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Coronavirus, infuria la guerra per i vaccini. E l’Italia rischia di essere il vaso di coccio

Dal ministero spiegano a Open che il nostro paese non ha fatto accordi preventivi perché vogliamo che sia «un diritto di tutti». Ma così rischiamo di rimanere indietro

Se il Coronavirus sarà riuscito a cambiare le nostre vite lo dirà solo il tempo. Quel che è certo, però, è che non cambierà le leggi del mercato. Nonostante gli elogi alla sanità pubblica e le dichiarazioni di maniera dei vari capi di Stato sulla necessità di fare fronte comune contro il Covid-19, tra i governi mondiali si sta giocando una vera e propria guerra al vaccino. Ma mente i Paesi sgomitano per essere i più veloci a prenotarsi le prime dosi (ancora in fase di sperimentazione), l’Italia rischia di arrivare impreparata al momento clou, e di dover fare i conti con cifre d’acquisto elevatissime.

A risvegliare le coscienze sull’argomento è stato il caso Sanofi, l’azienda farmaceutica francese che, senza necessità di muoversi col favore delle tenebre, ha ammesso candidamente a Bloomberg, alcuni giorni fa, di aver stipulato un accordo con gli Stati Uniti per assicurare loro la priorità sulla distribuzione del vaccino. La Sanofi aveva poi ritrattato la dichiarazione a seguito delle contestazioni della Francia (in primis) e dell’Europa più in generale. Parole che realisticamente lasciano il tempo che trovano, considerando che la prelazione esiste e, per ora, resiste.

Il governo italiano per il momento non sembra avere un piano B rispetto alla linea di principio tracciata dalle Organizzazioni internazionali. Il portavoce del ministro Roberto Speranza, contattato da Open, fa sapere che attualmente non risultano accordi con case farmaceutiche, confermando implicitamente i dubbi e i timori di queste ore. Anche fonti vicine al commissario Domenico Arcuri fanno capire che la sua task force è ancora alle prese con i dispositivi di protezione individuale e che il problema dei vaccini è ancora lontano.

L’asse Pomezia Oxford

Ansa

Non c’è stata una mossa neppure per quanto riguarda l’azienda Irbm di Pomezia, che da tempo sta lavorando alla misura clinica preventiva insieme all’Università di Oxford. L’azienda, a quanto si apprende, avrebbe già firmato un accordo di prelazione con Londra, nel quale si stabilisce che il Regno Unito sarà il primo Paese ad avere avere accesso al potenziale vaccino ChAdOx1 nCoV-19. Anche Boris Johnson, che pure diverse volte si era espresso contro le guerre e le strategie di mercato, ha fatto sapere che, se la sperimentazione tra Pomezia e Oxford dovesse andare a buon fine, a Londra saranno destinate 30 milioni di dosi a settembre.

Mancano ancora due mesi prima che il vaccino in studio allo Spallanzani (caso unico in Italia) possa far partire le sperimentazioni sull’essere umano. A oggi, 18 maggio, la posizione italiana è riassunta esclusivamente dalla dichiarazione del ministro Speranza che, lo scorso 15 maggio, ha rivendicato la necessità di battersi affinché l’accesso al vaccino Covid-19 «sia un diritto di tutti e non un privilegio di pochi».

Una dichiarazione in linea con quello che sarà il ruolo da presidente del G20 che l’Italia assumerà (per la prima volta) il prossimo anno. Alla luce dei retroscena internazionali, l’unica speranza è che l’Italia e l’Europa si muovano bene – e alla svelta – sul fronte comune per la ricerca e la distribuzione.

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