In Evidenza ENISiriaUSA
CULTURA & SPETTACOLOCinemaNetflixSuoni e Visioni

L’apocalisse prima dell’apocalisse: perché tutti parlano di «Don’t Look Up»

28 Dicembre 2021 - 19:45 Giada Ferraglioni
Incomunicabilità e frustrazione: il film di McKay disponibile su Netflix ci riguarda più da vicino di quanto pensiamo. Anche per questo appassiona e divide il pubblico

Una cometa grande come l’Everest corre verso la terra ed è pronta a distruggerla nel giro di 6 mesi. Agli scienziati Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) e Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) sembra la notizia del secolo. Eppure non c’è modo che riescano a interessare sul serio nessuno con la loro scoperta. Non impressiona i politici, non impressione i giornalisti, non impressiona l’opinione pubblica. Perché? Questa, in poche righe, è la trama di Don’t Look Up, la commedia satirica su Netflix di Adam McKay, regista e comico statunitense, che ha tenuto banco durante le feste di Natale. Sembra superfluo ormai dire che il film ci riguarda da vicino. E non per la risposta alla domanda – che non dà -, né per il finale radicale che propone (Spoiler: la fine del mondo ci sembra talmente inverosimile che fatichiamo a pensarla credibile anche nel finale di un film). Se ha riempito valanghe di thread su Twitter e ha inondato le chat di gif con Leonardo Di Caprio vestito da professore di astronomia dell’Università del Michigan è per la veridicità delle scene, in teoria surreali, che propone.

Le scene

Una su tutte: Dibiasky (Lawrence) viene chiamata nel Morning show più popolare d’America per parlare della sua scoperta. Le chiedono di rendere la cosa leggera, divertente. Dopo diverse battute seguite alla notizia della cometa, Dibiasky esplode: «Forse la distruzione dell’intero pianeta non dovrebbe essere divertente», urla. «Forse dovrebbe essere terrificante e inquietante, e dovreste stare svegli tutta la notte, ogni notte, a piangere». Ricorda gli «I want you to panic» di Greta Thunberg lanciati dalle sedi istituzionali più importanti in mezzo a politici impassibili e sorridenti, e gli allarmi degli scienziati sulla pandemia da Covid, moderati e filtrati dalle espressioni rassicuranti dei giornalisti in tv. Nel film, i giornalisti la guardano un po’ imbarazzati. Poi la liquidano con qualche freddura e vanno avanti. Di lì a poco, una sorniona Maryl Streep-Donald Trump ripeterà dai suoi palchi: «Va tutto bene, va tutto bene». E tutti le credono.

«Ci sta annoiando»

DiCaprio, Jennifer Lawrence, Meryl Streep e Timothée Chalamet: anche il cast ha fatto il suo lavoro nel portare il film in cima agli argomenti di discussione. D’altronde, una trama distopica da sola non avrebbe attirato l’attenzione di molti. La forma della commedia satirica è un gancio irrinunciabile: chi ha voglia di essere triste durante una pandemia mondiale? Una missione, quella di essere accattivante e leggero, che il film condivide con i suoi protagonisti. Gli astronomi Randall Mindy (DiCaprio) e Kate Dibiasky (Lawrence) tentano di portare la terribile notizia all’attenzione prima di una distrattissima Streep-Trump e di suo figlio Jason capo di Gabinetto (interpretato da Jonah Hill), poi dei giornalisti-manichini interpretati da Tyler Perry e Cate Blanchett. Ma hanno un problema: non sono bravi performer.

