Benifei (Pd): «La Germania sbaglia a muoversi da sola sull’energia. In Italia costruiamo un’alternativa unitaria a Meloni»

Il capodelegazione dei Dem al parlamento europeo affronta anche il tema delle correnti, tornate a farsi sentire per la successione di Letta: «Rappresentano gruppi che hanno poco a che vedere con le battaglie future»

L’Unione europea è tornata centrale nel giorno in cui, nei Paesi membri, i politici hanno rumoreggiato contro la decisione tedesca di muoversi autonomamente per contrastare la crisi energetica: 200 miliardi euro sul piatto, una spesa pubblica che nessun altro Stato potrebbe permettersi. Ma ieri, 30 settembre, è stato anche il giorno in cui Vladimir Putin ha dichiarato pubblicamente che quattro regioni ucraine sono diventate territorio inviolabile della Federazione russa. È stato il giorno dell’accelerazione di Kiev per entrare a far parte della Nato. Di questi temi – e della situazione in cui versa il centrosinistra in Italia – abbiamo parlato con Brando Benifei, capodelegazione del Pd al parlamento europeo.


L’iniziativa tedesca di spendere 200 miliardi di euro per combattere il caro bollette ha acceso un dibattito nei Paesi membri. Non è l’unico Stato ad aver agito unilateralmente, l’ha fatto anche l’Italia, ad esempio, riducendo l’Iva sul gas al 5% – è la più bassa di Europa -, ma per dimensioni di spesa la proposta tedesca non ha eguali. Crede che l’aiuto di Stato della Germania possa andare oltre i limiti imposti dai regolamenti europei?


«La Commissione dovrà verificare se si tratta di una violazione dei regolamenti. Faremo anche noi, lato parlamento europeo, le nostre verifiche, con eventuali interrogazioni alla presidente von der Leyen e al Consiglio. La scelta è in ogni caso problematica per l’Europa, in quanto la priorità dovrebbe essere un intervento comune. Si tratta di una scelta che deriva dalla debolezza del Consiglio nel trovare la convergenza su decisioni di cui abbiamo necessariamente bisogno, come il tetto al prezzo del gas».

C’è anche un livello politico. La mossa di Olaf Scholz si configura come uno spartiacque in quella compattezza dimostrata dall’Europa nel reagire all’aggressione russa. Chiariamoci: il costo dell’energia è schizzato a causa della guerra, ma l’unità dell’Europa fatica a palesarsi quando si tratta di reagire alle conseguenze economiche della guerra.

«Le misure adottate fino ad oggi non sono sufficienti: emerge con nettezza il problema che anche Mario Draghi ha posto a Strasburgo: la lentezza, la complessità di una decisione europea rispetto alla rapidità con cui si muovono i grandi attori globali. La Germania, muovendosi da sola, fa una scelta che nel breve termine ha un impatto positivo per la propria economia, ma che non può reggere di fronte a un quadro globale dove solo le scelte europee possono funzionare sul lungo termine. Mi riferisco a un sistema di approvvigionamento comune, a uno stop alle speculazioni dei mercati dell’energia, a un Next Generation Eu per affrontare il costo dell’energia. Questa situazione è frutto della debolezza della costruzione dell’Unione europea, cosa che noi abbiamo sempre denunciato e per cui ci battiamo da anni, soprattutto in contrapposizione alle forze nazionaliste».

Le leggo una frase: «Davanti alle minacce comuni dei nostri tempi, non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali». Il Partito democratico sta con Draghi o con Scholz?

«Non c’è dubbio che la visione che Draghi ha espresso in sede europea è la nostra: quella di un’Europa sovrana con un’Italia forte e protagonista. Abbiamo sostenuto questa azione con la forza politica che potevamo esprimere nella precedente legislatura. Senza esitazioni. Va detto che Scholz ha impresso in diverse fasi un impegno per trovare soluzioni europee, un impegno che non vedevamo in questa forma quando la cancelliera era Angela Merkel. L’ultima decisione del governo tedesco sui 200 miliardi va in controtendenza e noi la riteniamo non utile per la ricerca di una strada comune europea».

