Spalletti ha una possibilità di allenare la Nazionale anche se De Laurentis dice no. Ecco come

Per quali motivi si può sciogliere un patto di non concorrenza e quali sono i rischi giuridici

Il giallo sportivo di Ferragosto ruota intorno alla “clausola” che vieterebbe a Luciano Spalletti di allenare la Nazionale, a meno di non pagare un indennizzo al suo precedente club, il Napoli. La questione ha risvolti estremamente tecnici, circostanza che non aiuta una comprensione piena dei termini della vicenda; proviamo ad analizzare il tema partendo da cosa dicono le norme. Con un’avvertenza importante: utilizziamo le notizie che circolano sui media e, quindi, siamo coscienti che le carte custodite gelosamente dai protagonisti della vicenda potrebbero contenere dettagli, sfumature ed elementi capaci di spostare gli equilibri.


La clausola

Quella che gli organi di stampa stanno definendo come la “clausola” che vincola Spalletti sembra nella sostanza agire come un patto di non concorrenza. Un accordo, regolato dal codice civile (art. 2125), con il quale due parti tra le quali è in corso (oppure è cessato) un rapporto di lavoro decidono di fissare un impegno ben preciso: il divieto, per il lavoratore, di andare a lavorare per altri datori dopo la fine del rapporto. L’impegno firmato da Spalletti è di questo tipo: è un istituto giuridico consentito dalla legge e, quindi, è assolutamente legittimo che le parti abbiano deciso di farvi ricorso. Il problema che si pone rispetto a qualsiasi patto di non concorrenza – non solo quello di Spalletti – è la sua validità: la giurisprudenza del lavoro è, infatti, molto attenta ad evitare che gli impegni di non concorrenza diventino delle “gabbie” che riducano in maniera eccessiva la libertà di un lavoratore di esercitare il proprio fondamentale diritto al lavoro, e quindi molto spesso annulla vincoli troppo stringenti.


Come funzionano i patti di non concorrenza

In questa ottica, i patti di non concorrenza sono ritenuti validi solo se rispettano alcune caratteristiche fondamentali, che proviamo a riassumere citando una delle tantissime pronunce della Cassazione sul tema (sentenza n. 9790 del 2020): il patto di non conferenza “non deve essere di ampiezza tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale”. Questo vuol dire che un datore di lavoro non può fare prigionieri, neanche pagando un lauto compenso: il patto di non concorrenza deve lasciare sempre uno spazio lavorativo a chi lo firma. Un aspetto interessante che andrebbe utilizzato anche per interpretare l’accordo firmato da Luciano Spalletti; se avesse firmato un impegno che gli vieta di firmare per qualsiasi squadra di calcio – quale che sia la competizione, la posizione territoriale e l’ambito sportivo – avrebbe probabilmente superato il confine fissato dalla giurisprudenza.

La questione del corrispettivo

Il patto di non concorrenza sarebbe, invece, valido quali ora vietasse esclusivamente di accettare proposte di lavoro da altri club del campionato italiano o di altri campionati professionistici, con una precisa delimitazione territoriale: un vincolo di questo tipo (che sembra essere quello firmato da Spalletti) non precluderebbe l’accettazione di proposte di lavoro con una Nazionale di calcio, e quindi sarebbe perfettamente compatibile con i paletti fissati dalla giurisprudenza del lavoro. Un altro aspetto che deve essere considerato per valutare la vicenda è l’entità del corrispettivo che dovrebbe aver pagato il Napoli per l’impegno assunto da Luciano Spalletti: anche su questo tema, la giurisprudenza è intervenuta a più riprese per segnalare la necessità che il corrispettivo sia “congruo” rispetto al sacrificio richiesto. Quando parliamo di un allenatore professionista che ha appena vinto uno scudetto, la soglia di questa congruità si colloca molto in alto nella scala retributiva, dovendosi prendere come riferimento il livello medio dei compensi che potrebbe percepire un allenatore di quel livello. Non sappiamo se e quanto è stato pagato a Spalletti per la firma del patto, ma sicuramente tale importo ha una sua rilevanza per capire quanto è vincolante il patto.

La soluzione

Come si esce da questa situazione? Ovviamente la soluzione ottimale sarebbe quella di un accordo: il Napoli non dovrebbe rinunciare al proprio patto di non concorrenza, ma potrebbe limitarsi ad accettare un’applicazione del vincolo conforme a quello che dice la giurisprudenza. Quindi, Spalletti resterebbe vincolato all’impegno sottoscritto – non accettare per tutta la stagione sportiva proposte di lavoro da alti club concorrenti del Napoli – ma sarebbe libero di lavorare per la Nazionale, che non è certamente un club che compete con il suo precedente datore di lavoro. Se invece il Napoli non dovesse accettare tale interpretazione, Spalletti potrebbe comunque firmare per la Nazionale, ma sarebbe esposto al rischio di fronteggiare un contenzioso.

Il rischio giudizio

I campioni d’Italia potrebbero, infatti, portarlo in giudizio per chiedere a un Giudice di vietargli di lavorare per la Nazionale, da un lato, e di pagare l’indennizzo milionario di cui si parla in questi giorni, dall’altro. Un contenzioso che sarebbe molto in salita per i campani, tanto dal punto di vista giuridico quanto da quello mediatico: c’è da scommettere che i protagonisti della vicenda ci penseranno due volte prima imboccare questa strada.

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