Omicron, Mantovani a Open: «Una nuova pandemia? Non credo, la lotta continua ma non ricominceremo da capo» – L’intervista

L’immunologo, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas e uno dei più influenti scienziati italiani al mondo, fa chiarezza sullo scenario peggiore che la nuova mutazione potrebbe provocare

Patologo, immunologo, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e professore emerito dell’Humanitas University, Alberto Mantovani è considerato dall’H-index, l’indice che stabilisce l’impatto scientifico di un autore nel mondo, uno dei più influenti scienziati italiani del suo campo a livello globale. Raggiunto al telefono da Open in uno dei periodi pandemici più delicati dell’ultimo anno, fa chiarezza sul rischio di una «pandemia B», la stessa di cui gli esperti parlano da giorni come la più grave conseguenza possibile della variante Omicron. Il mondo sembra attualmente essere di fronte a due scenari opposti di cui la scienza sarà chiamata a rispondere quanto prima e con dati alla mano: o i vaccini saranno in grado di combattere la variante Omicron e quindi si procederà a furia di campagna vaccinale e tracciamento, oppure si ricomincerà tutto da capo, con una variante che “buca” ogni vaccino finora autorizzato e un virus a quel punto completamente nuovo con cui fare conoscenza.


Professore, quanto stiamo rischiando di dover ricominciare tutto da capo? E quali sono i segnali che determineranno una possibile «pandemia B»?


«Il giorno dopo della notizia di Omicron, ci siamo messi subito al lavoro per capire cosa avessimo di fronte. Noi, come tutta la comunità scientifica nel resto del mondo, stiamo cercando di fornire risposte più dettagliate possibile. Serve ancora del tempo ma i dati preliminari ci permettono di immaginare dei passi che sarà necessario fare in futuro. Sono tre le domande a cui rispondere per capire quale dei due scenari è più probabile. La prima è: «Questo virus è più infettivo?». I dati finora raccolti ci dicono che molto probabilmente il virus della variante Omicron è più infettivo e questo vuol dire che corre di più e si diffonde con una maggiore rapidità da un organismo a un altro. Alla prima domanda siamo in grado di rispondere con un’alta probabilità e questo anche grazie ai dati che ci arrivano dal Sudafrica ma anche e soprattutto ai numeri messi a disposizione da quella grande linea del fronte che si chiama Regno Unito.

La seconda domanda è: «È più patogeno?». Le ipotesi che stanno circolando vertono sull’idea che Omicron provochi una malattia meno grave di quella del virus originario. E onestamente dire di andare molto cauti su questo punto. Sia per la poca quantità di dati sul tema e sia perché considerare meno impattante un virus con una così alta capacità di contagio potrebbe essere un errore da dover pagare caro. Abbassare la guardia porterà comunque a un impatto sul sistema sanitario di cui attualmente non siamo in grado di prevedere la grandezza.

«Viene individuato dagli anticorpi?». Sulle risposte immunitarie sappiamo ancora poco. Ma i dati preliminari finora raccolti suggeriscono come dopo la terza dose di vaccino, il virus Omicron venga individuato dagli anticorpi. Ci sono delle valutazioni di biologia computazionale che riferiscono inoltre di come alcuni anticorpi usati nelle terapie monoclonali riescano a individuare il virus. Lo vedono anche se in misura minore. I dati che abbiamo si spingono fino a questo punto».

Alla luce di queste tre risposte date, l’ipotesi di una «pandemia B» apparirebbe quindi scongiurata o possibile?

«Credo più nello scenario di una lotta la virus che continui piuttosto che ricominciare da capo. E questo soprattutto in virtù dei dati preliminari sull’efficacia del richiamo in risposta alle varianti, compresa Omicron. Si è visto che se allarghiamo il respiro con la risposta immunitaria della terza dose, gli anticorpi hanno più possibilità di individuarlo. Quindi la lettura da fare in questo momento è la seguente: affrettiamoci a fare la dose booster perché tutti i dati a nostra disposizione ci dicono che allarga il repertorio della nostra orchestra immunologica. In altre parole, dopo la terza dose riusciamo a vedere meglio le varianti».

Lei parla di dosi booster fondamentali per vincere Omicron. Dall’altra parte, però, Pfizer e Moderna promettono un vaccino ad hoc per combattere Omicron. Le due cose sembrano in opposizione

«Non sono affatto due strade alternative o che si smentiscono. Facendo una metafora calcistica: con la dose booster è come se ci fossimo finora prepararti a giocare contro il Barcellona, e cioè le altre varianti. Una preparazione che sarà fondamentale anche quando domani ci troveremo a scontrarci con il Real Madrid, squadra ancora più forte, così come Omicron rispetto alle altre mutazioni (almeno in termini di contagio). Quell’allenamento sarà fondamentale così come la cintura di sicurezza garantita dalla dose richiamo. Su questo sono fiducioso, e non per mia velleità ma sulla base di quello che attualmente conosciamo e di quello che è successo in passato. Dunque la lotta al virus continua ma non ricomincia».

Cosa sappiamo della dose booster contro Omicron?

«La domanda non è se è in grado di garantire una maggiore protezione rispetto a quella che abbiamo adesso, perché la risposta è affermativa e già lo sappiamo. La reale risposta che sarà fondamentale dare è fino a quando dura la protezione. A quanto tempo, cioè, corrisponderà la memoria immunologica garantita dal booster. Dati a cui la scienza sarà chiamata a rispondere nel prossimo futuro per capire ancora meglio la strategia migliore da adottare. Non dimentichiamo che ai nostri figli e ai nostri nipoti facciamo terze dosi per molti vaccini. Su questi siamo in grado di sapere quanto durerà la protezione».

Il Ministro Speranza parla di «flash survey», e cioè di quella pratica di sequenziamento delle varianti, che si attua su territorio nazionale, capace di fornire il quadro della diffusione della mutazione solo per le 24 ore prese in considerazione. Non sarà arrivato il momento di garantire un sequenziamento più approfondito e meno sporadico?

«Senza dubbio. Ma è anche vero che sul sequenziamento siamo partiti quasi da zero. Si esaminava pochissimo. I laboratori hanno cercato di andare avanti ma non siamo diventati certo una super potenza da questo punto di vista».

Oggi Omicron, domani l’alfabeto potrebbe continuare fino a Omega. Quale problema alla base continua a non essere risolto?

«Quello della condivisione dei vaccini. Una partita che continuiamo non solo a non vincere ma a giocare molto poco, considerando la bassissima quantità di somministrazioni effettuate nei Paesi a basso reddito. Condividere i vaccini e trasformare il vaccino in un’unica vaccinazione globale è l’obiettivo che ci farebbe risolvere il problema alla base di cui parlava».

Cosa risponde a chi dice che dove c’è vaccino ci sono varianti?

«È evidente che non sia così, anzi è il contrario. Le varianti che ci hanno preoccupato sono nate quasi tutte in Paesi come Amazzonia, Perù, e poi India, Africa e sud Africa. Tutte nazioni con una campagna vaccinale disastrosa. Oltre ad essere un tema di altruismo è una questione di sicurezza globale».

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