Coronavirus. No, non esistono studi seri che dimostrano un collegamento tra vaccini antinfluenzali e Covid-19

Basta leggere le ricerche indicate dai No vax per capire che non dimostrano un ruolo dei vaccini nella diffusione del SARS-CoV2

Il sito del No vax Robert F. Kennedy, Children’s Health Defense, pubblica il 16 aprile un articolo dove viene presentato uno «studio del Pentagono», il quale sosterrebbe che le vaccinazioni antinfluenzali incrementerebbero il rischio di essere infettati dal Coronavirus del 36%. 

L’articolo ci è stato segnalato a seguito della pubblicazione del nostro fact checking sulle recenti affermazioni del virologo Giulio Tarro, il quale in una intervista ha affermato che «ormai è notizia comune, a livello scientifico, che il 36% del Coronavirus è attivato proprio dalle vaccinazioni antinfluenzali».

Non trovando studi seri in merito, abbiamo dedotto che molto probabilmente il virologo facesse riferimento a ricerche diversamente serie, dove si sfruttavano correlazioni spurie (che non dimostrano un collegamento causale), anche perché quel 36% appare nelle relazioni riguardanti l’incidenza del Covid-19 nei pazienti over 75; gli stessi soggetti a cui si raccomanda il vaccino per l’influenza stagionale. 

Per chi va di fretta: l’interferenza virale secondo i No vax

In questo articolo abbiamo verificato che effettivamente, continuano a non risultare studi seri a supporto delle affermazioni di Tarro.

Per quanto riguarda la cosiddetta «interferenza virale», a cui si riferiscono i No vax (distorcendone il senso), questa è conosciuta, ma riguarda la possibilità che le cellule infettate da un virus inibiscano la possibilità di replicazione di altri.

Non è dimostrato invece che i vaccini possano innescare un effetto analogo, anche se esistono studi che lo suggeriscono (nota: dunque del tutto da verificare). In nessun modo vi sono evidenze di una interferenza virale intesa come la capacità di un vaccino, di favorire l’incremento diretto del rischio di contrarre altre infezioni virali.

Il presunto studio del Pentagono che non dimostra niente

Eppure la stessa rivista Vaccine – dove compare il presunto studio del Pentagono – lamentava tre mesi prima, il ruolo negativo dei movimenti contro i vaccini, nel ritorno del morbillo negli Stati Uniti.

Lo studio è intitolato «Influenza vaccination and respiratory virus interference among Department of Defense personnel during the 2017–2018 influenza season». Capiamo quindi che – per quanto pubblicato nel gennaio 2020, non può riferirsi al SARS-CoV2, ma alla famiglia dei Coronavirus, tra cui esistono anche quelli dell’influenza stagionale.

Si dibatte piuttosto, sulla possibilità che le vaccinazioni contro la comune influenza possano dare un aiuto notevole in più nel gestire la pandemia da Covid-19; non perché funzionerebbero direttamente contro il virus che la provoca, bensì per il fatto accertato, che anche l’influenza stagionale comporta dei problemi di gestione dei Sistemi sanitari.

Il cosiddetto studio del Pentagono reca una sola firma, quella di Greg G. Wolff. Un disclaimer chiarisce che «Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle degli autori e non rappresentano necessariamente la politica ufficiale o la posizione del Dipartimento della Difesa o del governo degli Stati Uniti». Quindi è difficile che il Pentagono faccia proprio il documento, il cui contenuto – secondo il dipartimento della Difesa americano -rappresenta le «opinioni» dell’autore, non quindi evidenze accertate.

Come è stata svolta la ricerca

Nello studio in questione l’autore ipotizza l’esistenza di una «interferenza virale».

«Questo studio – continua Wolff – mirava a studiare le interferenze virali confrontando lo stato del virus respiratorio tra il personale del Dipartimento della Difesa in base al loro stato di vaccinazione antinfluenzale. Inoltre, sono stati esaminati i singoli virus respiratori e la loro associazione con la vaccinazione antinfluenzale».

Wolff ha condotto quindi uno studio epidemiologico su 2880 dipendenti del dipartimento della Difesa con virus non influenzali, confrontandoli con altri 3240 risultati «pan-negativi». Uno studio epidemiologico di questo tipo non può stabilire un rapporto causale, perché si rifà a fenomeni già avvenuti, in situazioni non controllate. 

