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Nuovi invisibili e aumento dell’esclusione. Ecco gli effetti dei decreti sicurezza: 670mila irregolari entro il 2020

25 Ottobre 2019 - 07:32 Angela Gennaro
«Tra l'estate del 2018 e del 2019 è indubbiamente trascorso un annus horribilis per l’immigrazione», dice il Dossier statistico immigrazione 2019

Il fenomeno migratorio non è un’invasione: non lo era ieri, non lo è oggi. Ma in Italia, per effetto soprattutto dei due decreti sicurezza voluti dal governo precedente Lega-M5s e – almeno per il momento – ancora immutati con il nuovo esecutivo Pd-M5s, sta crescendo il popolo degli invisibili e degli irregolari. È quanto emerge dal dossier statistico immigrazione 2019, a cura di Idos, presentato a Roma e in contemporanea con tutte le regioni e province autonome italiane, realizzato in partenariato con Confronti e col sostegno dei fondi Otto per mille della chiesa Valdese.

«Tra le estati 2018 e 2019 è indubbiamente trascorso un annus horribilis per l’immigrazione, con ben due decreti “sicurezza”, immediatamente convertiti in legge». Il primo, dice il dossier, ha avuto effetti soprattutto sugli stranieri già presenti in Italia: tanto che, entro il 2020, si stima che il numero di irregolari nel nostro paese arriverà alla cifra di 670mila.

«Un record, secondo solo alla grande sanatoria del 2002 quando gli irregolari stimati erano 700mila», spiega a Open Luca Di Sciullo, coordinatore del dossier e presidente Idos. Il decreto sicurezza bis, invece, ha segnato una stretta per i migranti in arrivo nel nostro Paese. In entrambi i casi – è il monito – a pagare sono stati gli ultimi.

Il decreto sicurezza

Nell’era pre-decreto sicurezza del 2018, in Italia era possibile accedere a tre tipi di permesso di soggiorno per protezione internazionale. Due sono ancora in vigore: il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria. Si tratta, spiega Di Sciullo, di forme di protezione cui l’Italia è obbligata a conformarsi in virtù dell’adesione a trattati internazionali.

Quella che è stata abolita è la terza forma, l’unica di livello nazionale: il permesso di soggiorno per motivi umanitari. «Una tipologia di permesso che riguardava molti richiedenti asilo, per i quali le commissioni territoriali magari non rinvenivano i requisiti per lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, ma ammettevano che nei Paesi di origine ci fossero situazioni insostenibili», dice Di Sciullo. Un permesso, di fatto, previsto dall’articolo 10 della Costituzione, aggiunge.

Il primo decreto sicurezza, fortemente voluto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini ed entrato in vigore alla fine del 2018, «ha abolito questo tipo di permesso, sostituendolo con dei permessi speciali che però hanno durata più limitata, che non può essere convertito in altri tipi di permessi ed è più difficile da rinnovare», dice il presidente di Idos a Open.

Risultato: tutti quelli che avevano un permesso per protezione umanitaria, alla scadenza non possono più rinnovarlo e passano all’irregolarità. Ecco dunque che i 530mila immigrati irregolari, stimati dall’istituto Ismu prima dei decreti sicurezza, aumenteranno fino a un totale di 670mila persone per la fine del 2020.

Per Luca Di Sciullo il decreto sicurezza presenta profili di incostituzionalità. «L’articolo 10 della Costituzione prevede la possibilità di concedere la protezione umanitaria a chi ne fa richiesta: quindi c’è un articolo della Costituzione che legittima questa possibilità ma non c’è più una legge italiana che la metta in pratica», spiega.

L’altro conflitto «è costituito dal fatto che quando queste persone diventano irregolari, si disperdono sul territorio». Certo, se rintracciati vengono portati nei Cpr, i centri di permanenza per i rimpatri.

«Ma sappiamo che i rimpatri vengono eseguiti molto difficilmente: 6mila in un anno con il governo gialloverde, la stessa quota di rimpatri fatta con l’esecutivo precedente nonostante la propaganda. E se non vengono rimpatriati, dopo sei mesi vengono “rilasciati” di nuovo sul territorio. Magari provano a raggiungere il confine e andare in Germania o in Olanda, ma principalmente ce li teniamo per lo più “in casa”», dice il presidente Idos. Con buona pace della sicurezza, spiega il dossier: entrando in questo limbo, queste persone diventano facile preda di esclusione sociale e criminalità.

E poi c’è l’effetto sull’accoglienza. Nel 2018 il numero di migranti ospitati nei centri di accoglienza è calato di circa 51mila unità rispetto al 2017, arrivando a 135.800, e nel primo semestre 2019 è diminuito di altre 27mila persone. Di queste, 82.600 si trovano nei Cas e 26.200 – meno di un quarto – nei centri Siproimi, spiega il dossier.

