Coronavirus, la crisi dei letti in terapia intensiva preoccupa anche Stati Uniti e Regno Unito

Non sappiamo ancora con certezza come si evolverà l’epidemia. Intanto negli Stati Uniti si studiano due scenari possibili

Non è molto facile capire in numeri l’entità del problema legato ai posti dedicati alla terapia intensiva negli ospedali per l’emergenza Coronavirus. In Italia la situazione è piuttosto sentita, aggravata anche dalla carenza di specialisti. Bisogna tener conto anche delle altre tipologie di pazienti, i quali non possono essere buttati dai lettini per far spazio a chi si è preso una infezione di Covid-19


Chi ha bisogno della terapia intensiva

Noi ad esempio abbiamo ridotto molto i posti letto inefficienti, mentre sono aumentati quelli ad alta intensità di cura. Ma bisogna capire come sono organizzati, anche per l’assistenza domiciliare, per come avviene l’ospedalizzazione, eccetera. L’esigenza di trattare le forme gravi della malattia causata dal SARS-CoV2, sta nel fatto che tra i sintomi possiamo trovare anche insufficienza polmonare, renale e cardiovascolare. Ricordiamo che si parla spesso di malati con patologie pregresse, o in generale con un sistema immunitario indebolito. Inoltre, la malattia simil-influenzale comincia a diventare potenzialmente fatale per le fasce più anziane della popolazione.


Due scenari possibili

L’Associazione degli ospedali americani conta circa 65mila posti letto per la terapia intensiva. Probabilmente non basteranno, così anche gli Stati Uniti potrebbero presto preoccuparsi di dover gestire troppi pazienti. L’Oms e il Cdc hanno già messo in allerta i sistemi sanitari di tutto il Mondo. Il Center for Health Security della Johns Hopkins University ha elaborato delle proiezioni basate su due tipi di scenari: uno pessimista, che vede lo svilupparsi di una pandemia globale diffusa come la Spagnola; l’altro più ottimista, che prevede una diffusione paragonabile alle pandemie influenzali del 1957 e del 1968.  

Va premesso che questi calcoli risentono della mancanza di modelli dettagliati per Covid-19, i quali sono ancora in attesa di essere rilasciate dall’Oms. Nel caso di una pandemia come quella del 1918, negli Stati Uniti vi sarebbero 9,6miloni di pazienti ospedalizzati, di questi 2,9 avranno bisogno di essere messi in terapia intensiva. Se invece la pandemia fosse paragonabile a quelle del ’68 o del ’57, gli ospedalizzati sarebbero un milione, con 200mila pazienti bisognosi di terapia intensiva.

L’epidemia avanza rapidamente anche nel Regno Unito. L’aspettativa è quella di dover trattare un numero elevato di malati gravi. Stando alle stime più pessimiste, nel Regno Unito un malato di Covid-19 su sette potrebbe essere ospedalizzato – ovviamente non tutti assieme – saranno solo una piccola parte rispetto a chi se la caverà stando a casa. Tuttavia, un ospedalizzato su cinque potrebbe necessitare della terapia intensiva. Questo significa che mediamente ogni letto dovrà servire al trattamento di 100 pazienti in più rispetto a prima. Tutto questo – come in Italia – dovrà aggiungersi al normale carico ospedaliero.

Foto di copertina: Flickr | Paziente in terapia intensiva.

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