Eurovision 2025, in finale Gabry Ponte e Tommy Cash. Orgoglio Lucio Corsi. Il meglio e il peggio della prima semifinale


La 69esima edizione dell’Eurovision Song Contest, di base quest’anno a Basilea, ha preso il via con la prima tranche di semifinali. 15 i paesi in gara che ieri sera hanno calcato il palco dell’Arena St. Jakobshalle tramite i propri artisti rappresentanti, 10 quelli che si sono guadagnati a suon di televoti la finale di sabato: Norvegia, Albania, Svezia, Islanda, Paesi Bassi, Polonia, San Marino, Estonia, Portogallo e Ucraina. Il risultato ci dice che la finale sarà a fortissima trazione italiana, oltre a Lucio Corsi, che si è esibito stasera fuori gara, sabato troveremo Gabry Ponte (San Marino) e l'”adottato” Tommy Cash con il suo tormentone Espresso macchiato.
A condurre la serata l’attrice e presentatrice svizzero-statunitense Hazel Brugger e la cantante svizzera Sandra Studer; poi, a conferma della sostanziosa presenza dell’Italia in questa edizione, tra concorrenti e citazioni, sabato si unirà a loro la “nostra” Michelle Hunziker. A commentare la serata per la diretta italiana su RaiDue (ci si sposterà sul primo canale sabato), il veterano Gabriele Corsi e BigMama, al suo esordio.

Il meglio della prima semifinale
La serata parte tutto sommato bene con l’esibizione degli islandesi Væb, un duo con le sembianze di Lazza in gara con Róa, una hit anni ’90 della peggior specie che si salva per il fascinoso richiamo alla musica celtica sul ritornello. Anche la Polonia fa bella figura con Justyna Steczkowska e la sua Gaja, un complesso ed interessantissimo pop dalle venature goth con esplosione nel ritornello che merita la finale. Ha commosso l’esibizione di Klemen, in gara per la Slovenia con la sua canzone dedicata alla moglie malata dal titolo How much time do we have left?, ma non basta, a sorpresa, per accedere alla finale.
Il miglior pezzo
Bird of Pray è l’ottimo brano cantato dagli ucraini Ziferblat, che hanno tirato un sospiro di sollievo aggiudicandosi l’ultimo slot disponibile per la finale, una soddisfazione meritata, la canzone riporta ad un certo pop anni ’80, con molti synth e un’andatura imperativa. Il miglior pezzo in gara ascoltato ieri sera è certamente Bara Bada Bastu degli svedesi Kaj: pop scandinavo con intraprendenti tonalità rock/folk dell’est Europa. In finale anche l’Albania grazie a Zjerm, degli Shkodra Elektronike, che nelle loro fila vantano anche Kole Laça, ex tastierista dei Teatro degli Orrori, brano ben articolato seppur tetro. Giusti i voti che portano in finale i Paesi Bassi di Claude con la sua deliziosa C’est la viè, che parte come una sorta di filastrocca in francese per poi fiorire in un ritornello impetuoso e leggero.
Non la risentiremo in finale ma è stata convincente anche Poison Cake del croato Marko Bošnjak, brano esplosivo che vibra di una gradevole inquietudine. Chiudiamo la carrellata del meglio della prima semifinale dell’Eurovision Song Contest 2025 con Zoë Më, cantante in gara per la Svizzera, ottima padrona di casa con la sua Voyage, brano che parte esile e ficcante, una vera carezza, per poi vivere un crescendo orchestrale entusiasmante.
Il peggio della prima semifinale
Posto che la miscellanea di approcci agli show televisivi rendono l’Eurovision regolarmente un incrocio tra Giochi senza frontiere, X Factor e un capodanno russo, in cima ai peggiori della prima semifinale piazziamo Tommy Cash. Non perché il brano sia meno simpatico ed efficace, anzi, davamo per scontato il passaggio di turno, ma Espresso macchiato arriva all’Eurovision dopo una campagna europea, soprattutto italiana, a dir poco asfissiante. Ciò lo ha avvantaggiato, è chiaro, ma c’è un risvolto della medaglia: arrivati al momento clou è come se il tormentone, che già di natura, essendo tormentone, scade presto, abbia esaurito la benzina.
Tommy Cash
L’artista estone poi organizza un’esibizione identica a quella che abbiamo già visto sulle reti italiane, così la puzza di già visto e già sentito si moltiplica. Non ci ha convinti nemmeno la spagnola Melody, la sua Esa Diva è una hit ultracommerciale, generalista e sempliciotta, che poi sono le motivazioni per le quali è data tra le favorite. Passa in finale anche il Portogallo di Napa, la sua Deslocado ci riporta alla proverbiale e splendida delicatezza e poesia del canto portoghese, capace di far sognare infiniti mondi e contemporaneamente stendere un pony dalla noia. Il brano non è male ma meglio affrontarlo con caraffe di caffè. Passa in finale anche la Norvegia di Kyle Alessandro, la sua Lighter è una hit qualunque, anche abbastanza invisibile, ma probabilmente, in quanto hit, è piaciuta al pubblico a casa.
Gabry Ponte
Torna a casa invece il Belgio con Red Sebastian, che canta Strobe Lights, canzone priva di anima ed interpretata anche piuttosto maluccio. BigMama ha definito i Mamagama «I The Kolors italiani», effettivamente il paragone regge, la struttura è da boy band e il brano, Run with U, abbastanza orecchiabile, forse ad indispettire il pubblico la voce del cantante, evidentemente illuminato sulla via di Michael Jackson.
Tra i peggiori anche Gabry Ponte, il fatto che Tutta l’Italia si accomodi con tale serenità tra le sonorità iperpop tipiche dell’Eurovision dovrebbe far riflettere. Intendiamoci: è indubbio che il dj di fama mondiale potrebbe serenamente arrivare fino in fondo, da casa la sensazione è che sia stato uno dei brani più amati dal pubblico in studio, la qualificazione alla finale non era nemmeno messa in dubbio, ma ciò non toglie che il brano è sostanzialmente povero, sotto diversi punti di vista. A guardare la finale da casa infine Theo Evan, che c’ha messo impegno per architettare la messa in scena per la sua Shh, peccato che trattasi di dance dimenticabilissima.
L’esibizione di Lucio Corsi
Di certo Volevo essere un duro è una canzone che poco si confà alla playlist dell’Eurovision Song Contest, questo perché decisamente troppo onesta per un ambiente così smaccatamente plastificato. Una necessità dunque, ancor prima che una buona trovata, far scorrere il testo in inglese sottopancia durante l’esibizione, anch’essa assai minimal, per sperare che anche all’estero si possa apprezzare la poetica di Lucio Corsi, unire i puntini e permettere al pezzo di colpire dove deve.
Impossibile per uno spettatore italiano capire quanto e come l’esibizione di ieri sera possa essere stata efficace, è una cosa che toccherà aspettare sabato notte per capire. Una cosa però è certa: noi possiamo andare fieri di aver sbattuto in faccia a tutto il mondo la nostra tradizione cantautorale, senza mimetizzarci dietro al solito impudente pop di matrice americana. Lucio Corsi ha mostrato il lato più bello della nostra musica. Se lo capiranno, bene. Se non lo capiranno, bene lo stesso.
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