AstraZeneca, l’insufficienza di studi sulla vaccinazione eterologa. Bucci: «Quali sono e dove sono i dati?» – L’intervista

Secondo l’esperto, bisogna effettuare ulteriori studi di qualità per sostenere la sicurezza e l’efficacia della vaccinazione eterologa

La scelta di sospendere la vaccinazione anti Covid19 agli under 60 con la seconda dose di AstraZeneca e di procedere con una somministrazione eterologa è stata ampiamente criticata quanto sostenuta da diversi soggetti. Ieri avevamo pubblicato un’intervista al Prof. Sergio Abrignani in qualità di membro del CTS, il quale ci ha fornito la versione delle istituzioni. Abbiamo posto alcune domande a Enrico Bucci, adjunct professor alla Temple University ed esperto nel revisionare di studi scientifici.


Nota: questa intervista si è svolta prima delle recenti decisioni da parte del Governo Draghi in merito alla libertà di scelta per la seconda dose. Ne parliamo qui e qui.


Come mai c’è questo scontro tra chi sostiene che ci siano pochi dati e chi, invece, sostiene che i dati ci siano, che bastino e avanzino senza bisogno di una peer-review, una revisione paritaria, ossia un controllo dello studio da parte di specialisti aventi competenze analoghe a quelle di chi ha prodotto l’opera)?

«Per il principio dell’onere della prova, chi sostiene una tesi deve presentare i dati e le analisi di questi dati. Non è possibile esprimere una dichiarazione di certezza o di sicurezza in assenza di un’analisi statistica che permetta di raggiungere un determinato livello di confidenza come è avvenuto in passato con la vaccinazione eterologa contro l’Ebola. Un livello di confidenza che viene sostenuto in Russia, ad esempio, con il vaccino Sputnik V che utilizza due prodotti e due adenovirus diversi».

Dati che, per quanto riguarda Sputnik V, non sono disponibili.

«Bisogna sempre chiedere quali sono e dove sono i dati. Non possiamo basare una certezza riportando determinate citazioni da 5 studi diversi, dove chiunque potrebbe citare soltanto quelle che convengono nel sostenere una tesi escludendo tutto il resto. Quello che ci deve interessare è una dimostrazione formale basata sui numeri che ci fornisca una certa confidenza».

Come si ottiene questa confidenza?

«Non basta considerare un campione sufficientemente ampio di partecipanti, c’è bisogno di presentare uno studio in cieco controllato (uno studio dove la metà del gruppo di partecipanti riceve il principio attivo, mentre l’altra metà un prodotto senza ndr). Chi propone un cambio di regime vaccinale ha il dovere di presentare sia i dati, sia l’analisi corrispondente di uno studio che soddisfi questi criteri».

Qualcuno ha presentato tutto ciò?

«Fino ad oggi sono stati citati degli studi in assenza di un’analisi che dimostrasse il valore statistico dei dati. Pare che stiamo assistendo a un fenomeno dove conta confermare una tesi sulla base dell’esperienza pregressa. Per comprendere quanto sia pericoloso abbandonare il metodo dell’analisi quantitativa, possiamo citare il recente esempio del vaccino CureVac basato sulla stessa tecnologia di altri due prodotti che stanno funzionando, ossia quelli di Pfizer e Moderna. Nessuno si sarebbe sognato di somministrare alla popolazione il vaccino tedesco solo perché simile agli altri e senza un’adeguata sperimentazione, la quale ha dimostrato un’efficacia non soddisfacente contro il virus e alcune sue varianti. Ecco la differenza tra un’aspettativa e la misura solida sui dati».

La medicina può basarsi anche su delle scommesse?

«La medicina non è in grado di fare delle previsioni. Può fornire delle opinioni informate, ma bisogna affrontare la realtà e la statistica. La medicina non può basarsi sull’ennesimo enunciato da parte dell’autorità di turno o di un esperto qualunque, nonostante il suo curriculum, e non può “scommettere” un risultato basato sul comune sentire. Servono i dati».

C’è una ragione per giustificare questo cambio sulle somministrazioni del vaccino AstraZeneca?

«Se c’è, questa deve essere illustrata in maniera chiara e in presenza di un’analisi rischi-benefici che giustifichi la scelta. Sulla base delle analisi a disposizione, l’EMA non suggerisce questo “cambio in corsa” sul vaccino AstraZeneca così come non sostiene la sicurezza della vaccinazione eterologa. La scienza deve basarsi sui numeri, dati che potremmo avere tra pochi mesi: per quale motivo siamo costretti a porre la nostra fiducia su un cambio non richiesto dall’attuale situazione?».

Non conta il nome di chi dice una cosa o l’altra?

«Non conta nemmeno il curriculum o quante persone di alto livello sostengano una tesi o l’altra, non è una competizione. Lo ripeto: bisogna confrontarsi sui dati, non sulle dichiarazioni, le presunte certezze o gli avverbi».

La questione della certezza. Alcuni dicono che ci sono degli studi, ma non c’è niente di certo.

«A sostenere questa incertezza sono gli stessi autori degli studi citati, i quali riconoscono nel loro lavoro un’analisi preliminare basata su un piccolo campione».

Ho letto delle dichiarazioni da parte di esperti dove parlano di «studi eleganti» o affermano che se più studi sostengono la stessa cosa non ci sia bisogno di una peer-review. Queste “prassi” mi sembrano molto strane.

«Uno studio non deve essere «elegante», ma solido. Il favorire “sexy science” da parte delle riviste è peraltro riconosciuto come uno dei maggiori fattori di distorsione».