Perché Berlino continua a opporsi a un price cap al gas, quando la maggior parte degli Stati membri – soprattutto quelli che si trovano più in difficoltà – è favorevole?

«Si tratta di resistenze legate a pressioni interne all’opinione pubblica tedesca. Ci aspettiamo che la coalizione di governo della Germania le superi perché ne va del futuro dell’Europa. In passato abbiamo visto che è servito tempo per arrivare a decisioni giuste, come per il Next Generation Eu. Ma in questo caso il tempo è poco: bisogna esprimere una leadership politica che ci deve far dire, in Germania come in Italia, che prendere decisioni a livello europeo è nel nostro comune interesse. Se si guarda oltre il brevissimo termine».

E sul disaccoppiamento tra prezzo del gas e prezzo dell’energia elettrica perché non si è fatto ancora alcun progresso?

«È essenziale che sul disaccoppiamento si facciano dei progressi. Siamo convinti che avverrà a breve perché si tratta di una decisione più facile da accettare da più Paesi europei. Sono fiducioso che si sblocchi in tempi brevi».

C’è un tema di ambivalenza della solidarietà europea? Penso alla tolleranza sullo sforamento dei parametri del surplus commerciale e, invece, alle cicliche reprimende per i debiti pubblici.

«Più che un’ambivalenza mi sentirei di dire che c’è un’obsolescenza delle regole di bilancio e di equilibrio fiscale e commerciale. Si tratta di un’obsolescenza legata al fatto che il mondo è cambiato, l’Europa è cambiata e molte di queste regole sono rimaste ferme, entrando in dinamiche di applicazione interpretative. Interpretazioni elastiche, dove la politica ha preso il posto delle regole. Questo è un sistema che non può reggere più e per questo chiediamo l’apertura della convezione per la riforma dei trattati. Io, personalmente, l’ho proposto al parlamento europeo e anche von der Leyen l’ha detto con chiarezza nel discorso sullo stato dell’Unione».

La riporto in Italia, dove il suo partito si avvia verso una fase tumultuosa. Nemmeno Letta è riuscito a riconquistare l’elettorato di sinistra. Dove ha sbagliato?

«Credo che il Pd paghi i suoi lunghi anni in cui ha governato sostanzialmente con tutti, comportandosi come una sorta di Protezione civile del Paese. Oggi, dire che sono state fatte delle scelte sbagliate, come la legge elettorale, le criticità del jobs act, se viene detto in campagna elettorale da chi queste cose le ha fatte, sconta un deficit di credibilità. Credo che Letta si sia trovato in una situazione già in larga misura compromessa».

Lei è tra i più giovani dirigenti nazionali di un partito in cui, lo dicono le rilevazioni post-voto, i giovani non si riconoscono pienamente. Sente questa responsabilità?

«Certo ne sento la responsabilità perché le giovani generazioni, lo dicono i flussi elettorali, hanno scelto proposte più identitarie. Oggi il Pd, come partito della stabilità politica, della costruzione di una democrazia più solida, appare insufficiente difronte alle grandi sfide politiche nazionali e globali. I giovani, ripeto, hanno preferito soluzioni più identitarie, il che non vuol dire necessariamente che sono in grado di dare risposte articolate, ma più convincenti in un momento elettorale. Dobbiamo trovare una più forte connotazione in materia di diritti, disuguaglianze nel mondo del lavoro, emancipazione giovanile».

Le correnti continuano a scorrere e, alcune, sospingono i nomi di Bonaccini e Orlando come possibili segretari. Il sistema correntizio continua ad avere il suo peso, nonostante il discorso duro che fece Letta quando accettò l’investitura a segretario.

