Coronavirus, origine, vaccini, pericolosità: cosa sappiamo della sottovariante Kraken

La nuova sottovariante di Omicron preoccupa, ma i dati sono ancora incerti

Sono tanti i nomi di fantasia assegnati ai vari lignaggi della variante Omicron, «Kraken» è quello assegnato alla sottovariante XBB.1.5, ma a dispetto del nome, non è più preoccupante delle altre varianti Covid che sono emerse in precedenza. Al momento preoccupa soprattutto gli Stati Uniti, dove il 28% dei casi sono dovuti alla sottovariante del nuovo Coronavirus. Come al solito quando emergono questi nuovi lignaggi li distinguiamo dall’analisi delle mutazioni avvenute nella parte di RNA riguardante la proteina Spike, ovvero lo “strumento” che il virus utilizza per legarsi ai recettori ACE2 delle cellule e infettarle. In particolare ci interessano le mutazioni riguardanti il Receptor Binding Domain (RBD), ovvero quella porzione di Spike che la rende pienamente funzionante.


Le principali mutazioni di Kraken

L’esperto di genomica comparata Marco Gerdol dell’Università di Trieste spiega a Open come possiamo interpretare i dati al momento a disposizione. «Il fatto che si chiami XBB con questo prefisso “X” sta a indicare che è una variante ricombinante – spiega Gerdol -, quindi discende di fatto dalle BA.2». Parliamo sempre di sottovarianti Omicron. «Abbiamo pertanto un ritorno a dominanza di BA.2 dopo qualche mese in cui c’erano state soprattutto varianti discendenti da BA.5. Il fatto che Kraken sia una ricombinazione è interessante da un punto di vista scientifico, perché conferma ancora una volta come ci possono coinfezioni nello stesso individuo creando questo genere di genomi chimerici, che poi casualmente ogni tanto acquistano delle proprietà vantaggiose». 


Dai dati emersi fino a oggi riconosciamo diverse porzioni genetiche potenzialmente in grado di aumentare la capacità di diffondersi. Una analisi del virologo Trevor Bedford suggerisce che ogni positivo alla sottovariante Kraken possa infettare mediamente altre 1,6 persone. Ci interessano in particolare le mutazioni S486P, Q183E, F486P e F490S. Preoccupano soprattutto le mutazioni nella posizione 486, perché associate a una maggiore capacità, da parte del virus, di evadere le difese immunitarie.

Eppure la variante tanto diffusa in America è stata rilevata anche in diversi Paesi europei – compresa l’Italia – già nelle ultime due settimane del 2022, ma resta relativamente poco diffusa. Tra gli altri Stati dell’Ue troviamo Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Islanda, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna e Svezia. In generale non ci sono evidenze sufficienti che suggeriscano una maggiore pericolosità di XBB.1.5 rispetto alle altre sottovarianti di Omicron. Come si spiega? «La vantaggiosità in questo caso, guardando il profilo di mutazioni – continua il Genetista -, non sembra essere una maggiore evasione immunitaria rispetto a tutte le altre sottovarianti figlie di Omicron che circolano. Semplicemente c’è di nuovo un incremento di trasmissibilità intrinseca, probabilmente in termini di affinità di legame col recettore ACE2».

«Tra tutte le mutazioni presenti è proprio la F486P che migliora l’affinità di legame. Perché in tutte le sottovarianti Omicron ci sono tante mutazioni che di fatto son state selezionate perché favoriscono l’evasione immunitaria, ma in alcuni casi sono un po’ sfavorevoli per quanto riguarda la capacità di infettare. Da una parte “migliori” alcuni aspetti e dall’altra ne “peggiori” altri. Come se avessi sempre una coperta troppo corta, la tiri da una parte e resti scoperto dall’altra. C’è voluto un po’ di tempo perché si trovasse una combinazione “ideale” con questa 486P per trovare un compromesso ottimale tra una evasione immunitaria elevata e una buona interazione di legame col recettore».

Stiamo sovrastimando il fenomeno?

Gli stessi CDC americani, data l’incertezza delle informazioni a disposizione, non è ancora chiaro se Kraken sarà destinata a diventare dominante negli Stati Uniti. E anche se dovesse succedere non è detto che lo stesso valga per l’Europa. Al momento non abbiamo nemmeno evidenze di una presunta capacità di Kraken di “bucare” i vaccini. Secondo Ewen Callaway, che ha scritto su Nature una analisi dell’emergere di Kraken in America, «la variante potrebbe non causare un grande aumento di infezioni o ricoveri in molti paesi, grazie all’elevata immunità accumulata dall’esposizione a precedenti ondate di COVID-19 e alle vaccinazioni, in particolare i recenti richiami per le persone più a rischio di malattia grave». In ragione di questo, diversi scienziati frenano i colleghi, invitando a non sovrastimare il fenomeno. Tra questi la biochimica Jennifer Surtees dell’Università di Buffalo a New York e il bioinformatico Tulio de Oliveira della Stellenbosch University in Sudafrica.

«Adesso in America si vede un vantaggio competitivo – spiega Gerdol -, con una crescita circa del 10% a settimana rispetto alle varianti che erano precedentemente dominanti». In America si è già molto avanti. «Ma anche in Europa si andrà tendenzialmente verso un rimpiazzo di questa nuova variante a discapito di tutte le altre». Dal momento che Kraken mostra una trasmissibilità intrinseca più alta, ci si può aspettare con questo tasso di crescita una nuova piccola ondata anche da noi? «Le proporzioni sono difficili da stimare, però sicuramente riporterà Rt sopra 1. Quindi ci aspettiamo aumenti di contagi, quindi ovviamente un aumento di ricoveri e di decessi, ma probabilmente non sarà un’ondata particolarmente diversa da quelle che abbiamo avuto negli ultimi mesi». 

Pensiamo al precedente arrivo di Cerberus e delle altre sottovarianti. «Secondo me siamo proprio dentro questo ciclo – conclude il Genetista -, che ci aspetterà anche nei prossimi mesi, per cui a distanza abbastanza regolare di 3/4 mesi l’una dall’altra ci troveremo davanti a nuove ondate legate, al fatto che da una parte hai il calo dell’immunità nella popolazione, dall’altra hai la variante tendenzialmente più evasiva e a volte nuove ricombinazioni come questa che favoriscono la trasmissibilità intrinseca». Dobbiamo preoccuparci più del solito? «Non ci aspettiamo nulla di drammatico, anche perché a vedere i dati americani c’è stato sì un aumento delle ospedalizzazioni, ma è compatibile con l’aumento che c’è stato nel numero di contagi. Non siamo di fronte a una sottovariante più patogenica o più pericolosa rispetto alle altre».

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