Biden-Xi, missione (im)possibile: fermare la guerra mondiale a pezzi. Ecco le prime 5 cose di cui parleranno oggi i leader di Usa e Cina

A un anno esatto dall’ultimo incontro, i due capi di Stato si vedranno in una tenuta alle porte di San Francisco. I temi in agenda e le chances di successo

A San Francisco da qualche giorno sono scomparsi i senzatetto. Per lo meno dalla United Nations Plaza eletta a luogo di ritrovo per eccellenza per disperati e spacciatori del centro città. Non perché l’amministrazione locale abbia trovato casa a tutti o risolto l’emergenza emarginazione/criminalità, ma per ragion di Stato: tra poche ore la città ospiterà decine di capi di governo di tutta la regione dell’Asia-Pacifico riuniti per il forum dell’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation). Ma soprattutto uno, il leader Xi Jinping, che a un anno esatto di distanza dall’ultimo bilaterale tornerà a parlare a quattr’occhi col presidente Usa Joe Biden. E il dettaglio «coreografico» già rende l’idea di quanto la Casa Bianca investa sull’incontro: la profezia di Papa Francesco su una nuova «guerra mondiale a pezzi» sembra avverarsi ogni giorno di più – tra orrori e violenze in Est Europa e in Medio Oriente, e focolai di tensione solo apparentemente dimenticati in Africa, in Asia e nel Mediterraneo. E Usa e Cina non possono permettersi di non collaborare. O meglio, possono, eccome. Ma il prezzo da pagare di una rottura o anche solo di un mancato coordinamento tra le due nazioni leader del mondo potrebbe essere davvero il caos internazionale. «Il tavolo è stato preparato nel corso di molte settimane per quella che speriamo sarà una conversazione molto produttiva, candida, costruttiva», ha detto alla viglia dell’incontro il portavoce della Casa Bianca John Kirby. L’appuntamento, come rivelato da Voice of America, è per le 10.45 di questa mattina (le 19.45 in Italia) nella riservatissima tenuta di Filoli, a sud di San Francisco. Ma di che parleranno esattamente, Biden e Xi, e con quali chances di successo?


Israele-Hamas e il rischio di un Medio Oriente fuori controllo

Il riesplodere della violenza tra israeliani e palestinesi/Hamas sta angosciando il mondo intero, da qualsiasi parte la si guardi. Ma Usa e Cina hanno con il dossier un rapporto decisamente asimmetrico: l’America si porta dietro tutto il «fardello imperiale» della potenza egemone da quasi un secolo chiamata in primo luogo a tenere insieme i pezzi del mosaico per evitare che la regione esploda. A beneficio di tutti, non solo suo. Il che spiega i frenetici viaggi del segretario di Stato Antony Blinken nella regione, delle scorse settimane, con spostamenti continui e negoziati al limite dell’impossibile con tutti i partner coinvolti (o da coinvolgere). Una missione da esaurimento nervoso, oltre che diplomatico, i cui risultati restano sin qui parziali. Pechino invece, come ormai da tradizione nel regno di Xi Jinping, guarda l’incendio, rilascia qualche dichiarazione e prende qualche contatto dietro le quinte, ma nel complesso può (o pensa di poter) permettersi il lusso di restare alla finestra. Veder dannarsi gli Usa, l’Ue o l’Onu per trovare una soluzione al limite dell’impossibile torna assai comodo. Biden proverà a stanare Xi dalla sua comfort zone. Se la Cina vuole davvero «laurearsi» potenza mondiale, deve cambiare marcia. Pena il caos e il disordine, appunto. Il presidente Usa chiederà quindi al suo interlocutore di assumersi le sue responsabilità, e di usare tutti i mezzi a disposizione della sua diplomazia in particolare per tenere a freno l’Iran, che minaccia un giorno sì e l’altro pure di alzare le mire contro Israele mentre il suo esercito è assorbito dalla campagna di Gaza, e che da settimane sta già facendo colpire – tramite i suoi proxies locali – basi e obiettivi Usa in Siria, in Iraq e nel Golfo. Il dilemma, naturalmente, è se Xi vorrà dare una mano agli Usa, o resterà a crogiolarsi nel vedere il grande rivale in difficoltà.


Il momento della svolta tra Russia e Ucraina?

Frustrazione del tutto simile gli Usa (e non solo) la provano in relazione alla guerra che lacera da quasi 21 mesi l’Ucraina: ogni speranza di coinvolgere la Cina in pressioni sull’alleato Vladimir Putin perché ponesse fine all’aggressione dell’ex satellite (in nome di quella «non interferenza» tanto cara a Pechino) è stata sin qui vana. Ma ora il quadro del conflitto pare diverso. Sul campo, se le incursioni dell’aviazione russa e quelle delle forze ucraine non sono certo esaurite, la situazione militare è di stallo, come hanno riconosciuto di recente i due stessi contendenti. Ma a differenza di qualche mese fa, l’Occidente non sembra più davvero credere nella possibilità di una vittoria dell’Ucraina nel respingere i russi: la controffensiva non ha funzionato, e il capitale politico ed economico di sostegno alla causa di Kiev si sta rapidamente depauperando. Mai come ora, insomma, Biden ha interesse a spingere in direzione di una mediazione tra Russia e Ucraina per uscire dallo stallo trovando una soluzione politica al conflitto. Ce l’ha Zelensky stesso, si sforzano di fargli capire gli alleati, se vuole evitare il peggio – cioè che al posto di delicati negoziati resti una guerra di logoramento coi rubinetti del sostegno occidentale che vanno via via a chiudersi. La domanda, anche qui, è se la questione troverà ascolto alle orecchie di Xi, oltre che del ricercato internazionale per crimini di guerra Vladimir Putin.

