Dal G7 sale a 7,5 il fondo per i vaccini nei Paesi poveri. L’esordio di Draghi tra i grandi del mondo

Sale di quattro miliardi il fondo a cui contribuiscono i partecipanti al G7 per la distribuzione dei vaccini anti Covid nei Paesi in via di sviluppo

Per la prima volta dall’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, i leader del G-7 si sono incontrati in videoconferenza per discutere delle principali questioni globali. Il vertice segna il debutto internazionale di Mario Draghi nelle nuove vesti di Presidente del Consiglio italiano. L’agenda è stata dominata dal tema del contrasto al cambiamento climatico e dalla pandemia di Coronavirus, e dai rifornimenti di vaccini ai Paesi in via di sviluppo, per i quali è stato aumentato il fondo per la distribuzione con un totale di 7,5 miliardi di dollari. Nel suo discorso Draghi ha insistito sulla necessità di riservare attenzione al contrasto ai cambiamenti climatici e alle tutela della biodiversità, giudicati essenziali per prevenire la nascita di nuove pandemie. 


Dopo quattro anni, il primo G-7 senza Trump

Per i sette leader il vertice di venerdì – il primo da aprile 2020 – rappresenta un nuovo inizio dopo la presidenza di Donald Trump, che aveva degradato il G-7 rendendolo un forum inefficace e spesso fonte di veleni. Ma le decisioni di Biden di rientrare nell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e nell’accordo sul clima di Parigi, fanno sperare che il 2021 sia l’anno in cui l’approccio multilaterale torni a produrre risultati a partire dal contrasto alla pandemia e la lotta contro il cambiamento climatico. 


L’obiettivo primario del vertice presieduto dal premier britannico Boris Johnson era decidere come organizzare una cooperazione più stretta per la vaccinazione globale. Le premesse non erano delle migliori, solo un mese fa Regno Unito e Unione europea erano ai ferri corti per la disputa sulle esportazioni di vaccini, una crisi non del tutto che risolta, mentre i Paesi in via di sviluppo – compresi i vicini dell’Ue – fanno molta fatica ad ottenere le dosi necessarie offrendo alla Cina e alla Russia la possibilità di offrire i loro vaccini e conquistare influenza strategica. Tuttavia, i grandi dell’Unione europea e il Regno Unito hanno dimostrato di essere sulla stessa linea.

Il significato geopolitico della distribuzione di vaccini

Questa settimana il presidente francese Emmanuel Macron, ha esortato Europa e Stati Uniti a mettere a disposizione dei Paesi in via di sviluppo fino al 5% delle loro attuali forniture di vaccini, dove le campagne di inoculazione del Covid-19 sono appena iniziate mentre Cina e Russia si fanno largo offrendo i loro vaccini per conquistare influenza strategica. Da questo punto di vista, Macron è stato il leader con le idee più chiare: «l’Africa ha 6,5 milioni di operatori sanitari, quindi servono 13 milioni di dosi per immunizzarli. Se annunciamo lo stanziamento di miliardi oggi per somministrare dosi fra sei mesi o un anno, i nostri amici africani compreranno dosi da cinesi e russi, e il potere dell’Occidente sarà forse un concetto ma non una realtà». 

Angela Merkel ha risposto alla chiamata di Macron: «Abbiamo raggiunto un accordo di principio con il presidente francese secondo cui i Paesi europei daranno ai paesi più poveri, che finora non hanno ricevuto molti vaccini, alcune delle nostre scorte». Fin dall’inizio della pandemia, Berlino era favorevole a un approccio globale nella lotta al Covid-19, in base al principio per cui non ha molto senso sconfiggere il virus solo in Europa se continua a imperversare in altre parti del mondo, tornando a diffondersi: «Finché le infezioni si verificano su larga scala, il virus muta e quindi, può sempre sorgere la situazione che l’efficacia dei vaccini risulti indebolita. Ciò deve essere evitato», ha detto Merkel.

Della stessa linea anche Johnson. Il governo britannico ha comunicato che oltre la metà delle forniture in eccesso saranno messe a disposizione del Covax, il meccanismo di cooperazione dell’Oms per fornire vaccini alle nazioni povere. Considerando che il Regno Unito ha già ordinato più di 400 milioni di dosi da vari produttori, dopo che tutti gli adulti britannici saranno stati immunizzatile le dosi in eccesso potranno essere inviate ai Paesi in via di sviluppo. Londra ha donato 548 milioni di sterline al programma Covax.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha sfruttato l’occasione per annunciare il raddoppio dei contributi europei al Covax, portando il contributo dell’Unione da 500 milioni a 1 miliardo di euro (tra sovvenzioni e prestiti). Lo staff di von der Leyen e la Commissione hanno subito molte critiche per la gestione dell’approvvigionamento di vaccini, ma von der Leyen è stata tra le principali voci di spicco nel chiedere un’equa distribuzione nelle forniture destinate a tutto il mondo, in linea con le richieste di Macron e Merkel. 

