Zerocalcare: «Il Secco mi ha dato del “venduto”, ma sono rimasto lo stesso». Su Meloni: «I riferimenti sono quelli del post-Ventennio»

Il fumettista, che domani compie 39 anni, si racconta in due interviste in cui parla del suo rapporto con il successo

A Milano, dal 17 dicembre al 23 aprile, la Fabbrica del Vapore ospiterà Dopo il botto, personale di Zerocalcare con oltre 500 tavole originali che fa seguito al successo della mostra al Maxxi di Roma nel 2018. Il fumettista romano può vantare ormai oltre un milione di copie vendute, 14 libri pubblicati e una seconda serie in arrivo su Netflix. Ma l’artista, al secolo Michele Rech, assicura: «Dopo tutto quello che mi è capitato, riesco a restare lo stesso di sempre». Al Sole24Ore spiega che è dovuto all’ambiente in cui è cresciuto, ovvero «il giro del punk romano, gente che non legge i giornali, che non sa o non vuole saperne niente di quello che faccio». E in cui, scherza, il successo è quasi «una nota di demerito». «Pensa che il Secco, quello vero, quando si è rivisto nella serie di Netflix, mi ha detto solo due cose: “Sei un venduto e mi hai venduto». Sembra vivere la popolarità come un peso, più che come un vanto: «Sento grandi responsabilità nei confronti di chi mi sceglie, chi compra i miei libri. Loro investono su quello che faccio, io mi sento in dovere di restituire qualcosa di tutta questa gigantesca cosa che mi è successa», spiega. Non aiuta «l’armadillo», metafora della sua coscienza: «Mi dice che dovrei scappare da tutti questi accolli che mi prendo solo per senso di colpa. Perché sto facendo troppe cose e, di questo passo, non riesco a far niente bene. I libri, la nuova serie su Netflix, la mostra a Milano… Lui dice che questa è la ricetta perfetta per deludere tutti».


Carcere, governo Meloni, Covid

I temi che sceglie di trattare nelle sue opere e nei suoi interventi sono ricorrenti e ben precisi. Alcuni di essi, vengono discussi in un’intervista a La Stampa: come l’abolizione del carcere, nei confronti del quale si dichiara «molto critico». Afferma di non conoscere nessuno che ne sia uscito migliore di come sia entrato. E si mostra scettico nei confronti della sua efficacia nel combattere la mafia: «Trovo sbagliata l’idea che si possa combattere con più prigione e non aggredendo le condizioni in cui la mafia prospera». Critica la «sinistra» che, anziché aprire un dibattito sul tema, ha visto l’istituzione del carcere come «una rivalsa verso i corrotti», e sostiene di non avere al momento un partito di riferimento. Si dice «molto distante dal Pd» e scettico nei confronti della nuova candidata alla segreteria del Partito, Elly Schlein. «Non credo in generale alle figure salvifiche. La politica è un’esperienza collettiva e le esperienze più avanzate che conosco oggi non passano attraverso i partiti». Parla anche della gestione pandemica, a suo avviso responsabile di aver alimentato la polarizzazione del dibattito, sia rispetto alla politica che alla guerra scoppiata in Ucraina. «Le persone si sono chiuse in casa, formandosi un’opinione su Internet, lì dove si creano le idee più radicali. Si sono create delle Jihad reciproche», spiega. Un clima che, a suo avviso, è emerso anche in campagna elettorale. Il cui risultato, commenta, è molto chiaro: «Giorgia Meloni è la rappresentante di una compagine politica che da 80 anni aspettava questo momento. I riferimenti sono sempre quelli del post-Ventennio».


Un’opera sulla guerra in Ucraina? «Direi di no»

La consacrazione al grande pubblico è avvenuta dopo l’uscita della prima serie animata, Strappare lungo i bordi. È stata rilasciata su Netflix, piattaforma a cui il fumettista riconosce il merito di non aver messo troppi paletti: «Ho fatto loro parecchie proposte apparentemente suicide sul format e le hanno sempre accettate. Stanno molto attenti solo a che non ci siano personaggi che pronunciano frasi razziste o sessiste», racconta ancora al Sole24Ore. Il suo ultimo libro, No sleep till Shengal, racconta il suo viaggio in Iraq presso la locale comunità ezida, minacciata dalle tensioni internazionali e protetta dalle milizie curde. Torna così al reportage sotto forma di graphic novel, già sperimentato in Kobane calling. Ma non per questo il pubblico dovrà aspettarsi un’opera sulla guerra in Ucraina: «Non m’interessa la guerra in sé. Quando racconto il Kurdistan o Shengal, il discorso è un altro: mi interessa raccontare la società che stanno provando a costruire».

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