Evitare il peggio, dal mare al cielo

Il rumore assordante del conflitto Israele-Hamas ha coperto quasi del tutto le notizie della guerra Russia-Ucraina. Figurarsi, per lo meno in Europa, quello delle scaramucce navali tra la Cina e i suoi competitor (o percepiti tali) nei mari d’Asia. Ma ciò non significa che le tensioni non restino all’ordine del giorno in quell’area. Meno di una settimana fa il governo delle Filippine ha denunciato l’ennesima incursione delle forze navali di Pechino nel Mar cinese meridionale: questa volta, nell’ultimo di una lunga serie di «incidenti», sarebbero partiti alcuni colpi di cannone dalle navi cinesi impegnate in «manovre pericolose» per i vascelli filippini. Ma la sfida delle sfide è, come noto, quella che si gioca su Taiwan, che Xi non fa mistero di voler ricongiungere alla Cina, con le buone o con le cattive, entro il prossimo decennio. Da mesi la sua marina fa le prove generali di un’aggressione, che galvanizzerebbe forse i cinesi, ma aprirebbe il vero terzo fronte della guerra mondiale a pezzi. Da quando, nell’agosto 2022, l’allora speaker della Camera Nancy Pelosi ha fatto visita a Taiwan per ribadire al più alto livello il sostegno Usa all’autonomia dell’isola, la Cina ha speso ogni canale di contatto tra i due eserciti/dipartimenti di Difesa. Col dossier-Taiwan tornato al momento fuori dai radar, gli sherpa delle due potenze hanno lasciato trapelare che uno degli esiti tangibili del vertice Xi-Biden potrebbe essere la riapertura di quei canali cruciali di comunicazione militare. Perché il rischio, più che di una guerra aperta tra le due super-potenze, è quello di un incidente, di equivoci. Come ha messo bene in luce la misteriosa apparizione sui cieli degli Usa e del Canada, lo scorso febbraio, di alcuni palloni aerostatici di fabbricazione cinese. A che servivano? Erano davvero dei raffinati strumenti di spionaggio come sostenuto dall’intelligence Usa? E se sì, che dati hanno potuto sottrarre? In mare, in cielo o addirittura nello spazio – come insegna l’esperienza della Guerra fredda – meglio parlarsi prima, piuttosto che a situazione sfuggita di mano, o quasi.

Governare l’evoluzione tecnologica

I palloni aerostatici ritoccato per scopi di raccolta dati/spionaggio sono solo una delle possibili diavolerie di quest’epoca di dirompente evoluzione tecnologica. Che va governata, se l’umanità non vuole corriere il rischio di vedersi presto o tardi incapace di controllare le macchine che ha costruito, come avvertono scienziati, filosofi e gli stessi imprenditori del settore. Il pensiero vola in particolare all’Intelligenza artificiale, che ha dimostrato in questo 2023 tutte le sue capacità: mirabolanti, ma anche spaventose. La questione della sua gestione presente e futura è stata al centro di un vertice internazionale organizzato la scorsa settimana dal governo britannico (con la partecipazione anche di Giorgia Meloni). La Casa Bianca democratica è sensibile al tema: e non è detto che questo non sia un tema su cui anche la Cina sia disposta a lavorare – non foss’altro che per dimostrare la sua asserita buona volontà di «partner responsabile» della governance globale. Resta, sul terreno tecnologico, il pesante scoglio delle sanzioni: sulla falsariga dell’amministrazione-Trump, anche la Casa Bianca di Joe Biden ha via via introdotto una serie di restrizioni all’export di tecnologie Usa verso la Cina. Lo stop o i controlli rafforzati riguardano soprattuto chip, semiconduttori e altri componenti chiave per l’industria: inclusa, è il punto chiave, quella militare e legata appunto allo spionaggio. Pechino è furente per il trattamento riservato su questo piano, e non perde occasione di dirlo esplicitamente. Il dialogo su questo terreno s’annuncia teso: la sfida è evitare che deteriori il clima bilaterale anche sui dossier più prettamente politici.

Fermare la strage degli oppioidi

Se c’è un tema su cui invece Xi e Biden potrebbero sbloccare un’intesa concreta – secondo quanto filtrato alla vigilia – è su un altro terreno commerciale, decisamente sui generis. La Cina potrebbe finalmente cedere alle pressioni della Casa Bianca ed annunciare un cambio di passo sul controllo delle componenti chimiche necessarie a produrre il fentanyl. L’oppioide sintetico utilizzato negli Usa come antidolorifico, ma venduto sul mercato nero, anche in forme modificate, come stupefacente, fa da anni strage di cittadini americani, soprattutto di giovani: 1.500 alla settimana, secondo i dati del National Center for Health Statistics. Le componenti chiave per ottenerlo arrivano soprattutto dalla Cina verso il Messico, dove i narcotrafficanti le assemblano per ricavare la sostanza letale, con cui inondare poi il mercato americano. Se Xi acconsentirà a chiudere le viti sull’export di quelle componenti, forse Biden potrebbe concedere qualcosa su altri terreni commerciali. In fondo anche Pechino, che sembra aver detto addio ai tassi di crescita «mirabolanti» degli scorsi due-tre decenni, oggi ha bisogno degli Usa per rivitalizzare la sua economia, e assicurare così davvero lunga vita politica a Xi Jinping. E, a proposito di vita politica da allungare, anche Biden ha qualche pensiero in vista delle elezioni 2024.

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