«Forza, andate al punto, ci state annoiando», dice Jason mentre ascolta la raffica di dati messi in fila da un agitato Mindy. Anche nel mondo reale la scienza ha difficoltà a fare notizia da sola: se non fosse per gli attivisti under 18 e i loro flash mob, chi avrebbe riportato in prima pagina i livelli di CO2 toccati quest’anno nel mondo? Chi, senza i discorsi virali di Thunberg, avrebbe provato un po’ di interesse per la Cop26? Probabilmente, nemmeno Barack Obama si sarebbe preso la briga di salire su un aereo per Glasgow e tenere il suo discorso da stadio. Ma pensare che la colpa sia solo di una scarsa attitudine alla divulgazione degli scienziati sarebbe riduttivo. E quando Mindy prova – imbottito di ansiolitici – a parlare la lingua dei talk show, le cose non vanno meglio.

«Quale altra prova vi serve?»

Non serve scomodare i sofisti per riconoscere che il modo in cui viene detto qualcosa è spesso più efficace del suo contenuto. Nell’impero dell’algoritmo questa regola tocca anche politica e giornalismo: il risultato è, paradossalmente, una frustrante incomunicabilità. Le esplosioni di frustrazione sono ormai all’ordine del giorno anche nelle Tv reali: virologi che urlano contro i No vax, medici che si arrabbiano con i conduttori televisivi, scienziati che sbraitano contro le fake news. Exploit che non hanno nessun effetto concreto, se non quello di finire su meme della durata di qualche settimana. In una delle scene più d’impatto del film, Leonardo DiCaprio aka Randall Mindy arriva ad aggredire i giornalisti della trasmissione Tv, della quale era ormai ospite fisso. All’ennesimo tentavo fallito di spiegare l’emergenza data dalla cometa, Mindy urla: «Non tutto ha bisogno di sembrare sempre brillante, interessante o piacevole. A volte dobbiamo solo riuscire a dirci delle cose. Ve lo ripeto: c’è una cometa. E questa cometa esiste, perché l’abbiamo vista. Quale altra prova volete?».

Non così in fretta

Ma c’è un altro personaggio ispirato all’attualità: il miliardario visionario Peter Isherwell, interpretato da Mark Rylance, modellato sui vari Steve Jobs, Elon Musk e Jeff Bezos. È per colpa sua se – spoiler – la missione di salvare la Terra fallisce, ed è grazie a lui se tutti i potenti del mondo si salvano salendo a bordo di navicelle spaziali costruite dalla sua società. A luglio, poco dopo il primo lancio di Bezos nello spazio a bordo della sua New Shepard, il giornalista Hamilton Nolan scriveva sul Guardian: «Non è un caso che le persone più ricche d’America si stiano interessando allo spazio. Chiamiamo la cosa per quella che è: stanno lavorando a un piano per andarsene dalla Terra». L’interpretazione di Nolan intorno all’improvviso interesse dei miliardari per lo Spazio (mai scientifico, forse vagamente tecnologico, ma sempre consumistico) può sembrare un’idea bizzarra a noi «piccole persone», come scrive ironicamente il giornalista.

Nonostante i fallimenti internazionali contro il disastro climatico, nel 2021 possiamo ancora permetterci il lusso di ripensare il modo in cui viviamo sul nostro pianeta. Possiamo non pensarlo ancora come una nave che affonda in maniera irreversibile. Ma se quanto dicono gli scienziati è vero – e pare proprio che lo sia -, non abbiamo molto tempo prima di ritrovarci in un pianeta invivibile. Siccità, carestie, piogge torrenziali, inondazioni e temperature torride sono già una realtà in Paesi dell’Africa e dell’Asia centro orientale, e minacciano di diventare una costante anche al Nord. Prima che si arrivi a quel punto, bisognerà prendere sul serio le navicelle dei miliardari immaginate nella commedia di McKay. Fosse anche solo per invertire la rotta delle loro azioni. «Molte persone hanno scherzato sul fatto che Jeff Bezos sarebbe dovuto rimanere lì nello spazio», aveva scritto Nolan. «Assolutamente no. Deve essere riportato sulla Terra a tutti i costi. Non lasceremo che si allontanino da noi così facilmente».

Leggi anche:

Articoli di CULTURA & SPETTACOLO più letti