Coronavirus, «l’Italia non è un porto sicuro». Il decreto del governo che mette a rischio gli sbarchi per i migranti

Di Maio, Lamorgese, De Micheli e Speranza firmano un decreto in base al quale per tutta la durata dell’emergenza i porti «italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety»

«L’Italia non è un porto sicuro». È questa la posizione dei titolari dei quattro ministeri che hanno cofirmato un decreto in cui si riporta come, a causa dell’emergenza sanitaria da Coronavirus, i porti «italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety».


A firmare il decreto, che avrà valenza per l’intero periodo dello stato di emergenza – e quindi fino al 31 luglio – sono i ministri Luigi di Maio (Esteri), Luciana Lamorgese (Interno), Paola De Micheli (Infrastrutture) e Roberto Speranza (Salute).


A qualche giorno dall’approvazione della nuova missione europea Irini, c’è dunque un ulteriore passo indietro dell’Italia sull’accoglienza dei migranti salvati «da unità navali battenti bandiera straniera» (quindi anche Ong) nelle acque del Mediterraneo al di fuori dell’area Sars italiana. Il testo completo del decreto premette che:

«In considerazione della situazione di emergenza connessa alla diffusione del Coronavirus, dell’attuale situazione di criticità dei servizi sanitari regionali, e all’impegno straordinario svolto dai medici e da tutto il personale sanitario per l’assistenza ai pazienti Covid 19, non risulta possibile assicurare sul territorio italiano la disponibilità di tali luoghi sicuri senza compromettere la funzionalità delle strutture nazionali sanitarie logistiche e di sicurezza dedicate al contenimento della diffusione del contagio e di assistenza e cura ai pazienti Covid 19».

E specifica che:

«Alle persone eventualmente soccorse, tra le quali non può escludersi la presenza di un contagio, deve essere assicurata l’assenza di minaccia per la propria vita, il soddisfacimento delle necessità primarie e l’accesso a servizi fondamentali sotto il profilo sanitario, logistico e trasportistico».

La pandemia e i migranti nel Mediterraneo

Quando il decreto fa la sua comparsa nella sera del 7 aprile, l’Alan Kurdi dell’Ong tedesca Sea-eye è bloccata a largo di Lampedusa con a bordo 150 migranti presi dalla sedicente guardia costiera libica. Alle luce dell nuove disposizioni, l’Italia non coordinerà il soccorso, e la Alan Kurdi diventerà diretta responsabilità della Germania.

La Libia, secondo i dati forniti dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), conta 18 contagiati dal Covid-19. È molto probabile che le cifre siano superiori considerando l’impossibilità di tracciare lo stato di salute dei cittadini in un Paese in guerra e dei prigionieri nei centri di detenzione. Proprio la mala gestione dei contagi e delle cure nel Paese potrebbe costituire un ulteriore motivo di partenza dalle coste. Ad attenderli dall’altra parte ci sarebbero Paesi altrettanto messi in ginocchio dalla crisi sanitaria – l’Italia come la Spagna, e come la stessa Grecia che è stata scelta come primo porto di sbarco dalla nuova missione Eunavfor med Irini, e che ora conta quasi 2mila contagi.

Da non sottovalutare c’è anche lo stato di estrema emergenza in cui versano i centri di accoglienza in Italia in questi terribili giorni di pandemia. La questione degli sbarchi torna così al centro delle preoccupazioni politiche internazionali, e le navi umanitarie si trovano di nuovo a dover lottare contro i paletti di un’altra emergenza. E, contemporaneamente, il coronavirus si fa strada nel continente africano: i casi registrati – ma parziali – al momento sono oltre 7mila.

Stamattina, un’imbarcazione con circa 67 persone a bordo che ieri aveva chiesto aiuto all’agenzia Alarm Phone, è sbarcata a Lampedusa. «Malta non ha prestato soccorso e hanno attraversato la loro zona Sar con il motore guasto. Raggiunta la zona Sar italiana – hanno comunicato ancora – le autorità li hanno scortati fino al porto. Siamo felici che siano vivi».

«Il Mediterraneo torna a gridare aiuto e l’Europa ha il dovere di rispondere», ha twittato ieri sera l’account di Sea Watch Italia.

Il parere degli esperti:

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