Varianti Covid, la Toscana trema: «Arrivano più malati e più gravi, ci aspettiamo un terremoto. E l’Italia a colori è una iattura» – L’intervista

Parla Francesco Menichetti, primario di infettivologia a Pisa: «Casi critici anche tra i giovani. Con le varianti siamo a una svolta decisiva, tracciare subito i contagiati o non ne usciremo»

È il giorno di nuove decisioni a colori per le Regioni italiane, l’indice Rt è cresciuto sfiorando l’1, mentre il tasso di incidenza si fa allarmante per un effetto varianti sempre più temuto. L’Umbria è in lotta con la fascia rossa diffusa su tutto il territorio regionale, e proprio lì al confine, la Toscana comincia a temere il peggio. Già zona rossa nell’area di Chiusi da due settimane, poi tornata arancione, il territorio toscano è tra le zone più attaccate dalla minaccia varianti Covid-19. Presente in 1 campione su 3, la mutazione “inglese” sta velocemente risalendo per tutta la regione raggiungendo le province di Firenze, Pistoia e Pisa. La “brasiliana” ha aggredito le scuole del senese e la sudafricana ha impaurito le zone dell’aretino. Se il primo studio effettuato due settimane fa aveva fatto emergere il 10% di casi di variante “britannica“, nel secondo, più recente, la percentuale è cresciuta nettamente oscillando tra il 25% e il 30%. «E si teme che in altri territori la percentuale sia addirittura superiore». A raccontare è il primario del reparto di malattie infettive di Pisa, il professor Francesco Menichetti.


Professore, prendendo soltanto i dati dei nuovi contagi su territorio regionale negli ultimi tre giorni, colpisce non poco la corsa che state registrando: 444, 773, 956. Una crescita che ormai sembra avere un’origine confermata.


«Purtroppo sì. Siamo alle prese con un chiaro effetto varianti. C’è da correre più veloci ma stiamo rincorrendo, e ora la sensazione è quella di non riuscire più a prevenire la tempesta. L’impegno delle strutture sanitarie che era in costante decremento ora comincia a registrare un rimbalzo. La degenza ordinaria comincia a risalire mettendoci nuovamente in sfida assistenziale».

Che situazione c’è nel reparto di malattie infettive?

«La percezione è quella di una terra che comincia di nuovo a tremare sotto i piedi, in attesa di un forte terremoto. Eravamo arrivati ad un momento relativamente tranquillo, riuscendo a reinserire già da settimane anche pazienti non Covid garantendo una pluralità di assistenza anche per altre tipologie di malattie. Ora siamo costretti a sacrificarli di nuovo per accogliere i casi Covid che stanno arrivando. Sono in quantità maggiori e devo dire anche in condizioni cliniche atipicamente più gravi».

Cioè sta riscontrando effetti anche sulla tipologia di sintomi accusati?

«Abbiamo forti sospetti soprattutto per i casi di variante “inglese”. Soprattutto in pazienti di fasce d’età più giovane, non parliamo di over 70 o 80, ci sono condizioni cliniche severe, qualcosa di non completamente usuale. Con i laboratori toscani stiamo elaborando i dati per approfondire questo aspetto. Se per la “brasiliana” e la “sudafricana” si teme un indebolimento della riposta immunitaria ai farmaci, per l'”inglese” stiamo notando un impatto più forte sull’organismo, ma aspettiamo ulteriori elementi».

L’ipotesi ora è di nuovo quella di zone rosse localizzate. Troppo tardi?

«Temo di sì. Le chiusure localizzate ora possono aiutarci soltanto se sappiamo esattamente dove prevenire le diffusioni, e non soltanto dove arginarle. Il modello del Regno Unito ora prevede il sequenziamento del 10% dei malati gravi, noi siamo ancora al tracciamento su segnalazione, non funzionerà. Se il sequenziamento è così debole, e mi riferisco anche alla strategia nazionale, sarà inevitabile arrivare a chiusure di zone molto più ampie, se non addirittura di tutta la regione. L’impatto delle restrizioni sulle persone non è più lo stesso e questa Italia a colori ora sta diventando una iattura dal punto di vista sanitario».

Di cosa avete più bisogno adesso per essere aiutati nella lotta sul territorio?

«Tracciare. Serve immediatamente un piano di tracciamento e sequenziamento nazionale che ci permetta di prevenire i focolai. Analizzare a campione il virus diffuso tra i contagiati e capire dove le mutazioni si stanno muovendo è il vero intervento che potrebbe salvarci. Devono aiutarci subito a sequenziare e prevenire. In alternativa la situazione rimarrà incontrollata con le dannose conseguenze che ormai conosciamo.

Il fatto di dover ancora una volta sacrificare i pazienti non Covid, ma con malattie infettive gravi, indirizzandoli in reparti di medicina generale è uno dei problemi che continua ad essere sottovalutato. Senza contare la pressione a cui presto saremo sottoposti se si continua con questa assenza di strategia. Le varianti sono a tutti gli effetti una fase decisiva della storia epidemia di Covid-19, è il momento di rendersene conto».

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