Coronavirus. I decessi in Lombardia sono dovuti ai vaccini antinfluenzali? I No vax ci riprovano

I No vax cercano nuovi studi che collegano i vaccini al Covid-19, ma si dimenticano di leggerli

Ci avete segnalato vari post di stampo «free vax», dove verrebbero presentate le prove di una correlazione tra vaccini antinfluenzali e Covid-19, i quali spiegherebbero i decessi avvenuti in Lombardia.

Si parla di vaccini ottenuti con ceppi di Coronavirus e «interferenza virale». Questi termini vengono spesso travisati dai No vax, sfruttando l’ansia dei propri lettori, vedremo però che gli autori di queste narrazioni non hanno le idee chiare, interpretando alcuni studi da loro utilizzati come fonti, in maniera del tutto fuorviante.

In particolare notiamo che si fa leva sulla confusione – nei potenziali lettori – tra la famiglia dei Coronavirus e il SARS-CoV2, unico a causare il Covid-19, ed è solo l’ultimo noto della famiglia, tra quelli che hanno effettuato lo spillover (è tracimato), da un ospite serbatoio (i pipistrelli) agli umani, attraverso un «ospite amplificatore» intermedio, che si suppone essere il pangolino.

«Risolto il mistero dei decessi in lombardia – spiegano i free vax – tutti i ceppi dell’antinfluenzale di quest’anno (2019-2020) contengono il covid19 … Da 60 verifiche che ho condotto ricavando i dati di pazienti in t.i.r., grazie all’aiuto di chi ci appoggia nella libera scelta, 58 avevano ricevuto i vaccini antinfluenzali. Gli intubati giovani avevano usato VaxiGrip Tetra, che si propina anche ai bambini … Tutti i ceppi contenuti degli antinfluenzali di questo anno vennero indicati dall’ #OMS ad inizio 2019, e contengono 2 ceppi di coronavirus (definito inattivato)».

L’Inghilterra e quei vaccini che aiuterebbero il Covid-19

Per dare ulteriore forza alle proprie tesi, i No vax citano spesso anche un provvedimento del Governo inglese che sembra non dare spazio a dubbi:

«In Inghilterra raccomandano a chi ha fatto il vaccino antinfluenzale, di stare in casa 12 settimane perché a forte rischio per il CV e di ammalarsi proprio per il Vaccino».

Questa è una narrazione già vista, trattata in un precedente articolo. Anche in questo caso si fa leva sulla superficialità dei propri lettori. La popolazione anziana è più soggetta al rischio di complicazioni, sia per l’influenza stagionale, sia (e a maggior ragione) per il Covid-19.

Più in generale, tutti quelli che hanno dovuto proteggersi contro l’influenza, corrispondono alla fascia di popolazione maggiormente a rischio di contrarre forme gravi di Covid-19. Il fraintendimento è partito dalle affermazioni estrapolate dal Mirror, provenienti da una intervista per la Bbc del vicedirettore medico per l’Inghilterra, Jonathan Van-Tam:

«Sono le persone a cui vengono offerti vaccini antinfluenzali, oltre a bambini, che rientrano in quella categoria di rischio, persone per le quali il consiglio è molto forte sul distanziamento sociale».

Quei ceppi di Coronavirus nei vaccini

È una storia vecchia quella dei «Coronavirus inattivati» nei vaccini, da noi già analizzata in un precedente articolo, dove facevamo presente che nei vaccini antinfluenzali non sono presenti particelle virali, ma i loro antigeni, incapaci quindi di infettare, ma in grado di attivare il Sistema immunitario.

Secondo quanto riportato in uno di questi post, gli «intubati giovani» avrebbero ricevuto il vaccino antinfluenzale VaxiGrip Tetra, il quale conterrebbe due ceppi di Coronavirus inattivati. L’autore non fornisce una fonte in merito. Non viene nemmeno spiegato quale collegamento causale vi sarebbe col Covid-19. Si tratta insomma di una correlazione spuria, come avevamo già spiegato fin dagli esordi della propaganda No vax.

Diamo comunque un’occhiata al foglio illustrativo del farmaco. Fin dalle prime righe scopriamo che è ottenuto mediante «virus frammentati “split”, inattivati». Parliamo di frammenti, cosa ben diversa dai «ceppi inattivati».

Gli studi dei No vax (di nuovo)

A questo punto l’autore elenca degli studi scientifici che dimostrerebbero una «truffa» dell’Oms, volta a nasconderci questo collegamento tra vaccini antinfluenzali e Covid-19.

