Andrea Crippa (Lega): «L’Europa di Draghi è la nostra Europa. E al Pd dico: Fidatevi di noi» – L’intervista

Il 34enne vice segretario della Lega commenta la nuova maggioranza e spiega perché il cambiamento del partito parte da lontano

«Entrai nella Lega a 15 anni, ero rappresentate di Istituto nel mio liceo e incontrai all’uscita di scuola Matteo Salvini che, al tempo, era consigliere comunale a Milano e stava facendo un volantinaggio per protestare contro l’ingresso della Turchia in Europa». Andrea Crippa, 34 anni, deputato e vice segretario della Lega, racconta gli albori della sua militanza all’interno del partito e dell’incontro con Matteo Salvini: «Uscii dal portone di scuola, mi presentai, presi un volantino e Matteo, vedendo tutti i compagni di scuola che venivano a parlarmi, mi disse di iniziare un percorso con loro. Decisi, così, di aderire alla Lega». Vent’anni dopo quell’incontro, come Salvini e i suoi colleghi leghisti, Crippa è alle prese con il nascente governo Draghi. Si dice fiducioso e sottolinea di aver apprezzato le parole del nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi, visione europea compresa: «L’Europa di cui ha parlato Draghi è la mia Europa».


La Lega ha cambiato idea sull’Europa? 


«Io non sono mai stato anti europeista. L’Europa di cui ha parlato Draghi è anche la mia Europa. Se diamo opportunità di lavoro, soprattutto ai giovani, se diamo sicurezza ai cittadini, difendendo i confini». 

Quindi nessun mal di pancia per il discorso del presidente Draghi? 

«Se l’idea di Draghi è la stessa dei fondatori dell’Europa, io sarò al suo fianco. Le idee non sono cambiate: non abbiamo mai detto un no pregiudiziale all’Ue, dicevamo no a certe politiche. Perché, per esempio, il Parlamento europeo, unico organo eletto dai cittadini, non ha veramente potere legislativo? Sono queste le domande che poniamo, ma non vuol dire essere contro l’Europa». 

Ora non pensate più di uscire dall’euro?  

«È chiaro che non bisogna uscire dall’euro, ma certo la moneta unica non ha favorito il sistema economico italiano in passato». 

La Lega in Europa è nel gruppo sovranista Democrazia e Identità, anche con Marine Le Pen. È vero che state guardando al Ppe? 

«La svolta è possibile solo se si cambiano certe idee. Cosa vuol dire oggi essere del Ppe? Scendere a patti con i socialisti? Socialisti mascherati dietro questo nome che oramai non rappresentano più nessuno». 

In che senso “socialisti mascherati”? 

«Basta andare in una periferia, in una fabbrica o in un’azienda e ascoltare gli operai. Si capisce subito che i socialisti, la sinistra in generale, non sono più un punto di riferimento. Invece di parlare con le persone, o capire le esigenze dei territori, si sono arroccati dentro i palazzi. Anche alcuni partiti di centrodestra l’hanno fatto. Quindi, per rispondere alla domanda su dove ci posizioneremo, dipenderà tutto dal programma che vedremo in campo». 

La Lega è apparsa diversa anche sull’immigrazione.

«Noi siamo chiari sull’immigrazione da sempre. L’Europa e soprattutto l’Italia, vicina ad altri continenti, devono essere difese. Le persone che arrivano devono avere garantiti i nostri stessi diritti ma devono, allo stesso tempo, avere gli stessi doveri». 

Parliamo anche di un contesto umanitario, non crede?

«Certo. Chi scappa da una guerra o da persecuzioni è mio fratello. Non gli apro solo le porte di casa ma gliele spalanco. Però ci dobbiamo anche dire che tanti di quelli che sono arrivati non scappavano da nessuna guerra. Noi poi abbiamo sempre contestato il “mercato” di quelli che si arricchivano sulla pelle di altri. Io preferirei, nei casi in cui non si è preda di guerre e persecuzioni, che i soldi vengano utilizzati per aiutare le persone nei loro territori».

Pensa che sia stata giusta l’entratata della Lega nella nuova maggioranza? 

«Sono orgoglioso che il mio partito sia entrato in questo governo. Ben venga Draghi che sulla politica economica e sanitaria la pensa come noi. Poi credo che sia stata la scelta giusta perché la Lega, come primo partito italiano, in un momento di emergenza nazionale, doveva assolutamente prendersi la responsabilità di andare a governare il Paese. Poi, certe cose, le possiamo cambiare dalla maggioranza e non dall’opposizione». 