Il contributo dell’Ue all’Africa e ai Balcani occidentali

Von der Leyen ha annunciato che l’Ue fornirà 100 milioni di euro in assistenza umanitaria per il lancio della campagna vaccinale in Africa. Il finanziamento sarà utilizzato per rafforzare i sistemi sanitari, garantire la catena del freddo, acquistare attrezzature e formare il personale. Tutto in collaborazione con l’Unione africana. Allo studio c’è anche l’aumento della capacità di produrre vaccini direttamente in Africa, anche con accordi su licenza. L’obiettivo è andare oltre il contributo alle esigenze attuali e preparare il continente ad affrontare anche le future pandemie.

Inoltre, per rispondere alle esigenze dei Balcani occidentali, l’Ue ha lanciato insieme all’Oms un nuovo progetto da oltre 7 milioni di euro per sostenere la vaccinazione “sicura ed efficace” nella regione, un’affermazione che letta tra le righe significa riprendersi uno spazio insidiato dalla Russia e soprattutto dalla Cina. I nuovi finanziamenti aiuteranno i Paesi balcanici a ricevere, distribuire e somministrare in modo efficace i vaccini anti-Covid, compresi quelli ricevuti attraverso il sistema Covax. 

La posizione degli Stati Uniti

L’America però non è esattamente della stessa posizione. L’amministrazione Biden infatti ha comunicato che non donerà nessuna dose pre-ordinata per l’America ai Paesi in via di sviluppo, almeno fino a quando non ci sarà una fornitura abbondante negli Stati Uniti. Nella sostanza, un rifiuto (educato) della richiesta di Macron e degli altri europei. I funzionari statunitensi hanno detto alla stampa che l’obiettivo primario è ottenere tutte le dosi possibili per vaccinare gli americani. Biden avrebbe chiesto alla sua amministrazione di valutare la donazione solo una volta che i vaccini saranno andati in eccedenza dopo aver soddisfatto la domanda interna. 

Perciò, per ora gli Stati Uniti risponderanno alle necessità della cooperazione internazionale solo con il contributo al programma Covax, ma finanziandolo con molta generosità: 4 miliardi di dollari, la metà dei quali dovrebbe essere messa a disposizione in tempi molto brevi. Tuttavia, anche così permane il problema dell’approvvigionamento in tempi altrettanto rapidi delle dosi.

La necessità di una strategia globale

Al G-7 è stato celebrato il ritorno del multilateralismo, un approccio alle relazioni internazionali che mostrare i suoi punti di forza nei momenti difficili. Passare dalla teoria alla pratica non sarà così facile, la pandemia ha dimostrato che i problemi dell’azione collettiva persistono e si aggravano proprio durante le crisi. In questo momento, i problemi dell’azione multilaterale si manifestano sotto forma di un malcelato nazionalismo vaccinale. Quanto accaduto tra Ue e Regno Unito dice molto sulla mentalità prevalente, così come i problemi riscontrati nella gestione dei contratti con le cause farmaceutiche.

La campagna vaccinale degli Stati membri procede a rilento, i ritardi si accumulano, il divario nei confronti di Stati Uniti e Regno Unito si allarga. Al momento i Paesi europei (compreso il Regno Unito) sembrano avere una sensibilità maggiore rispetto agli Stati Uniti delle conseguenze geopolitiche di un G-7 che trascura le campagne vaccinali nei Paesi in via di sviluppo, una mancanza che lascia spazio all’avanzare strategico di Cina e Russia. Eppure, oltre alla cooperazione sul clima e alla pandemia, gli americani hanno dimostrato determinazione nel chiedere di adottare una strategia per il contenimento di Pechino e Mosca. 

La via più costruttiva è che il G-7 produca vaccini e li distribuisca il prima possibile a tutte le nazioni più povere, evitando che nascano e si diffondano varianti che facciano ripartire la pandemia: uno scenario controproducente per tutti. Il prossimo vertice dei sette grandi è previsto per giugno, in Cornovaglia, stavolta in presenza. Per quella data alcuni Paesi dovrebbero aver raggiunto percentuali importanti di immunizzazione, altri molto meno.

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