Il taglio dei fondi, inoltre, ha reso disoccupati migliaia di professionisti che lavoravano nei Cas per offrire assistenza e servizi ai migranti accolti. «Ha anche indotto la diserzione dei bandi di affidamento prefettizi da parte di una serie di enti che non hanno ritenuto congruo il ridotto massimale economico rispetto al livello minimamente dignitoso di accoglienza da garantire».

Gli sbarchi, la Libia e il decreto sicurezza bis

E poi c’è il decreto sicurezza bis, che secondo il dossier ha cambiato la vita di coloro che in Italia – o meglio, in Europa – vogliono arrivare. «L’attenzione mediatica e la comunicazione politica hanno continuato a insistere sugli arrivi via mare dei richiedenti asilo, riproponendo – come da 40 anni a questa parte – la retorica dell’invasione», sottolineano critici gli autori del report.

È vero, tra il 2017 e il 2018 è crollato dell’80% il numero di persone sbarcate: due anni fa erano 119mila, lo scorso anno 23.370. Il trend al ribasso viene confermato anche nei primi mesi del 2019: fino a ora si sono registrati 7710 sbarchi, e il dato italiano è 5 volte inferiore ai 39mila migranti che nel frattempo sono arrivati in Grecia e di circa 2,5 volte ai 19mila approdati in Spagna.

Il calo degli sbarchi, dal 2017 – dato oggettivo, nei numeri, rivendicato dal leader della Lega e cominciato nell’era in cui al Viminale sedeva il predecessore di Salvini, Marco Minniti – ha avuto un prezzo, secondo quanto emerge dal dossier: e a pagare è stato proprio chi emigra, a cominciare dai famosi accordi con la Libia voluti da Minniti, esaltati dal suo successore Salvini e sposati anche dalla attuale ministra degli Interni del governo Pd-M5s Luciana Lamorgese.

EPA/Domenic Aquilina | Da sinistra il ministro dell’Interno francese Christophe Castaner, la sua omologa italiana Luciana Lamorgese e il commissario europeo per le migrazioni Dimitris Avramopoulos durante la conferenza stampa dell’incontro sulla migrazione a Fort St. Angelo, Vittoriosa, Malta, 23 settembre 2019.

«Gli accordi con la Libia li teniamo, stiamo operando bene con la guardia costiera, che fa un gran lavoro», spiegava pochi giorni fa. Quella stessa guardia costiera libica che, dice l’Onu, «trasferisce migranti in centri di detenzione non ufficiali», dove sembra che funzionari del governo «vendano i migranti ai trafficanti» dopo aver torturato, schiavizzato, stuprato quelle persone. Tanto che la collega di governo giallorosso e viceministra degli Esteri, Emanuela Del Re, di quei centri chiede la chiusura.

Quella del Mediterraneo centrale si conferma come la più letale rotta migratoria al mondo: dal 2000 a oggi, conferma lo studio Idos, i morti e dispersi accertati sono stati più di 25 mila, il 50% di tutti quelli calcolati nelle rotte marittime a livello mondiale.

Gli sbarchi, dice ancora il dossier Idos, calano in rapporto anche alla conseguente riduzione dei salvataggi in mare e alla criminalizzazione delle ong. Per il 2017 l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) ha registrato 2800 persone morte in mare: più del doppio rispetto a quanto registrato nel 2018, con più di 1300 vittime lungo il tratto di mare italo-libico. Meno morti in mare, è vero. Ma come? Con un aumento visibile del rapporto morti-partenze: prima a morire, tra i migranti che tentano la traversata, era 1 persona su 50. Ora è 1 su 35.

Perché sono diminuiti i salvataggi delle navi umanitarie qui nel Mediterraneo centrale (nel 2017 erano il 35% del totale, oggi meno del 10% con i porti chiusi diventati – quasi – realtà con il decreto sicurezza bis), «al centro di una insistente campagna di criminalizzazione, spesso basata su accuse giuridicamente inconsistenti». E perché ci sono meno testimoni indipendenti.

Con il governo Lega-M5s, fa notare il dossier, si sono registrati 20 casi mediatici di navi umanitarie alle quali è stato vietato l’attracco, bloccate in mare mediamente 10 giorni, ma con a bordo una quota di migranti minoritaria, a fronte delle migliaia che nel frattempo sono state lasciate approdare con i cosiddetti «barchini fantasma» e in generale con gli sbarchi autonomi.

ANSA/ Pasquale Claudio Montana Lampo | La corona di fiori lanciata durante la cerimonia di commemorazione delle 366 vittime del naufragio del 3 Ottobre 2013, Lampedusa, 3 ottobre 2019.

Quella dei porti chiusi è, per il dossier statistico immigrazione 2019, una «tattica recriminatoria verso l’Unione europea», grazie alla quale l’Italia ha «evitato di accogliere un numero limitato di persone, circa 2mila, le quali sono sbarcate o a Malta, per ben 10 volte, o in Spagna, in 2 occasioni». «Auspichiamo che i decreti sicurezza convertiti in legge vengano rivisti almeno nelle parti rilevate dal presidente della Repubblica che, quando li ha convertiti in legge, ha segnalato in maniera un po’ irrituale le criticità con una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte».

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