«È fondamentale che un grande partito abbia un dibattito organizzato secondo correnti di pensiero, di idee, che abbiano anche una propria organizzazione in rete, per portare avanti battaglie all’interno di un partito dove ci sia un’identità comune. Purtroppo da anni, per ragioni varie, le correnti del Pd sono diventate frutto di congressi già svolti e dunque prive di una vera sostanza di posizionamento politico. Rappresentano gruppi che hanno fatto in passato delle battaglie comuni e che, spesso, hanno poco a che vedere con le battaglie future. È chiaro che il prossimo congresso, per la sua natura rifondativa, dovrà costruire equilibri completamente nuovi e rispondenti a una fase in cui il Pd discuterà per darsi un nuovo programma “fondamentale”».

Come si conciliano i tempi congressuali con le delicate elezioni regionali di Lazio e Lombardia della prossima primavera? Molti esprimono preoccupazione perché non si è ancora lavorato a una strategia per le due Regioni.

«Certamente bisognerà lavorare per un campo più largo possibile di alleanze per continuare a governare il Lazio e contendere la Lombardia alla destra, dopo i disastri compiuti dalla giunta Fontana. Credo che l’impegno del partito ci sia a pieno per arrivare ad avere una squadra coesa e una proposta forte. È chiaro che si tratta della nostra prima sfida dopo le elezioni nazionali e dovrà vedere tutti impegnati in uno sforzo, sapendo che il quadro politico regionale non è necessariamente legato a schemi e decisioni nazionali sulle alleanze. Questione, quella delle alleanze a livello nazionale, che potrà essere sciolta solo dopo il congresso».

Giovane e donna. Elly Schlein è ritenuta dalla stampa internazionale il futuro della sinistra italiana. Una parte del Pd la vorrebbe segretaria del partito. Quello di Schlein è certamente un percorso diverso dal suo, che ha fatto la cosiddetta gavetta nei Giovani democratici e si è sempre tesserato. Schlein non è nemmeno iscritta al Pd. A volte sembra come se il Nazareno cercasse i propri riferimenti fuori dal partito.

«Con Elly ci conosciamo da più di 15 anni poiché abbiamo studiato insieme a Bologna. È una persona di grandissime qualità, eletta come me al parlamento europeo per la prima volta nel 2014. Perciò sarei felice se decidesse di impegnarsi in maniera più diretta nella costruzione del nuovo Pd. Sui nomi dei candidati ai segretari, penso sia prematuro parlarne, proprio perché abbiamo deciso di concentrarci prima sui temi e sull’identità e poi sulla leadership. Sia chiaro, di leadership ce n’è bisogno, ma è una cosa consequenziale ai principi identitari».

Si è guardato all’esterno anche nella fase in cui si sosteneva che Conte dovesse diventare la guida del centrosinistra. A proposito dei 5 stelle, qual è la sua posizione? Bisogna tornare a lavorare sul campo largo o quel progetto è naufragato definitivamente?

«Il Pd ha l’onere di guidare l’opposizione e lavorare per essere più forte, dialogando con le altre forze di opposizione. Sia con i 5 stelle che con il polo centrista. Certamente il Pd deve coordinare uno sforzo di opposizione a questo governo nascituro, un governo nazionalista. Una prospettiva più stabile di rapporti richiederà tempo e un confronto più a lungo termine».

Ci si deve riallargare, invece, nell’altra direzione, quella che porta verso il Terzo polo? Ecco, il modello dell’amministrazione milanese riportato su scala nazionale, ad esempio, può funzionare?

«Io credo che ci sia bisogno di parlare con tutte le opposizioni. Abbiamo già governato insieme nel Conte due con risultati importanti. Purtroppo oggi vedo molto personalismo nelle altre forze politiche e credo che una buona politica si costruisca solo andando a ragionare dei contenuti, sapendo che oggi le opposizioni sono già la maggioranza dei voti nel Paese e l’ha dimostrato l’ultima tornata elettorale. Dunque, le opposizioni tutte potrebbero costruire un progetto alternativo a Giorgia Meloni, io mi impegnerò per questo».

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