Un miliardo speso per mascherine dannose e la questua dei politici: cosa c’è nell’inchiesta su Arcuri

L’ex commissario all’emergenza del governo Conte avrebbe dato un appalto da 12 milioni a un ex giornalista Rai. Ma lui replica: «Non lo conosco e c’era la fila»

Le 800mila mascherine acquistate dall’allora commissario all’emergenza Domenico Arcuri per un miliardo di euro erano pericolose per la salute. Nelle 14 pagine del decreto di sequestro emesso dalla procura di Roma si spiega perché quei dispositivi non erano a norma e quindi non dovevano essere comprati. L’esame fisico-chimico realizzato sia dall’Agenzia delle dogane di Roma sia dai consulenti nominati dai pm ha infatti dimostrato che «gran parte per i quali si è disposto il sequestro non soddisfano i requisiti di efficacia protettiva richiesti dalle norme Uni En e addirittura alcune forniture sono state giudicate pericolose per la salute». Ma l’accusa di peculato e abuso d’ufficio (oltre che per corruzione, ma qui pende una richiesta di archiviazione) si fondano anche su altro.


Il giornalista e i 12 milioni di euro

Ovvero sul ruolo di Mario Benotti, ex giornalista Rai ed ex consulente della presidenza del Consiglio. Che è ritenuto il mediatore dell’affare. E che avrebbe intascato per quel ruolo ben 12 milioni di euro. Grazie a un ricarico sui prezzi di partenza. Nonostante non esista un regolare contratto. Una ricostruzione che, spiega oggi La Stampa, è stata contestata dall’ex commissario. Il quale, difeso dall’avvocato Grazia Volo, ha risposto ai giudici di aver proceduto all’acquisto incriminato solo «perché il prezzo dei prodotti era vantaggioso ed ero all’oscuro del ricarico». Quanto a Benotti, Arcuri replica di «non avergli mai dato alcun incarico. Inoltre per l’intera durata dell’emergenza non ho mai sottoscritto contratti con soggetti diversi dalle aziende fornitrici dei prodotti».


Il problema è che i pm non gli credono. Perché ci sono centinaia di contatti telefonici tra i due nelle carte dell’inchiesta. E perché secondo le diverse testimonianze raccolte – spiegano nel decreto di sequestro i pm Fabrizio Tucci e Gennaro Varone – «a giustificazione di un operato meno rigoroso c’era anche la situazione di emergenza in sé, che imponeva acquisizioni forzose, pur di non lasciare la popolazione sanitaria sprovvista di tutela». Ma i pubblici ministeri scrivono sul punto: «Una spiegazione che presta fianco ad evidente critica: dichiarare protettivo un dispositivo di dubitabile idoneità può indurre esposizioni sanitarie avventate».

Le offerte dei politici

Ma Arcuri si è difeso tirando in ballo anche altri. Ovvero i politici. Il Corriere della Sera racconta che quando gli chiedono perché ha accettato l’offerta arrivata da Benotti, Arcuri risponde: «Mi spiego con alcuni esempi. Il senatore Mallegni (di Forza Italia, ndr), mandò un’offerta per mascherine Kfn4, con consegna in Corea, escluso il costo di trasporto, al prezzo di 80 centesimi cadauna… Non essendo stato sottoscritto il contratto, è diventato ospite fisso di trasmissioni televisive». Ovvero quelle in cui lo criticavano. Ma non c’è solo Mallegni. «Il senatore Malan (oggi Fratelli d’Italia, ndr) tramite Enzo Saladino offre mascherine lavabili, ma il Cts risponde che non sono nemmeno valutabili»; di fronte ad altre proposte rifiutate «Malan inizia una schiera numerosa di interrogazioni parlamentari».

E ancora. L’elenco di Arcuri prosegue con il deputato Mattia Mor, di Italia Viva, che «presenta offerta di due signori cinesi» da 55 centesimi per ogni mascherina escluso il trasporto dalla Cina, passa per le già note iniziative dell’ex presidente della Camera Irene Pivetti e arriva «all’onorevole Meloni (la leader di FdI, ndr) che il 22 e il 27 marzo è in copia all’offerta di tale Pietrella», inviata per email con richiesta di mezzo pagamento anticipato e costo del trasporto a carico del governo; un ruolo di semplice presentatrice di un imprenditore che sosteneva di poter aiutare nell’emergenza, come Mor. Tutti volevano vendere mascherine. Per questo lui alla fine ha scelto l’offerta più conveniente.

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