Crisi alimentare, raddoppia il numero delle persone in difficoltà. Dal Covid alla guerra, cause e numeri di un’emergenza globale

Dopo l’allarme dell’Onu, l’Economist ha cercato di fare luce sui motivi dietro la crisi dell’approvvigionamento di cibo nel mondo

Ieri, 18 maggio, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha messo in guardia dai «devastanti effetti» della crisi alimentare che «il cambiamento climatico, il Covid» e ora «la guerra in Ucraina» stanno innescando. Una crisi che sta «mettendo a repentaglio la sicurezza alimentare di decine di milioni di persone». Dall’inizio dell’anno, il prezzo del grano è aumentato del 53%, ed è bastato l’annuncio del blocco delle esportazioni dal parte dell’India per farlo salire di un altro 6% lo scorso 16 maggio. L’aumento dei prezzi delle materie prime e dei prodotti alimentari è però solo una delle conseguenze della guerra sulla catena di approvvigionamento del cibo.


La gravità della crisi e l’impatto della guerra

Sempre nel discorso tenuto il 18 maggio, Guterres ha fatto notare che negli ultimi due anni il numero di persone che non ha sicurezza alimentare è raddoppiato, passando da 135 milioni prima della pandemia ai 276 milioni di oggi. Come riporta l’Economist, 1.6 miliardi di persone si svegliano ogni giorno senza sapere se riusciranno a mangiare. In condizioni di pace, Russia e Ucraina esportano il 28% del grano mondiale, il 30% dell’orzo, il 15% del mais, e il 75% dell’olio di girasole. L’attuale blocco di queste esportazioni mette a repentaglio gli approvvigionamenti di cibo di diversi Paesi: Libano e Tunisia dipendono dai due Paesi in guerra per metà del loro consumo di cereali, mentre Libia ed Egitto addirittura per i due terzi. Nell’Africa subsahariana le famiglie spendono il 40% del loro budget in prodotti alimentari, percentuale che la crisi innescata dalla guerra rischia di far aumentare a livelli insostenibili.


L’impasse nel Mar Nero

Al momento, i cereali non possono lasciare l’Ucraina perché Kiev ha posizionato ordigni nelle sue acque per scongiurare un assalto navale russo, mentre Mosca continua a bloccare i principali porti ucraini sul Mar Nero. Già all’inizio della guerra, la Russia aveva bloccato le sue esportazioni di grano. Non manca molto ai nuovi raccolti, ma se i silos nei porti ucraini non verranno svuotati, i produttori agricoli non avranno dove conservare i cereali di quest’anno.

Meno fertilizzanti e più protezionismo

La crisi energetica, inoltre, mette in difficoltà anche i produttori agricoli degli altri Paesi. I costi di produzione risentono dei rincari dei carburanti e in buona misura anche di quelli del gas, che si ripercuotono sul prezzo finale dei fertilizzanti (che necessitano del metano per essere prodotti). Per questo i produttori agricoli potrebbero decidere di usarne meno, il che ridurrebbe ancor di più la quantità di cereali disponibili. A causa di ciò, oltre all’India, anche altri Paesi tra cui Kazakistan e Kuwait hanno adottato misure protezionistiche che riducono le esportazioni. Nel complesso, le misure bloccano il 10% delle calorie normalmente esportate nel mondo, e circa il 20% dei fertilizzanti.

Le possibili soluzioni

L’export via terra dall’Ucraina con l’aiuto dell’Ue

L’Ue potrebbe intervenire per cercare di portare i cerali fuori dall’Ucraina via terra, ma sarebbe comunque un’operazione più lunga rispetto all’export via nave. Non solo, secondo previsioni riportate dall’Economist, solo un quinto dei cereali bloccati riuscirebbe a oltrepassare la frontiera.

Più cereali al consumo umano (e meno per animali e biocarburante)

La crisi potrebbe essere mitigata riservando una quota maggiore delle esportazioni al consumo umano. Attualmente, infatti, circa il 10% dei cereali mondiali viene trasformato in biocarburante e il 18% degli oli vegetali diventa biodiesel. Finlandia e Croazia hanno già allentato le normative che obbligano i produttori di carburanti a includere quote di biodiesel al loro interno. Infine, grandi quantità di cereali vengono impiegate nell’alimentazione animale. Se ridotte, anche queste potrebbero essere indirizzate verso il consumo umano.

Lo sblocco dei porti nel Mar Nero

La soluzione più immediata rimane il superamento dell’impasse nel Mar Nero. Affinché ciò accada, l’Ucraina dovrebbe rimuovere le mine dalle sue acque, la Russia dovrebbe acconsentire a liberare i porti occupati, per lo meno quello di Odessa, e la Turchia dovrebbe lasciare che le navi cariche di cereali attraversino lo stretto del Bosforo. Al momento, però, la trattativa, invocata anche dal Presidente del Consiglio Mario Draghi non pare decollare. La Russia sta faticando sul campo di battaglia e l’apertura dei porti sarebbe un assist all’economia ucraina. Al contempo, Kiev non sembra intenzionata a disfarsi delle mine.

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