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Flotilla oltre la soglia critica: cosa può succedere agli attivisti?

01 Ottobre 2025 - 18:22 Marianna Satta
global sumud flotilla israele hamas palestina
global sumud flotilla israele hamas palestina
Il timore è la ripetizione del massacro del 2010, quando la nave turca Mavi Marmara fu abbordata in acque internazionali e ci furono dieci morti e decine di feriti

La Global Sumud Flotilla , composta da oltre cinquanta imbarcazioni e più di 500 attivisti internazionali, si trova ora a meno di 100-135 miglia nautiche dalla costa di Gaza, all’interno della cosiddetta “zona critica”, dove Israele ha storicamente intercettato le missioni precedenti. Nonostante i numerosi tentativi di far cambiare rotta alla Flotilla, l’obiettivo degli attivisti rimane lo stesso, consegnare gli aiuti umanitari e, soprattutto, rompere il blocco navale israeliano, ritenuto illegale. La tensione cresce: la presenza di droni e navi da guerra in manovra rende chiaro che un possibile abbordaggio sia imminente ma sono diverse le strade che Israele potrebbe intraprendere.

Lo scenario più probabile

Lo scenario più realistico è un’intercettazione non letale in alto mare, seguita dalla detenzione e deportazione degli attivisti. La Marina israeliana tenterà prima di intimare l’alt tramite altoparlanti, chiedendo di deviare verso un porto israeliano. In caso di rifiuto, i militari dell’Idf abborderanno le imbarcazioni e le porteranno verso Ashdod, come accaduto nelle missioni precedenti del Marianne of Gothenburg nel 2015, e Madleen nel 2025. Una volta a terra, gli attivisti verranno accusati di ingresso illegale in Israele. Il risvolto più probabile è che gli attivisti vengano detenuti e deportati, mentre chi rifiuterà l’espulsione potrebbe essere trattenuto più a lungo. Israele ha ribadito che il blocco navale è legale e necessario per impedire il traffico di armi ad Hamas, definendo la Flotilla una «provocazione politica». Il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha lanciato un ultimatum, offrendo di convogliare gli aiuti tramite Cipro o Ashkelon, assicurando che non verrà fatto uso di forza letale.

Lo scenario peggiore

Il timore più drammatico resta la ripetizione del massacro del 2010, quando la nave turca Mavi Marmara fu abbordata in acque internazionali e l’uso della forza da entrambe le parti provocò dieci morti e decine di feriti, aprendo una crisi diplomatica senza precedenti. Proprio per scongiurare simili tragedie, la GSF ha adottato un protocollo di non-resistenza passiva: gli attivisti, addestrati alla disobbedienza civile gandhiana, hanno dichiarato che non opporranno alcuna resistenza all’abbordaggio israeliano.

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