ArcelorMittal, da Milano a Taranto tutte le inchieste aperte sull’azienda

Basterà la via giudiziaria a fermare l’addio della multinazionale franco-indiana all’ex Ilva di Taranto?

In attesa che la politica trovi una soluzione alla crisi dell’ex Ilva di Taranto, dopo l’annuncio dell’addio di ArcelorMittal, si è mossa la magistratura. Sono due le procure che al momento hanno aperto fascicoli sulla gestione dello stabilimento siderurgico: quella di Milano e quella del capoluogo tarantino.


I fascicoli milanesi

Il 15 novembre il procuratore della Repubblica di Milano Francesco Greco ha comunicato l’apertura di un fascicolo d’indagine per verificare l’eventuale esistenza di ipotesi di reato nella fase conclusiva della gestione delll’impianto da parte dell’azienda franco-indiana. Si tratta di un “modello 45”, cioè di un fascicolo che non contiene notizie di reato e senza indagati.


In sostanza la procura meneghina informa di aver avviato un procedimento per verificare se esistano condotte penalmente rilevanti da parte di ArcelorMittal nella rescissione del contratto d’affitto visto il «preminente interesse pubblico in campo». Il procedimento è stato affidato da Greco al procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e ai sostituti procuratori Stefano Civardi e Mauro Clerici, mentre le indagini saranno condotte dal Nucleo economico finanziario della Guardia di Finanza di Milano guidato dal colonnello Vito Giordano.

Non è la sola mossa messa in campo dalla procura di Milano. Lo stesso procuratore Greco, con una nota, contestualmente all’apertura del fascicolo penale, ha informato che la stessa procura «ravvisando un preminente interesse pubblico relativo alla difesa dei livelli occupazionali, alle necessità economico-produttive del Paese, agli obblighi del processo di risanamento ambientale, ha deciso di esercitare il diritto-dovere di intervento» previsto dal codice di procedura civile «nella causa di rescissione del contratto di affitto d’azienda promosso dalla società ArcelorMittal Italia contro l’amministrazione straordinaria dell’Ilva».

In sostanza la procura meneghina agirà in giudizio nella causa civile di rescissione del contratto tra gli amministratori straordinari della ex Ilva e ArelorMittal. Greco ha invitato il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli «a studiare le modalità di intervento», previsto dall’ultimo comma dell’articolo 70 del codice di procedura civile, che sarà seguito dai pm Stefano Civardi e Mauro Clerici, già titolari del fascicolo per bancarotta per il dissesto dell’Ilva.

I fascicoli di Taranto

Oltre al filone milanese si è aperto però anche quello tarantino. I commissari di Ilva nella giornata del 16 novembre hanno depositato in Procura a Taranto un esposto denuncia con al centro «fatti e comportamenti inerenti al rapporto contrattuale con ArcelorMittal, lesivi dell’economia nazionale». Chiedendo alla Procura di verificare la sussistenza di ipotesi di reato.

La violazione ipotizzata dall’esposto è dell’art.499 del codice penale, che punisce con la reclusione da 3 a 12 anni e con una multa non inferiore a 2.000 euro «chiunque, distruggendo materie prime o prodotti agricoli o industriali, ovvero mezzi di produzione, cagiona un grave nocumento alla produzione nazionale» e quindi all’economia del nostro Paese, «o fa venir meno in misura notevole merci di comune o largo consumo».

Per sostenere tale ipotesi di reato nella denuncia si fa riferimento al fatto che il processo messo in atto da parte del gruppo franco-indiano di abbassamento della produzione degli impianti e di riduzione del loro calore rischia di danneggiare gli impianti stessi e si sottolinea che lo stabilimento di Taranto è strategico dal punto di vista nazionale “ex lege”.

La procura di Taranto ha informato di aver aperto un fascicolo a carico di ignoti proprio per violazione del medesimo reato previsto dall’art.499 del codice penale.

Di Maio: «Trasciniamo la multinazionale in tribunale»

Sul versante della maggioranza di governo, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha applaudito alle iniziative della magistratura, rincarando la dose e accusando ArcelorMittal di aver «vietato le ispezioni ai commissari», valutando il fatto «un atto gravissimo che dovrà avere un’adeguata risposta».

Difficile ipotizzare quanto l’azienda possa essere “intimorita” dai procedimenti aperti dalle procure milanesi e tarantine o dalle parole del ministro: la decisione di lasciare Taranto è stata presa da ArcelorMittal, per sua stessa ammissione, per la cessazione della “protezione” dello scudo penale. Ulteriori carichi pendenti nella gestione potrebbero ulteriormente far propendere la multinazionale per l’addio all’Italia.

Il ministro degli Esteri e capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio d’altro canto, a chi gli chiedeva se l’intervento della magistratura basterà a trattenere ArcelorMittal a Taranto, ha risposto: «Questo lo vedremo. Una cosa è certa, trasciniamo la multinazionale in tribunale e chiederemo di rispettare i patti con lo Stato. Quella multinazionale ha firmato un contratto con lo Stato e quindi con il popolo, e se pensa di potersene andare credendo di avere di fronte uno Stato che gli dice “vai pure, non succede nulla”, ha sbagliato Stato e Governo».

Sulla scelta del governo, che sembra virare verso la strada legale, calano i dubbi dei sindacati. «Questa storia che faremo una grande causa alla società mi preoccupa, perché quando finirà la causa non avremo più prospettive industriali e posti di lavoro», ha dichiarato il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo. I tempi della giustizia italiana solo lunghi e anche vincendo le cause, siano penali o civili, si perderebbe comunque l’impianto e, soprattutto, a preoccupare è il destino dei lavoratori dell’ex Ilva. Il 4 dicembre, data in cui ArcelorMittal dovrebbe abbandonare definitivamente Taranto, è vicinissimo.

Intanto, mentre la magistratura svolge il suo ruolo di “supplenza” alle soluzioni politiche, la multinazionale annuncia la chiusura dei suoi stabilimenti a Cracovia e l’investimento di quasi 6 miliardi di euro per acquistare l’acciaieria Essar Steel India: difficile immaginare che l’azienda franco-indiana, all’interno del suo piano di riorganizzazione, non abbia previsto la possibilità di dover affrontare l’apertura di indagini nei suoi confronti da parte delle procure italiane.

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