In realtà vengono linkati soprattutto articoli di quotidiani online. Solo due di questi sono studi scientifici, un terzo articolo riguarda due casi clinici.

Lo studio del 2012, che non dimostra l’interferenza virale

Il primo lo avevamo già analizzato in un apposito articolo dedicato proprio ai documenti scientifici travistati dai No vax. Viene citato anche da Judy Mikovits nel nocumentario Plandemic. La ricerca, condotta da Greg G. Wolff, analizza i pazienti del personale del Dipartimento della Difesa americana, durante la stagione influenzale 2017–2018, prendendo in esame 2880 casi.

Lo scopo che si prefigge Wolff è quello di verificare la presenza di una «interferenza virale». Normalmente con questo termine si intende la capacità di un organismo già infettato da un virus di inibire altre infezioni. Il ricercatore voleva vedere se questo poteva succedere anche coi vaccini, ma – comunque vogliamo intendere questo termine – il fenomeno non viene accertato nello studio, per stessa ammissione dell’autore:

«La ricezione della vaccinazione antinfluenzale non è stata associata all’interferenza del virus nella nostra popolazione. L’esame delle interferenze da parte di specifici virus respiratori ha mostrato risultati contrastanti. L’interferenza del virus derivato dal vaccino era significativamente associata al coronavirus e al metapneumovirus umano; tuttavia, una protezione significativa con la vaccinazione è stata associata non solo alla maggior parte dei virus influenzali, ma anche alle coinfezioni da parainfluenza, RSV e virus non influenzali».

Sulla possibilità che i vaccini antinfluenzali possano aiutare a controllare la pandemia attuale si dibatte ancora – non si parla però di interferenza virale – per esempio, avevamo analizzato in merito un recente studio, che sembra mostrare risultati incoraggianti, per quanto presenti dei limi.

Lo studio del 2017, che non riguarda i vaccini antinfluenzali

Analizziamo allora il secondo studio, pubblicato nel 2012 su Plos One. L’autore ne linka solo una parte, mostrando una tabella di comparazione; questo invece è il link diretto allo studio integrale. Scopriamo quindi che si tratta di una ricerca su quattro potenziali vaccini contro il virus della Sars (SARS-CoV), mediante test effettuati sui topi, dove si analizzano quattro potenziali vaccini.

E no, non c’entra niente con le tesi No vax. Anche questa volta i complottisti hanno perso un’occasione importante: quella di leggere le fonti che loro stessi usano. Scopriamo quindi qual è il senso reale delle tabelle linkate e decontestualizzate. Purtroppo i ricercatori non sono riusciti a ottenere risultati promettenti:

«Questi vaccini SARS-CoV hanno indotto tutti gli anticorpi e la protezione contro l’infezione da SARS-CoV. Tuttavia, la prova nei topi trattati con uno qualsiasi dei vaccini ha portato al verificarsi di immunopatologia di tipo Th2, suggerendo che è stata indotta l’ipersensibilità ai componenti SARS-CoV. È indicata cautela nel procedere all’applicazione di un vaccino SARS-CoV nell’uomo».

Questa è la ragione per cui ci vuole così tanto tempo – anche se si trova un vaccino che sembra funzionare – prima di arrivare alla somministrazione nelle persone. È il «complotto dell’Oms», volto a testare i farmaci per essere certi della loro sicurezza.

I due case report di Internal Medicine, che non dimostrano alcun collegamento causale

Arriviamo ora ai due case report pubblicati su Internal Medicine nel 2017. Non si tratta dunque di studi scientifici veri e propri, bensì delle storie cliniche di due pazienti. Non sono di per sé significative rispetto al resto della letteratura scientifica. Andiamo comunque a vedere cosa viene riscontrato.

Si tratta di due pazienti giapponesi, rispettivamente di 71 e 67 anni, a cui è stata diagnosticata una polmonite interstiziale dopo l’assunzione del vaccino contro l’influenza da virus H1N1, lo stesso che aveva causato una pandemia nel 2009. Scopriamo subito che era costituito da «pdm09-like antigen», ovvero gli antigeni del virus.

I ricercatori fanno notare fin dalle prime righe, che nella letteratura scientifica risultano solo nove casi (compresi i due da loro trattati) di polmonite interstiziale correlata ai vaccini antinfluenzali. Tutti conclusi con «buone prognosi».

Gli autori infine, oltre a riconoscere che esistono pochi casi per accertare una correlazione, non riescono nemmeno a spiegare un collegamento causale, dal momento che non riescono a dimostrare un ruolo degli antigeni nell’incremento dei casi di polmonite interstiziale.

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