Salvini negli Stati Uniti, gli appuntamenti su sicurezza e flat tax (ma non vedrà Trump)

Il vicepremier vedrà il Capo di stato Pompeo, il vicepresidente Pence e Grover Norquist, l’uomo della riforma fiscale del tycoon

È stata resa nota l’agenda della visita di Matteo Salvini negli Stati Uniti per la giornata di oggi, lunedì 17 giugno. Il vicepremier avrebbe dovuto recarsi negli Usa già prima delle elezioni Europee, ma le tensioni nel governo e gli appuntamenti della campagna elettorale hanno fatto slittare il viaggio fino a oggi.


Da molte parti, e da tempo, si parla di una sorta di ricerca, da parte del ministro dell’Interno italiano, di una sponda statunitense nella sua scalata a Palazzo Chigi. Sponda che in parte sarebbe ostacolata dalle simpatie putiniane mai celate da Salvini.


Gli appuntamenti

Intanto un punto è stato chiarito: Salvini non incontrerà Donald Trump. Al di là delle questioni formali, Salvini non è né primo ministro, né capo di Stato, tra i due c’è un precedente che pare ancora irrisolto: nell’aprile del 2015 Salvini pubblicò sui suoi profili social una fotografia che lo ritraeva sorridente e pollice in alto con l’allora candidato alla Casa Bianca a margine di una manifestazione elettorale, appunto per la corsa allo Studio Ovale, vicino a Philadelphia. Ma dopo poche ore dalla pubblicazione Trump smentì di conoscere Salvini.

Un saluto dagli Stati Uniti, amici. Go, Donald, GO!#trump2016

Posted by Matteo Salvini on Monday, April 25, 2016

Il tycoon non solo aveva negato di aver mai conosciuto Salvini, ma aveva precisato di «non averlo voluto vedere» e aveva preso le distanze dalle posizioni della Lega. Ma il leader della Lega aveva comunque insistito: «Ci conosciamo».

Quindi, visti forse anche questi precedenti, il ministro dell’Interno italiano non incontrerà il presidente degli Stati Uniti, ma, già alle 9 di mattina, il segretario di Stato Michael Pompeo.

Poi alle 10.20 (quindi l’incontro con Pompeo, visti anche i tempi tecnici del trasferimento, durerà meno di un’ora), Salvini parteciperà alla cerimonia di deposizione della corona di fiori alla tomba del milite ignoto presso l’Arlington national cemetery, il celebre cimitero militare dalle bianche lastre di marmo tutte uguali. Seguirà un punto stampa.

Alle 11.15 ci sarà un incontro interessante anche in chiave tutta italiana: Salvini infatti vedrà Grover Norquist, il presidente di Americans for tax reform, cioè l’uomo della riforma fiscale di Trump. È arcinoto, e spesso viene ripetuto anche durante i suoi interventi televisivi, che uno dei modelli del cambio di rotta in materia fiscale di Matteo Salvini (flat tax) sia propria la riforma del fisco voluta da Trump, che si è concretizzata nello specifico soprattutto nel consistente taglio della tassazione dei redditi delle imprese dal 35 al 21%.

Dopo l’incontro con Norquist ci sarà una vera e propria conferenza stampa aperta alle domande dei giornalisti. A seguire Salvini si trasferirà alla Casa Bianca (che visiterà per la prima volta) per l’incontro non, come detto, con il padrone di casa, ma con il suo vice, Mike Pence. Sebbene esista un filo “sovranista” che lega l’amministrazione Trump e la leadership (per ora solo del Carroccio, ma in prospettiva del Paese) salviniana, da parte statunitense si è manifestata in questo ultimo anno una certa freddezza nei confronti del governo gialloverde.

Il tema al centro di questo non eccessivo entusiasmo per il governo italiano, ed è probabile che sarà il cuore dello scambio con Pence, non è tanto un giudizio sulle politiche del governo Conte, quanto l’impegno (secondo gli Usa non adeguato) dell’Italia nella Nato.

In particolare a Roma viene addebitato di non rispettare le prescrizioni del Patto Atlantico, essendo lontana dal 2 per cento del Pil investito in spese militari. Salvini negli scorsi mesi si è espresso favorevolmente riguardo a progetti considerati dagli Usa strategici come gli F-35, suscitando le ire degli alleati 5 Stelle: dato questo punto di partenza Salvini potrebbe rivelarsi per gli americani un buon alleato su quel tema, centrale per Trump, per realizzare il suo piano di “disimpegno” (o meglio di maggiore condivisione delle responsabilità) a livello internazionale che non è secondario nel più complessivo progetto che va sotto il nome di American First.

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