenti e dandosi un’organizzazione che si preoccupi di queste battaglie, non di altre beghe politiche».

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