Allo Spallanzani isolano il coronavirus. Ma l’Italia è ultima in Ue per fondi a ricerca e istruzione

Il nostro Paese non incoraggia i talenti nella ricerca: i dati Eurostat hanno dimostrato che l’Italia spende meno di tutti gli altri Paesi per l’istruzione

Sono due le notizie che circondano la vicenda dell’isolamento del coronavirus. La prima è che il primato del traguardo in Europa spetta alle ricercatrici dello Spallanzani di Roma. La seconda è che la più giovane di loro, Francesca Colavita, è stata precaria fino a ora.


La situazione della dottoressa Colavita non è certo un’eccezione: in questo enorme paradosso che lega l’eccellenza dei professionisti alla costante svalutazione delle risorse, casi come quello di Colavita sono la regola.


A causa del taglio dei fondi alla ricerca, molti giovani non riescono a portare avanti né la loro passione (di cui c’è enorme bisogno in un mestiere come questo), né tanto meno la loro carriera. Chi è più fortunato – e può permetterselo – sceglie sempre più spesso di continuare il proprio percorso all’estero.

«Non voglio andare all’estero. Mi piace quello che faccio e dove lo faccio. Ma in Italia è dura», ha detto la dottoressa Colavita in un’intervista a Repubblica. «L’Italia deve dare più dignità ai ricercatori. Mi auguro che questa occasione possa contribuire a far vedere la ricerca in modo diverso».

«Dopo l’isolamento del Coronavirus allo Spallanzani, rilanciamo la nostra proposta del Piano per l’Italia con l’aumento dei fondi per la ricerca e l’assunzione di 10.000 ricercatori», ha scritto su Facebook Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, all’indomani del risultato. Oggi, 3 febbraio, incontrerà le tre ricercatrici Colavita, Maria Rosaria Capobianchi e Concetta Castilletti e l’Ambasciatore cinese in Italia Li Junhua: «Al lavoro per un futuro migliore!».

Qualche domanda sorge spontanea: serviva isolare il coronavirus per uscire dal precariato? E poi, non dovrebbe essere scontato voler valorizzare al meglio e con investimenti costanti il lavoro silenzioso e quotidiano di migliaia di ricercatori in Italia? La risposta a quest’ultimo interrogativo, a quanto dimostrano i dati, è no.

I dati in Italia e in Europa

«Siamo contenti che adesso si plauda alle “eccellenze italiane” e ai successi dei ricercatori e delle ricercatrici», scrive su Facebook il gruppo di coordinamento universitario Link, «Ma finché non si invertirà la rotta rifinanziando Istruzione, Sanità e Ricerca e stabilizzando i precari e le precarie che questi risultati li potrebbero raggiungere ogni giorno non investiremo mai nel futuro del nostro paese».

Gli studenti non hanno torto: senza scomodare le dimissioni dell’ex ministro Lorenzo Fioramonti, che ha rinunciato al proprio ruolo a causa dei fondi insufficienti destinati all’istruzione nella manovra, basta dare un’occhiata ai dati.

Stando all’Eurostat riferiti al 2017, l’Italia ha investito nell’istruzione pubblica il 7,9% della sua spesa pubblica totale. Una cifra che la pone ultima in graduatoria tra gli stati membri dell’Unione europea (appena sotto la Grecia e la Romania). Nel 2009, la spesa ammontava al 9%: l’1,1 per cento in più rispetto al 2017.

Eurostat | Dati della spesa pubblica per l’Istruzione, dal 2009 al 2017

Le percentuali di Germania, Regno Unito e Francia erano state rispettivamente del 9,3%, del 11,3% e del 9,6%.

Per quanto riguarda il rapporto con il Pil, i Paesi dell’Ue hanno investito in media una cifra pari al 4,6 del Pil, uno 0,6 per cento in meno rispetto al 5,2 per cento del 2009. In questo quadro già sconfortante, si aggiunge la performance italiana: con una cifra equivalente al 3,8% della ricchezza nazionale, è quintultima in Europa (dopo Romania, Irlanda, Bulgaria e Slovacchia).

Eurostat | Dati della spesa per l’Istruzione in rapporto al Pil, dal 2009 al 2017

Nello specifico, se si considera unicamente la spesa per l’educazione terziaria, nel 2017 l’Italia ha investito appena 5,5 miliardi di euro: lo 0,3% del Pil, contro una media europea dello 0,7%. Anche stavolta, si tratta di un dato che ci posiziona ultimi in Europa. La cifra aveva raggiunto quasi 6,8 miliardi di euro nel 2009 e gli oltre 7,3 miliardi di euro nel 2007. Un ulteriore prova del disinteresse progressivo dell’Italia nei confronti dell’istruzione, della ricerca e dello sviluppo.

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Immagine di copertina: Ani Kolleshi su Unsplash