«Ecco gli eroi del caso Cucchi». I commenti della chat da cui arriva la foto del ragazzo bendato


Sono girate tante informazioni imprecise su come è circolata, nei giorni successivi alla morte di Mario Cerciello Rega, l’immagine di Natale Hjhort bendato. Quella foto ha fatto molto discutere e ha portato a due distinte indagini penali, una in sede militare e l’altra civile, perché l’arrestato era legato e bendato, cosa che il codice italiano impedisce in qualunque circostanza.
Nei giorni scorsi, il quotidiano Il Giornale ha scritto, ad esempio, che sarebbe stato un poliziotto a far uscire quella immagine dalla chat di “amici” tra carabinieri, finanzieri e poliziotti che condividono commenti personali e non su WhatsApp. La notizia si è poi rivelata falsa.
Alcuni poliziotti della questura di Roma sono stati effettivamente sentiti, come «persone informate sui fatti», perché di quella chat fanno parte. Ma è stato un carabiniere a scattare la prima immagine. E un altro carabiniere, nel nord Italia, ha girato l’immagine ad un giornalista de La Stampa che poi l’ha inizialmente pubblicata in esclusiva.
Alcuni carabinieri sono stati sentiti nelle scorse ore, anche nel nord Italia, e il cerchio si sta stringendo sulla persona che ha passato lo scatto alla testata giornalistica. Il militare ora rischia accuse gravi come divulgazione di notizie segrete o riservate. Rischia la sospensione dal servizio o il congedo con disonore, ovvero quella che il codice militare chiama degradazione (e include la restituzione anche fisica dei gradi appuntati sulla divisa).
Le accuse sul caso Stefano Cucchi
Ma c’è un altro aspetto che ha spinto il procuratore reggente Michele Prestipino ad intervenire: nella chat in questione, i commenti sulla foto postata sono a dir poco aggressivi nei confronti di chi sta svolgendo le indagini. Era noto fin dai primi giorni che il gruppo WhatsApp fosse frequentato anche da persone critiche con il comportamento del colonnello Lorenzo D’Aloia, che segue anche questa indagine ed è stato l’investigatore del caso Cucchi, ovvero colui che ha svelato un tentativo di depistaggio che coinvolgeva anche alti gradi dell’Arma.
L’inchiesta che ha rivelato il depistaggio nel caso del ragazzo morto nel 2009, per molti – anche in quel gruppo WhatsApp – invece di far venire a galla le “mele marce” è stata un colpo basso, qualcosa che si poteva o doveva evitare per salvare il buon nome del corpo.
Ora, si scopre anche che i commenti sono stati duri, durissimi. E che il riferimento alle indagini sul depistaggio relativo al caso Stefano Cucchi è stato citato più volte. Nella chat compaiono frasi come «Ecco cosa fanno i carabinieri che si fanno belli sul caso Cucchi», se non più violente.
Da qui sarebbe nata la scelta di qualcuno di rivelare quella foto ai giornali. E dalla conoscenza del clima tremendo interno all’Arma, la decisione della procura di Roma di agire in tempi rapidi anche su questo punto.
Il ruolo della squadra fuori turno
Intanto, continuano ad essere poco chiare le tessere del puzzle che deve ricostruire i contatti tra il mediatore Sergio Brugiatelli, Gabriel Christian Natale-Hjorth e Finnegan Lee Elder. Le telefonate tra il presunto mediatore e gli americani non sarebbero state due ma quattro, è ormai assodato. Ma nella ricostruzione di quei fatti, altri elementi non tornano.
Ad esempio, il ruolo dei carabinieri fuori servizio che erano in piazza Mastai e che per primi entrano in contatto con il mediatore Brugiatelli. Se finora non è mai stato chiarito cosa facessero li e perché, le ricostruzioni dicevano anche che una volta passata la palla prima ad una volante e poi a Andrea Varriale e Mario Cerciello Rega, il gruppo esce di scena.
Le telefonate
Da ulteriori indiscrezioni, però, qualcosa non torna. Perché il gruppo di carabinieri non sarebbe sparito dalla scena come si pensava inizialmente. E non è solo la pattuglia di carabinieri arrivata sul posto ad occuparsi del caso. I carabinieri fuori servizio erano con Brugiatelli anche successivamente al primo contatto. E anche dopo l’intervento di Cerciello Rega e Varriale.
Perché? Cosa hanno fatto esattamente? Sono alcuni degli interrogativi che sollevano i legali dei due indagati. Come resta l’insistenza sull’acquisizione delle telecamere su tutti i luoghi dei fatti, spiega Roberto Capra, che assiste Elder: «Sarebbe importante che oltre alle immagini che inquadrano il mio assistito si raccogliessero anche quelle che identificano il percorso dei carabinieri con cui avevano appuntamento. Così da chiarire ogni dubbio».
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