Onorevole, lei ha iniziato la militanza dal territorio lombardo. Com’era la vita nella sezione leghista? 

«Dura e formativa, senza ombra di dubbio. Avevo 15 anni e nel nostro partito si prevedeva che per i primi due anni potevi solo ascoltare. Dovevi studiare e formarti, ascoltando il segretario di sezione che impartiva la linea politica ai consiglieri comunali». 

Da giovane viveva male questo modo di fare?  

«Non la vivevo, nel senso che se volevi stare nella Lega dovevi accettare questa situazione. È stata per me una scuola politica fondamentale. Anziché uscire con i miei amici il venerdì sera andavo al consiglio comunale per imparare il funzionamento dell’attività legislativa».

Ma cosa l’ha attratta della Lega? 

«Le Lega era ed è uno stile di vita. Un partito differente da tutti gli altri. Ha sempre corrisposto alla voglia di fare qualcosa di reale sul territorio, non si trattava dell’ambizione di essere candidato in lista. Per me ha sempre rappresentato un modo nuovo di fare politica. Poi certo, anche noi abbiamo avuto degli “interpreti” che hanno usato la Lega per i loro affari». 

Vuole farmi un esempio? 

«Penso a Belsito, tesoriere della Lega di Umberto Bossi. Fece davvero uno schifo con la gestione dei soldi e per uno come me, che crede nella politica, certe cose sono intollerabili. Uno come Belsito ha solo usato la Lega. Devo dire che anche altre persone si sono avvicinate a Bossi solo per ambizioni personali». 

Certo la Lega è cambiata: quando lei è entrato era un partito secessionista.

«Secessionista, indipendentista, federalista». 

L’autonomia regionale rimane tra i vostri cavalli di battaglia? 

«Lo Stato deve aiutare tutte le regioni ma l’autonomia è la ricetta per gestire meglio i territori. Questo non significa creare regioni di Serie A e di serie B ma vuol dire solo responsabilizzare la classe politica. I territori svantaggiati dobbiamo aiutarli. Il Sud in difficoltà va aiutato. Il problema vero sono state le gestioni folli di certe regioni. E non faccio in questo distinzioni tra destra e sinistra. Molti hanno usato i soldi destinati ai cittadini solo per fare della politica una merce di scambio e nessuno ha veramente investito in una classe dirigente nuova». 

Da romana posso dire che ci ricordiamo bene però le uscite su “Roma ladrona”. 

«Attenzione, nessuno ha mai pensato che sono i romani – i cittadini – i ladroni. I romani hanno subito, come in altri territori, una certa classe dirigente. Roma è più bella di Milano, da un punto di vista storico culturale, ma se guardiamo a com‘è gestita direi che è un’altra storia». 

La Lombardia, amministrata dalla Lega, ha mostrato molti limiti nella gestione della pandemia. 

«Vorrei ricordare che la Lombardia sta avendo molti problemi perché è stata colpita dal Coronavirus maggiormente rispetto alle altre regioni e in un momento dove il virus sconosciuto e molto aggressivo. Se il Covid avesse colpito, per dire, una regione del Sud come ha colpito la Lombardia, ci sarebbe stata una vera e propria ecatombe. Per questo credo che, nonostante alcuni difetti, il sistema lombardo abbia retto in un momento di enorme emergenza. Poi certo, si può e si deve migliorare». 

Oggi quali sono gli obietti fondamentali da portare a termine per la Lega? 

«La Lega non può più ragionare sul breve periodo. L’obiettivo deve essere quello di proporre esempi di cambiamento soprattutto nel Centro Sud. Dobbiamo quindi costruire una degna classe dirigente. Le Lega non può pensare di risolvere e rappresentare le regioni del Mezzogiorno con gente che cambia partiti in base alle proprie convenienze, esclusivamente personali».

Il centrosinistra non crede nella svolta leghista. Possono fidarsi di voi? 

«Bisogna fidarsi perché noi manteniamo sempre la parola data». 

La vedremo nel sottogoverno? 

«No. Io ho 34 anni e ho l’onere e l’onore di dare una mano a costruire un progetto di cui mi sono innamorato e per cui ho speso anni della mia vita; la buona politica. Poi credo che ci siano colleghi più bravi di me che potranno certamente ricoprire al meglio certi ruoli». 

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