Da settembre lezioni in classe contro la violenza di genere: il piano del governo dopo gli stupri di Palermo e Caivano

A salire in cattedra saranno gli studenti, sulla scia della “peer education”, guidati da esperti del settore

A breve studenti e insegnanti di tutta Italia torneranno tra i banchi e le cattedre di scuola. Un ritorno che non potrà ignorare quanto accaduto in queste settimane: gli stupri di Palermo e Caivano (e non solo). Definiti da più parti un vero e proprio fallimento educativo, i recenti casi di cronaca hanno spinto il ministero dell’Istruzione e del Merito a ideare un piano per introdurre lezioni in classe contro la violenza di genere. Gli istituti scolastici coinvolti saranno quelli secondari di secondo grado, ovvero licei, istituti tecnici e professionali. Un piano che mira a essere educativo anche nelle modalità di insegnamento: a salire in cattedra non saranno i docenti, ma gli studenti. La cosiddetta Peer education (educazione tra pari), una metodologia già adottata da molte scuole per affrontare determinati argomenti scolastici. A guidare ragazzi e ragazze ci saranno esperti del settore: psicologi, rappresentanti delle associazioni in difesa delle vittime di violenza e avvocati.


Così il ministro raccoglie l’appello di docenti, educatori e genitori

Secondo quanto riferisce Il Messaggero, il progetto del dicastero di Viale Trastevere prevede che in classe arrivino lezioni di «educazione alla sessualità», da intendere come corsi di formazione specifica sulla parità di genere e il contrasto a un sistema «machista e maschilista». Ogni gruppo di alunni dovrà approfondire un determinato aspetto della violenza di genere. Così il ministro Giuseppe Valditara ha deciso di accogliere l’appello arrivato da insegnanti, psicologi, educatori, genitori e magistrati: è necessario agire con forza anche nell’educazione. Solo nei giorni scorsi è diventato virale lo sfogo di una professoressa siciliana in seguito all’arresto dei sette ragazzi accusati di violenza sessuale di gruppo ai danni di una 19enne palermitana: «Come insegnante mi sento in obbligo di dire la verità in faccia a tutti i genitori: abbiamo fallito tutti. La comunità educante non può essere solo un’espressione linguistica: deve essere un fatto concreto».


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