Il sindacato della scuola: «Lezioni in classe a settembre, ma per ripartire serve un piano da 17 miliardi» – L’intervista

Il segretario della Flc Cgil, Sinopoli: «La ministra fa troppo da sola, insegnare a scuola serve a battere le disuguaglianze che invece crescono on line»

La ministra della scuola Lucia Azzolina ha lanciato varie idee sul post Coronavirus, per poi farle seguire da altrettanti passi indietro. L’ultima è stata la proposta di portare in classe metà alunni per metà settimana, a partire da settembre. Un’idea che non è piaciuta molto ai genitori e affatto ai sindacati. Francesco Sinopoli, segretario della Flc Cgil, la federazione che rappresenta i lavoratori di scuola e università propone di andare anche oltre le idee lanciate dai tre confederali, di 12 miliardi per la ripartenza: «Ne servono 17/18, un punto di Pil, se non tutti subito almeno in un piano pluriennale. Come servono organici pieni e classi dimezzate», dice a Open.


Sinopoli, quali sono le reali condizioni per tornare a scuola?


«La prima condizione è che si ripristini nella sua integrità la didattica in presenza. Questo deve essere l’obiettivo. Benché necessaria e importante per fronteggiare la fase acuta della pandemia, la didattica a distanza ha rivelato tutti suoi limiti a partire dalle enormi disuguaglianze che già caratterizzavano il nostro paese e che la scuola a distanza non poteva che amplificare. Non è solo questione di accesso agli strumenti: pensiamo alla condizione di chi non ha una famiglia alle spalle  in grado di supportare e seguire il percorso didattico. Di chi non ha spazi idonei a casa per studiare, di chi ha bisogno del sostegno e non lo ha avuto per mesi, delle bambine e dei bambini per i quali la dimensione della socialità è ancora più determinante della didattica.  Qualcuno ha detto che puntare sulla DaD è stato come aver intubato la scuola in una situazione di emergenza: ecco, occorre far respirare la scuola e la didattica in presenza rappresenta la condizione minima per riprendere».

In pratica, di cosa parliamo?

«Prima condizione è quella di riempire gli organici. Occorre dire basta ai vuoti di organico, sia nelle classi sia nelle segreterie, sia nei laboratori: ora serve quell’investimento che è mancato negli anni. Pensiamo solo alle necessità che comporterà la santificazione continua degli spazi. E nessuna classe dovrebbe iniziare a settembre il suo percorso senza il suo insegnante che possa rimanere lì al proprio posto per assicurare il recupero del tempo perduto. Nessuna scuola sia priva del suo Dirigente, del suo direttore dei servizi generali, dei suoi assistenti tecnici e amministrativi e dei suoi collaboratori scolastici».

Dunque si torna a scuola a settembre dice lei. Tutti gli ordini e gradi allo stesso tempo?

 «Noi vogliamo che dal primo giorno di lezione ogni bambino e ogni ragazzo torni nella sua scuola e incontri i suoi insegnanti. La modulazione del rientro dovrà basarsi su un protocollo di sicurezza molto preciso perché è la garanzia di tutti i passi successivi. Sicurezza per gli studenti e per i lavoratori che molto spesso hanno età avanzate. Il rientro dovrà essere calibrato  in relazione agli spazi necessari per realizzare il distanziamento con una priorità assoluta per le bambine e i bambini della scuola dell’infanzia e della primaria che più hanno bisogno della didattica in presenza e che più hanno sofferto questo periodo difficilissimo. Un ruolo centrale dovrà avere la cooperazione con gli enti locali». 

Il ministero ha già fatto un mezzo passo indietro sull’ipotesi metà e metà, è praticabile?

«La Ministra dovrebbe fare solo una cosa: confrontarsi con le forze sociali e con tutte le autorità che sono implicate nella ripresa. La sua solitaria gestione della cosa pubblica scolastica rasenta il solipsismo che non fa bene a lei ma soprattutto alla scuola. Cosa è praticabile o non praticabile dipende da molti fattori e le decisioni o sono condivise o si riveleranno sbagliate».

Qualcuno potrebbe dire che in questo momento serve sacrifico ed elasticità da parte di tutti, anche degli insegnanti. Lei cosa risponde?

«La scuola ha fatto un lavoro straordinario in questi mesi dovendo letteralmente inventarsi la didattica a distanza con scarse indicazioni da parte del ministero e molta professionalità da parte degli insegnanti.  Si è data prova di flessibilità e capacità individuale ora serve organizzare una fase nuova scontando un ritardo di programmazione che è tutto del ministero». 

Quanti soldi servirebbe investire? Dove si trovano?

«La frattura tra prima del Covid e oggi dovrebbe essere interpretata per la scuola in senso positivo. Porci il problema di una edilizia pensata per la sicurezza e per i bisogni di apprendimento degli studenti. Classi con meno studenti da definire in relazione ai diversi parametri che caratterizzano le nostre scuole. Laboratori e atelier, mense. Infrastrutture pensate  per più tempo scuola per tutto il paese. Immaginare che si possa ripartire senza risorse come ipotizza la Ministra con l’idea di limitarci a dividere il tempo tra presenza e distanza è offensivo. Tutti sanno che senza un organico straordinario la scuola farà molta fatica a ripartire». 

C’è una cifra?

«Da tempo abbiamo calcolato che per una scuola di qualità servirebbero investimenti per un punto di PIL, circa 17/18 miliardi (per la generalizzazione della scuola dell’infanzia, il potenziamento di organico, il tempo pieno e prolungato, il ripristino del tempo scuola e dei laboratori tagliati dal 2008 ad oggi, per l’estensione nelle scuole del primo ciclo della figura degli assistenti tecnici, per l’eliminazione del precariato in maniera drastica, del risanamento edilizio e la costruzione di nuovi ambienti scolastici,  tanto per dire delle cose più importanti). Da dove si prendono? Innanzitutto occorre una precisa scelta politica che metta tra le priorità del Paese gli investimenti nel settore dell’istruzione. È il momento delle scelte necessarie a cambiare davvero paradigma. Serve un piano pluriennale da definire già oggi nel Def e da concretizzare a partire dai prossimi provvedimenti del governo. Pensiamo al tempo scuola che avevamo prima dei tagli Tremonti Gemini. Ora sarebbe preziosissimo per la ripartenza ma dovremmo avere il coraggio di fare di più. Nelle situazioni di maggiore complessità, dal Mezzogiorno alle aree depresse delle città metropolitane, possono dare una mano la riprogrammazione dei Fondi Europei 2014 – 2020, le ulteriori risorse che saranno stanziate dall’Unione Europea per la lotta alla pandemia, il Fondo di sviluppo e coesione. A questo occorre anche aggiungere i risparmi determinati dalla sospensione delle attività didattiche (commissioni degli esami di Stato, eliminazione delle ripetenze, ecc.) e colpevolmente non quantificati dal Ministero».

L’autonomia scolastica in questo momento è una risorsa in più o un fattore di caos?

«L’autonomia scolastica è una risorsa. A patto però che la si faccia camminare. Ciò significa una dimensione delle scuole pensata per far funzionare l’autonomia mentre negli anni abbiamo proceduto ad accorpare e tagliare rendendo spesso ingovernabile l’autonomia. Rafforzare la dimensione partecipativa della vita scolastica progressivamente svilita in questi anni. Consentire a tutti gli enti locali di fare quegli investimenti che sono necessari per un rapporto indispensabile quanto condizionato dalle differenze territoriali. Liberare le scuole dalle  pressioni  burocratiche che la soffocano e che hanno tramutato l’autonomia da scolastica in eminentemente amministrativa».

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