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«Vi racconto cosa si sono detti Salvini e l’ambasciatore russo e perché con il suo piano la tregua era possibile»

matteo salvini antonio capuano vladimir putin
matteo salvini antonio capuano vladimir putin
Il superconsulente del leader della Lega Antonio Capuano ammette l'incontro con Razov. E spiega che nel cessate-il-fuoco avrebbe coinvolto anche il Papa

«I russi hanno capito che Salvini voleva spendersi davvero. E lo hanno invitato a fare altri passi». Così il superconsulente del segretario della Lega Antonio Capuano racconta l’incontro del Capitano con l’ambasciatore della Russia il 19 maggio scorso. Un incontro che Capuano aveva negato e che è emerso ieri insieme all’apertura di un’indagine da parte del Copasir sulla vicenda. Capuano, che parla dell’incontro in un colloquio con Cesare Zappieri sul Corriere della Sera, dice che l’interlocutore era «l’ambasciatore. Il segretario ha spiegato il suo progetto in quattro punti. Dall’altra parte è arrivata un’apertura di credito». Proprio ieri il premier Draghi ha criticato l’iniziativa di Salvini.

Sull’orlo della pace

Secondo Capuano la condizione di partenza dell’apertura dei negoziati di pace era il cessate-il-fuoco sul campo. «La risposta è stata: siamo disponibili a parlarne. Per la prima volta una tregua era possibile». Per questo, spiega il consulente, a quel punto bisognava coinvolgere un interlocutore credibile: il Papa. «Non a caso c’è stata un’udienza in Vaticano», precisa Capuano. L’incontro fu con il cardinale Parolin. «Perché Salvini è l’unico leader europeo che non può andare a Mosca?», si chiede Capuano, il quale si dice convinto che il piano abbia tutte le caratteristiche per raggiungere l’obiettivo e precisa che non sapeva nulla dell’incontro del primo marzo: «Il Copasir? Io sono pronto a spiegare. Non c’è nulla di segreto».

Il piano di Capuano e Salvini per la pace, come ha raccontato lui stesso ai quotidiani, prevedeva quattro punti:

  • individuazione di una località per intavolare le trattative di pace;
  • ruolo di garanzia dell’Italia, della Francia e della Germania;
  • cessate il fuoco;
  • viaggio di una altissima personalità nelle zone interessate.

Il quotidiano Domani ha raccontato che a cinque giorni dall’inizio dell’invasione il leghista e il suo consulente hanno cenato con Sergey Razov all’ambasciata di Roma. Capuano ha smentito, mentre l’ambasciata ha confermato: il rendez vous è avvenuto di sera, presso l’ambasciata a Roma, dove Razov ha organizzato una cena per il capo della Lega. Il quotidiano riportala reazione di Palazzo Chigi: «Non sappiamo nulla dell’incontro, sarebbe grave anche perché sarebbe avvenuto dopo l’invasione dell’Ucraina». E anche quella di Mosca: «Non possiamo dire nulla sul contenuto del colloquio tra Salvini e Razov».

Il Copasir

Salvini due giorni dopo aveva fatto sapere a tutti dell’incontro durante un intervento a Diritto e Rovescio su Rete 4. Il presidente del Copasir Adolfo Urso ricorda oggi in un’intervista a La Stampa che quelle che hanno portato all’apertura di un’indagine su Capuano «sono le usuali procedure quando emergono questioni inerenti la sicurezza della Repubblica, innanzi tutto con la richiesta di informazione agli organi competenti che di volta in volta possono essere agenzie di intelligence, autorità di governo, procure o la neocostituita Agenzia per la cybersicurezza nazionale». Poi ricorda che «Salvini è stato audito dal Copasir quando era ministro degli Interni e quindi conosce bene le regole che sovrintendono alla sicurezza della Repubblica. Confido ne abbia tenuto conto».

In totale gli abboccamenti con Razov sarebbero stati quattro, precisa oggi Repubblica. Dalla cena del primo marzo a Villa Abamelek fino al 19 maggio, dopo il discorso di Draghi in Senato. Intanto il caso travalica i confini nazionali e da Rotterdam, la vicepresidente della commissione europea, Margaritis Schinas, ricorda il viaggio del leader leghista in Polonia e l’accoglienza polemica di un sindaco del posto: «Ci ricordiamo di te e della tua maglietta di Putin». Poi avverte: «Se vuole andare a trattare deve avere le credenziali per poterlo fare, se no non serve». L’ex premier ucraina, Yulia Timoshenko, si limita ad osservare che «i negoziati con Putin non porteranno alla pace, dobbiamo conquistarla sul campo di battaglia».

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