Nella conclusione Wolff riscontra, che «la ricezione della vaccinazione antinfluenzale non era associata all’interferenza virale tra la nostra popolazione». Anche se, «l’interferenza del virus derivato dal vaccino era significativamente associata al coronavirus e al metapneumovirus umano», l’autore riscontra comunque «una protezione significativa con la vaccinazione … associata non solo alla maggior parte dei virus influenzali, ma anche alle co-infezioni da para-influenza, RSV e virus non influenzali».

Del resto Wolff deve ammettere nelle sue conclusioni, che «l’esame delle interferenze virali da parte di specifici virus respiratori ha mostrato risultati contrastanti».

Revisione essenziale degli studi che supporterebbero l’interferenza virale (come intesa dai No vax)

Il No vax Kennedy menziona anche altri studi precedenti, che supporterebbero quello di Wolff, anche se abbiamo visto non dimostrare affatto un 36% di incremento di infezioni da Coronavirus. L’autore purtroppo si è scordato di linkarli tutti, ma per fortuna ha lasciato riferimenti al codice «DOI», che permette di risalire alle versioni online dei paper:

  • 2018 CDC Study: Flu shots increase risk of non-flu acute respiratory illnesses (ARI) in children;
  • 2011 Australian Study: Flu shot doubled risk of non-influenza viral infections and increased flu risk by 73% (non linkato dall’autore);
  • 2012 Hong Kong Study: Flu shots increased the risk of non-flu respiratory infections 4.4 times and tripled flu infections (non linkato dall’autore);
  • 2017 Study: Vaccinated children are 5.9 more likely to suffer pneumonia and 30.1 times more likely to have been diagnosed with Allergic Rhinitis than unvaccinated children (non linkato dall’autore);
  • 2014 Study: Influenza-vaccinated children were 1.6 times more likely than unvaccinated children to have a non-influenza “Influenza-like-illness” (non linkato dall’autore);
  • La meta-analisi della Cochrane.

Ora esaminiamo nel dettaglio ogni singolo studio. Come vedremo nessuno di questi dimostra la narrazione No vax. Non esistono evidenze significative – per stessa ammissione dei ricercatori – dell’esistenza di una interferenza virale, tale da associare i vaccini antinfluenzali ad un incremento del rischio di contrarre altre infezioni respiratorie, men che meno possono dimostrare che il fenomeno esista nel Covid-19.

Facciamo notare che uno di questi lavori risulta essere stato pubblicato su una rivista predatoria. Una rivista è predatoria quando risulta aver pubblicato qualsiasi contenuto – purché gli autori versino una somma di denaro – senza eseguire una effettiva peer review, ovvero la revisione degli studi da parte di altri esperti. Infine, in almeno due articoli sono riportati dei conflitti di interesse da parte di alcuni autori.

CDC Study, 2018

Il Cdc study del 2018 esordisce sostenendo che «una barriera alla vaccinazione antinfluenzale è la percezione errata che il vaccino inattivato possa causare influenza». I ricercatori attraverso uno studio epidemiologico colgono una correlazione tra Ari (malattie respiratorie acute) non influenzali e la vaccinazione antinfluenzale nei bambini, ma non sanno spiegare quali fattori sarebbero in gioco. 

«La ricerca futura – concludono i ricercatori – potrebbe indagare se il processo decisionale medico relativo alla vaccinazione antinfluenzale possa essere migliorato riconoscendo le esperienze dei pazienti, fornendo consulenza sui diversi tipi di ARI e correggendo la percezione errata che tutte le ARI che si verificano dopo la vaccinazione sono causate dall’influenza». 

Nulla di tutto questo potrebbe essere associato al Covid-19, tanto più che non risulta essere più pericoloso nei bambini, di questo abbiamo già delle evidenze.

Australian Study, 2011

Lo studio australiano del 2011 si rifà a dati raccolti dal 2008 sui bambini, nell’ottica di studiare l’efficacia del vaccino antinfluenzale (Ve), somministrato nei soggetti tra i sei e 59 mesi.