Cioè?

«In Cina sono stati pubblicati diversi studi basati su piccoli campioni, a volte composti da soli due individui, per sostenere una tesi. Dovessimo seguire questo principio potremmo sostenere che la clorochina sia efficace contro la Covid. Possono esserci migliaia di studi, basati su piccoli campioni, che sostengano una tesi, ma se non sono svolti in cieco e se presentano diversi problemi metodologici è un problema».

Vengono citati degli studi svolti in Germania, Spagna e Regno Unito. Hanno delle debolezze oltre ai numeri risicati di soggetti?

«In Italia stiamo proponendo la vaccinazione eterologa agli under 60, ma lo studio britannico riporta dei dati basati sugli over 50. Lo studio spagnolo risulta essere osservazionale e in assenza di un confronto diretto con la doppia dose omologa. Non sono studi sviluppati per fornirci una risposta adeguata riguardo all’efficacia e alla sicurezza della vaccinazione eterologa negli under 60, per questo dovremo aspettare ulteriori studi».

In Spagna molti cittadini sono stati vaccinati con entrambe le dosi di AstraZeneca. Se nello studio spagnolo non sono presenti questi soggetti, non possono essere presi per confrontarli con coloro che sono stati sottoposti alla vaccinazione eterologa?

«Bisognerebbe garantire che l’analisi venga fatta in cieco. Oltre al rischio posto dal bias di selezione dei soggetti che hanno ricevuto entrambe le dosi di AstraZeneca, l’analista non deve sapere se un soggetto sia stato sottoposto alla vaccinazione eterologa o a quella omologa. Bisogna seguire un metodo preciso, altrimenti rimane un semplice studio osservazionale».

Siamo i primi a decidere questa autorizzazione della vaccinazione eterologa rispetto ad altri Paesi?

«Peggio! È stato deciso l’obbligo nei confronti di una certa fetta della popolazione, nonostante questa abbia firmato l’accettazione di una somministrazione basata su dati clinici chiari e con un protocollo noto».

[Nota: questa intervista si è svolta prima delle recenti decisioni da parte del Governo Draghi in merito alla libertà di scelta per la seconda dose. Ne parliamo qui e qui]

Se un altro Paese ha intrapreso la vaccinazione eterologa su milioni di soggetti, non possiamo prenderlo a esempio per approvarla anche noi?

«C’è chi ha abbandonato AstraZeneca, ma senza interrompere o negare la seconda dose e senza procedere con la vaccinazione eterologa. Ci sono alcune esperienze, come quelle in corso in Canada, ma mancano i dati. Domandiamoci come mai l’EMA non abbia autorizzato il vaccino Sputnik V nonostante sia stato somministrato su milioni di soggetti».

Ad esempio, come accennava anche lei, se dovessimo considerare dati incompleti e studi non appropriati a questo punto vale tutto e dare ragione a Donald Trump sull’idrossiclorochina.

«Questo metodo non è nuovo. In passato il Parlamento italiano aveva autorizzato le sperimentazioni a seguito della pressione popolare, e mi riferisco al caso Stamina. Esistono dei percorsi regolatori che devono essere rispettati da tutti, politici e scienziati. Gli enti regolatori non possono e non devono piegarsi alla politica o all’opinione pubblica».

Torniamo ad AstraZeneca e i presunti casi di trombosi. Gli unici dati che, in Italia, abbiamo sono quelli diffusi dall’Aifa.

«Al momento parliamo di una percentuale pari allo 0,9 per milione e su alcune fasce di età, numeri che risultano essere estremamente inferiori a seguito della seconda dose. Questa è la probabilità che ci interessa, non l’incidenza totale».

L’inserimento di questo evento avverso nei cosiddetti bugiardini è significativo per sostenere che ci sia un nesso causale confermato?

«No. Ci vorrà del tempo per individuare una causalità, mentre viene posta una possibile correlazione. Se qualcuno ci domanda se siamo disposti a mettere a rischio la vita di una giovane donna su un milione somministrandole la seconda dose di AstraZeneca, perché questa persona non chiede il ritiro dal mercato degli anticoncezionali che risultano avere un’incidenza maggiore di trombosi?».

Nell’intervista a Open, il professor Sergio Abrignani citava un articolo pubblicato su Lancet, ma senza che questo sia stato sottoposto a una «peer-review». Risulta corretto sostenere che tale pubblicazione, ossia una «correspondence» come definisce la rivista, venga prima approvata e pubblicata a seguito di un controllo da parte del board interno?

«Certamente, questo avviene e in particolare su Lancet. Risulta altrettanto vero che ciò che viene riportato, in quanto di interesse pubblico, non viene affatto garantito. Qualunque lavoro venga pubblicato in una rivista scientifica non è garanzia di verità, ma è l’inizio della valutazione di parte della comunità scientifica. Non possiamo disconoscere il valore della peer-review».

Teniamo conto che il tutto venga fatto per evitare i casi di trombosi citati. Con la vaccinazione eterologa non rischiamo di sottoporre un soggetto anche ai rischi associati all’altro vaccino?

«Gli studi sono stati effettuati osservando un numero ristretto di partecipanti. Non sappiamo che cosa potremo riscontrare su un campione sufficientemente più grande, come nel caso degli studi di fase 3. Potrei ritenermi “fortunato” di non aver riscontrato reazioni negative dopo la prima dose di AstraZeneca, ma chi mi garantisce che con la seconda dose di Pfizer non accada?»

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