Smart working, sbornia digitale, esuberi e vaccini: così è cambiato il lavoro a un anno dal primo paziente

I principali cambiamenti dall’inizio dell’emergenza sanitaria

Un anno fa l’emergenza Coronavirus è entrata ufficialmente nel nostro Paese, con la prima diagnosi del virus. La pandemia ha stravolto completamente le nostre vite e ha cambiato in modo radicale anche l’organizzazione del lavoro, travolta dalla necessità di garantire le misure di distanziamento sociale e dalla devastante crisi economica che ha investito alcuni settori. In attesa di capire quali cambiamenti porteranno queste vicende nel lavoro del futuro, proviamo a elencare le innovazioni più importanti che si sono affacciate nell’anno appena trascorso.


Lavoro casalingo

Lo chiamano smart working perché la definizione è più cool, ma quello sperimentato in questo anno di emergenza è l’esatto contrario del lavoro agile. Siamo stati rinchiusi nelle nostre abitazioni per svolgere un lavoro casalingo che sommava le costrizioni del lavoro ordinario con le difficoltà di gestire l’attività lavorativa in un ambiente non pronto ad accoglierla. È urgente progettare un ritorno verso il lavoro veramente agile, caratterizzato dall’alternanza dei luoghi e dall’assenza di vincoli specifici di sede.


Sbornia digitale

Prima dello scoppio della pandemia eravamo pieni di tecnologie digitali che non usavamo, adesso non c’è riunione, conversazione o confronto che non passa per una piattaforma di video meeting. Con degli eccessi di vario tipo: quello che prima si sarebbe risolto con una semplice telefonata oggi viene inutilmente complicato dalla video chiamata, arrivano inviti a tutte le ore per qualsiasi motivo, per non parlare dell’esplosione incontrollata dei webinar e degli eventi sui social media. La digitalizzazione del lavoro è un fatto molto positivo, ma va governata: non andava bene il sotto utilizzo degli strumenti telematici, ma nemmeno è possibile farsi travolgere da questi.

Esuberi nascosti

Il divieto di licenziamenti compie un anno. Una misura che ha avuto il merito di frenare comportamenti scomposti e garantire la tenuta sociale, che è durata e sta durando troppo, generando il rischio opposto: è una diga fragile che sta facendo salire il livello dell’acqua e, a un certo punto, sarà travolta. È necessario e urgente fare un piano che preveda l’uscita graduale dal divieto, per scaglioni, con incentivi e tutele per chi verrà licenziato subito dopo la fine della moratoria.

CIG Economy

L’altra faccia del divieto di licenziamento è l’uso indiscriminato della cassa integrazione. Un utilizzo che, nel lungo periodo, danneggia le persone che vorrebbe tutelare, perché impedisce di metterle a conoscenza di un fatto doloroso ma realistico, la scomparsa del posto di lavoro. Una conoscenza indispensabile per avviare la ricerca di un nuovo lavoro e l’attivazione di politiche attive di sostegno.

Buoni pasto

Una delle vittime del lavoro di casalingo di massima è il buono pasto, simbolo di un’organizzazione del lavoro che non c’è più e forse non tornerà più come prima. Dove prima c’era il diritto al ticket, arriverà il buono per l’abbonamento wifi? Possibile.

«Sei in mute»

La sigla di qualsiasi riunione digitale contempla la frase «sei in mute». Una frase indicativa di come siamo tutti dei neofiti del lavoro digitalizzato, usiamo gli strumenti informatici andando a tentoni e cavandocela con l’esperienza. Serve un approccio diverso: come ogni tecnologia, l’utilizzo dei mezzi digitali richiede formazione strutturata.

I deboli dimenticati

Le vittime principali della pandemia sono i lavoratori deboli: i giovani, i precari, le donne hanno pagato un prezzo molto alto della crisi. È stato alzato un muro invalicabile a tutela di chi stava dentro il lavoro: un muro talmente alto che ha impedito anche il percorso inverso, quello di accesso al lavoro.

I Navigator affondano

Una delle prime misure del Governo nel marzo scorso è stata quella di sospendere alcune iniziative di politica attiva, messe rapidamente in soffitta come se fossero un orpello inutile. In questa situazione è emerso in maniera lampante il fallimento dell’operazione Navigator, un esercito di ragazze e ragazzi mandati allo sbaraglio senza un progetto decente alle spalle.

Il sindacato dov’è?

In un anno di pandemia, il sindacato si è concentrato, comprensibilmente, sul divieto di licenziamento e la cassa integrazione, le uniche due bandiere portate avanti con coerenza e decisione. È mancata una voce forte e decisa, invece, sulla tutela degli esclusi, sugli obblighi vaccinali, e sulle misure per la ripartenza: è necessario che questi temi entrino nell’agenda sindacale, per evitare di accentuare lo scollamento con le nuove generazioni, sempre più distanti da questi importanti corpi intermedi.

Licenziare i no-vax?

L’arrivo dei vaccini ha scatenato un dibattito tecnico e politico su un tema importante: si può licenziare chi rifiuta la profilassi anti Covid? Le norme non lo consentono, nonostante alcune coraggiose interpretazioni, cosi come non è possibile fare indagini a tappeto sui dipendenti. Eppure sarebbe giusto tutelare la salute di tutti. Come uscirne? Basterebbe chiedere al legislatore di fare il suo dovere, approvando una norma che affermi con chiarezza che il lavoratore, quando il vaccino è disponibile, non può rifiutarlo. Abbiamo un Parlamento in grado di fare scelte cosi coraggiose?

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