Quando Marcello De Angelis diceva: «Non so nulla della strage alla stazione di Bologna»

Ascoltato come testimone dai giudici, autodemolisce l’articolo da lui stesso firmato: «Illazioni»

È venerdì primo ottobre 1993. Marcello De Angelis si trova davanti ai giudici di Bologna. Lo hanno convocato in aula come testimone, quindi deve dire la verità. Ha da poco finito di scontare la pena di cinque anni e mezzo per associazione sovversiva. Ma non ha ancora fondato il gruppo 270 bis. E a domanda (chiarissima) risponde: «Non so nulla sui fatti di Ustica e di Bologna per mia scienza diretta». Ovvero l’esatto contrario di quello che dirà invece su Facebook trent’anni dopo. Ovvero: «Con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Non è un’opinione: io lo so con assoluta certezza». Una posizione che De Angelis ha ribadito il giorno dopo. E che si è rimangiato invece a 48 ore di distanza. Sull’onda della polemica politica che ha visto a rischio il suo posto di responsabile comunicazione della Regione Lazio.


Non so niente, anzi sì

All’epoca, racconta oggi Repubblica, i magistrati stanno indagando nell’inchiesta Italicus Bis. La strage dell’Italicus si compì nella notte tra il 3 e il 4 agosto. Mentre il treno transitava verso Bologna a San Benedetto Val di Sambro una bomba scoppiò uccidendo 12 persone. Un articolo a firma di De Angelis nel numero di “La spina nel fianco” ipotizza che la strage di Bologna sia stata compiuta per “coprire” Ustica. De Angelis scrive che «l’aereo di Ustica sarebbe stato abbattuto dal fuoco alleato con la collaborazione e la copertura dei nostri Servizi. Un’altra strage nella stessa città da cui era partito il Dc9, Bologna, sarebbe servita a coprire il pasticcio di Ustica?». Titolo del pezzo: “Una strage per un massacro”. Naturalmente non si capisce in alcun modo perché un massacro ne avrebbe “coperto” un altro. Né quale interesse ci sia a far cadere un aereo invece di far scoppiare un altro treno.


So tutto, anzi no

Si tratta dello stesso schema utilizzato per propagandare la cosiddetta pista palestinese. Anche se le indagini l’hanno esclusa. Ma nell’articolo si diceva anche che «il Sismi poi fornì tutto un castello di false prove culminato con il ritrovamento di una valigia sul diretto Taranto-Milano contenente due tipi di esplosivo: quello rinvenuto sui resti dell’aereo e quello rinvenuto tra i resti della stazione. La strage di Bologna venne rivendicata da una telefonata dei Nar, la telefonata la fece un maresciallo dei carabinieri del Sismi». Escludendo così la matrice neofascista della strage. Ma quando i giudici gli chiedono da dove viene questa tesi De Angelis risponde che l’ha presa dalla memoria difensiva di Stefano Delle Chiaie. E poi parla di “illazioni”: «Questa documentazione mi parve particolarmente interessante perché sembrava esprimere le illazioni che circolavano subito dopo gli attentati negli ambienti di destra. Non so nulla di Ustica e di Bologna per mia scienza diretta».

La telefonata

Poi c’è la telefonata di rivendicazione della strage. Che secondo De Angelis sarebbe stata fatta da un maresciallo del Sismi, il servizio segreto militare dell’epoca. La fonte dell’allora giornalista è un consigliere provinciale pugliese che avrebbe detto tutto durante un comizio elettorale. Ma lui naturalmente smentisce. Quando il giudice istruttore Leonardo Grassi deposita la sentenza di rinvio a giudizio dell’Italicus bis, di De Angelis scrive: «Come si è visto, insomma, quella del De Angelis non era altro che un’illazione e le gravissime affermazioni contenute nell’articolo hanno rivelato la loro assoluta inconsistenza a seguito dell’attività istruttoria». Non male, per uno che trent’anni dopo su Bologna non aveva «opinioni, ma certezze». Che però alla fine non ha mai rivelato. E forse grazie a quella testimonianza dell’epoca adesso capiamo anche perché.

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