Così Djokovic si è messo nel sacco da solo: la quarantena non rispettata tra le prove per cacciarlo

La Corte Federale dell’Australia ha pubblicato le motivazioni della sentenza che ha confermato la revoca del visto. Citando l’intervista data da positivo come prova

La Corte federale dell’Australia ha pubblicato le motivazioni della sentenza che ha confermato la revoca del visto a Novak Djokovic. Il giudice capo James Allsop, il giudice Anthony Besanko e il giudice David O’Callaghan hanno affermato che la decisione del ministro dell’Immigrazione Alex Hawke di annullare il visto di Djokovic non è irrazionale o illogica. Citando, tra le altre prove a sostegno, le volte in cui il tennista non ha rispettato la quarantena dopo il test positivo al Coronavirus che lui stesso ha utilizzato per cercare di ottenere l’esenzione vaccinale. Ovvero l’evento pubblico a Belgrado di cui ha parlato Open (lui aveva affermato di non sapere all’epoca di essere positivo, ma nonostante tutto ha preferito mettere a rischio gli altri) e, soprattutto, l’intervista rilasciata al giornalista de l’Équipe da positivo per la quale lo stesso Djokovic si era scusato.


Le motivazioni della sentenza

Il ministro Hawke aveva spiegato che che Nole era un «rischio trascurabile per coloro che lo circondavano», ma che era «percepito da alcuni come un talismano per la comunità anti-vaccino: ritengo che la presenza del signor Djokovic in Australia possa portare a un aumento del sentimento anti-vaccinale, portando potenzialmente a un aumento dei disordini civili del tipo precedentemente sperimentato in Australia con raduni e proteste che potrebbero essere essi stessi un fonte di trasmissione del virus». E la Corte ha spiegato che le motivazioni di Hawke erano solide: «Un’iconica stella del tennis mondiale può influenzare persone di tutte le età, giovani o meno giovani, ma forse soprattutto i giovani e gli impressionabili».


Nella sua difesa su Instagram Djokovic aveva parlato dell’intervista rilasciata al giornale francese a Belgrado il 18 dicembre ed aveva ammesso di averla fatta sapendo di essere positivo al Coronavirus. E il ministro Hawke ha avuto buon gioco nell’affermare che il comportamento del campione è stato irresponsabile e Djokovic quindi rappresentava un pericolo per la salute e l’ordine pubblico: «I temi dell’incoraggiamento e dell’imitazione dell’eroe sportivo e dell’icona attraversano ragioni di preoccupazione per la salute e l’ordine, l’interesse pubblico», si legge nella sentenza. Il Parlamento, conclude il Tribunale, ha chiarito nell’articolo 116 che un ministro può revocare un visto se ritiene che la presenza del suo titolare in Australia possa rappresentare un rischio. Per questo la Corte ha dato torto a Djokovic.

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