Coronavirus, i teatri in crisi nera: «Per lo Stato siamo inesistenti, riapriremo per ultimi». Fermi in 300 mila, perdite per 150 milioni
Attori, registi, ballerini, orchestrali, scenografi, parrucchieri, sarti, truccatori e service audio/video: sono tra «gli invisibili» che rischiano di diventare «inesistenti», e che da anni lavorano, in silenzio, nei teatri italiani di prosa e lirica. Ora, a causa della pandemia del Coronavirus che ha sospeso gli spettacoli teatrali, la situazione potrebbe diventare drammatica. Impossibile immaginare, almeno per ora, una riapertura. E niente, forse, potrà tornare come prima.
Il settore, dunque, ne esce distrutto o forse lo era già più di un mese fa, quando l’Associazione generale italiana dello spettacolo (Agis) stimava, nell’ultima settimana di febbraio e solo in relazione a quattro regioni del Nord che avevano iniziato a subire la crisi da Covid-19, una perdita di 10 milioni di euro al botteghino a causa della cancellazione di 7.400 spettacoli. Numeri drammatici ben prima dell’avvio del lockdown nazionale. Figuriamoci adesso.
«Fermi il 90% dei lavoratori»
La Fondazione Centro Studi Doc parla del 90% dei lavoratori dello spettacolo fermi. Dunque, ci sarebbero oltre 300mila persone, impiegate nel settore dell’intrattenimento e della cultura, che non stanno lavorando. Per Agis, inoltre, la perdita calcolata è di circa 20 milioni di euro la settimana: quindi, facendo un rapido calcolo, al 19 aprile 2020 il danno potrebbe aggirarsi intorno ai 150 milioni di euro. Quasi una “calamità” (economica).
«Chi verrà mai in teatro?»
E anche se le misure dovessero attenuarsi o essere persino cancellate, non è detto che il quadro cambierebbe di molto. «Ma voi pensate che qualcuno abbia voglia di rinchiudersi in un teatro, al chiuso, con 1000 persone? Nessuno dice, per esempio, che nei teatri di lirica l’età media è di 60-65 anni. Voi pensate che gli anziani, la categoria più esposta al virus, si azzardino ad andare a teatro sedendosi accanto a sconosciuti? Bisogna pensare a una strategia adesso, prima che sia troppo tardi. Magari ipotizzando la riapertura dei teatri, in estate, ma in luoghi aperti, non al chiuso. Riaprire a dicembre, invece, sarebbe la distruzione», spiega Antonio D’Amico, violinista, professore d’orchestra e segretario regionale della Fistel Cisl.
I precari dei teatri
I teatri hanno chiuso i battenti ai primi di marzo e «saranno probabilmente gli ultimi a riaprire»: c’è anche chi si è visto costretto ad annullare, all’improvviso, gli spettacoli, disdicendo i contratti con le compagnie e mandando tutti a casa.
Gli operatori dello spettacolo non sono dei privilegiati, anzi. Sono tra le categorie maggiormente colpite dal disastro economico causato dal Covid-19: ci sono i “fortunati” in cassa integrazione, quelli che lavorano in smart working (come avviene, per esempio, al Teatro Bellini di Catania) e quelli che, invece, sono fuori dal mercato perché precari e dunque con contratti spesso legati alla durata dello spettacolo stesso. Lavoratori che «hanno le stesse funzioni di quelli a tempo indeterminato» ma che da sempre non hanno garanzie. E che oggi sono ancora più soli.
«Io, precario da otto anni, vivo con 800 euro al mese»
È il caso di Antonio Piemonte, 35 anni, che suona il clarinetto: «Sono precario da otto anni, ho sempre lavorato con contratti a tempo determinato, ora sono in disoccupazione (ma fino a settembre). Ho fatto richiesta per il bonus dei 600 euro ma non posso accedere alla cassa integrazione. Vivo con 800 euro al mese coi quali devo pagare il mutuo di casa e la rata della macchina, che ho ottenuto solo grazie a mia madre che mi ha fatto da garante. Se non avessi la mia famiglia, potrei probabilmente morire di fame. E in più non so come, se e quando ricomincerò a lavorare. Diciamolo: noi non siamo invisibili. Siamo inesistenti».
«Nessuno ha chiesto il rimborso dei biglietti»
Nei teatri ci sono anche le «finte partita Iva». Quelli che, di fatto, svolgono mansioni da dipendenti e che dal governo avranno solo un contributo di 600 euro (di cui comunque non tutti potranno beneficiare se non soddisfano i requisiti, ndr). «Sono loro che stanno facendo la fame pagando duramente questa crisi sanitaria ed economica. Ma c’è un dato positivo: nessuno degli abbonati, almeno al Teatro Bellini di Catania, ha chiesto il rimborso del biglietto. Questo significa che c’è voglia di ricominciare, che gli spettacoli non sono stati annullati ma solo sospesi, si spera» ha concluso Antonio D’Amico, violinista.
Il governo, intanto, ha inserito nel decreto Cura Italia un fondo di 130 milioni di euro dedicato interamente al mondo dello spettacolo. Ma questo, forse, non basta.
Grafica di copertina Vincenzo Monaco
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