«Le stime della VE – concludono i ricercatori – erano più elevate quando i controlli includevano solo quei bambini con un altro virus respiratorio rilevato. Il test per altri virus respiratori comuni consente al gruppo di controllo di essere limitato a coloro per i quali è probabile un campione adeguato».

Insomma, per qualche ragione che gli autori non hanno compreso, l’efficacia dei vaccini risultava più alta nei bimbi che presentavano anche un altro virus respiratorio. Ma i ricercatori non dimostrano in questo modo un ruolo diretto dei vaccini nella presenza di altri patogeni.

Hong Kong Study, 2012

I ricercatori hanno condotto uno studio randomizzato su 115 bambini che hanno ricevuto il vaccino trivalente o un placebo. Alcuni degli autori presentano inoltre «potenziali conflitti di interezze», come correttamente riportato alla fine dell’articolo, dopo il paragrafo dedicato alla «Discussione» dei risultati.

Nei successivi nove mesi è stato così riscontrato «un aumentato rischio di infezioni non influenzali confermate virologicamente», continuano i ricercatori, questo perché la protezione contro l’influenza non garantisce «un’immunità temporanea non specifica che proteggeva da altri virus respiratori».

Qualsiasi ipotesi riguardo a una «interferenza virale» presenta invece «prove empiriche limitate». Le associazioni con un aumentato rischio di infezioni respiratorie è stato rilevato per rinovirus, coxsackie e echovirus. Tuttavia, gli autori non escludono la possibilità di artefatti nelle misurazioni:

«L’aumento del rischio di infezione da virus respiratorio non influenzale tra i destinatari di TIV potrebbe essere una scoperta artefatta – riportano i ricercatori nella Discussione – per esempio, la distorsione da misurazione avrebbe potuto derivare se i partecipanti avessero avuto maggiori probabilità di riferire il loro primo episodio di ARI ma meno probabilità di riportare episodi successivi, mentre non vi era alcuna reale differenza nel rinovirus o in altre infezioni da virus respiratorio non influenzale dopo la stagione influenzale invernale».

Per quanto riguarda invece l’ipotesi di un «effetto reale», gli autori lo assocerebbero a un «meccanismo biologico sconosciuto». Quindi, lo studio non riesce a dimostrare un collegamento causale tra vaccini antinfluenzali e l’incremento del rischio di venire infettati da altri virus.

Per quanto gli autori dello studio cerchino di avallare l’esistenza di una «interferenza virale», riconoscono di aver prodotto risultati limitati «dalla piccola dimensione del campione e dal piccolo numero di infezioni confermate».

2017 Study

Si tratta di uno studio pilota comparativo, riguardante la salute dei bambini americani tra i sei e dodici anni, con o senza vaccinazione. Non ci dilungeremo sui suoi risultati, perché è stato pubblicato sul Journal of Translational Science, che risulta nella black list delle riviste predatorie.

2014 Study

Viene presentato come uno studio epidemiologico sull’efficacia dei vaccini antinfluenzali. Gli autori riscontrano che l’immunità non copriva anche i rinovirus, responsabili del raffreddore comune, per il quale effettivamente non esistono vaccini specifici. Lo studio è di tipo «osservazionale», coinvolgendo attivamente le madri nel riportare sintomi ed effettuare tamponi. 

In nessun modo viene dimostrato un ruolo dei vaccini nell’incremento di altri patogeni. I raffreddori causati dai rinovirus sono talmente comuni, che sarebbe come sostenere che, siccome quasi tutte le vittime di incidenti stradali avevano la cintura, allora quest’ultima incrementerebbe il rischio di morire alla guida.

Meta-analisi Cochrane

Questa meta-analisi, aggiornata diverse volte, ha tra gli autori Tom Jefferson che risulta avere un potenziale conflitto di interesse. Nelle loro conclusioni gli autori devono ammettere di non essere riusciti a dimostrare un gran che:

«Non abbiamo trovato alcuna prova di un’associazione tra vaccinazione antinfluenzale ed eventi avversi gravi negli studi comparativi considerati in questa recensione». Nel testo non compare il termine «viral interference». 

Conclusione: le fonti andrebbero lette prima di venire citate

I No vax e l’autore dell’articolo principale che raccoglie tutti questi studi, non sembrano essersi presi la briga di leggerli, malgrado si tratti di lavori estremamente interessanti, se debitamente contestualizzati.

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