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Diritti umani, tutte le violazioni accertate in Italia nel rapporto Amnesty

04 Giugno 2020 - 11:57 Angela Gennaro
Politiche migratorie immutate, l'accordo con la Libia, i porti più o meno chiusi. Ma anche i campi rom che sono ancora lì e gli abusi delle forze dell'ordine: ecco tutte le violazioni del nostro Paese secondo il Rapporto Diritti Umani 2020

Stefano aveva 31 anni ed è morto nel 2009 a Roma per le lesioni riportate a causa del «violentissimo pestaggio» subito da due carabinieri che lo avevano fermato trovandogli addosso della droga. Se Cucchi, geometra romano che ormai tutta Italia conosce, non avesse incrociato sulla sua strada i pugni e i calci di Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, suoi coetanei e a novembre scorso condannati a 12 anni di carcere, ora sarebbe ancora vivo. Ci sono voluti dieci anni per dirlo.

Nella fotografia che annualmente Amnesty International scatta della situazione dei diritti umani a livello globale (è il Rapporto 2019-2020, pre-Coronavirus), la sezione dedicata all’Italia racconta di un paese ingrigito, fiaccato, immobile. Un posto dove sì, qualcosa si muove e arrivano sentenze storiche come quella del processo Condor.

Ma la giustizia può avere tempi lunghissimi, capita ancora di morire mentre si è nelle mani dello Stato, cambia il governo ma non cambiano le politiche migratorie, le ong che soccorrono persone in mare vengono ancora ostacolate e «migliaia di rom continuano a essere «segregati in campi» a rischio di sgomberi forzati.

Insomma: potrebbe andare meglio. Ecco il perché, nella scheda dedicata all’Italia del nuovo rapporto di Amnesty International presentato oggi, 4 giugno.

Il contesto

È agosto 2019 quando ad aprire la crisi di governo ci pensa Matteo Salvini, in quel momento vicepremier e ministro degli Interni. Il leader della Lega, come noto, fin dal primo minuto del governo Conte I, di cui ha fatto parte fino a quel momento, si è intestato la battaglia di quelli che chiamava “porti chiusi” (che chiusi non erano) alle navi umanitarie. E sua è la paternità dei cosiddetti decreti Sicurezza, che rivedono tra l’altro il sistema della protezione umanitaria per migranti e rifugiati nel nostro paese.

L’altro vicepremier, in quel momento, è poi quel Luigi Di Maio, allora capo politico del Movimento 5 Stelle, che detiene il copyright della definizione di “taxi del mare” (mai corroborata da sentenza alcuna) per le navi umanitarie impegnate da anni nel Mediterraneo centrale in operazioni di ricerca e soccorso di chi tenta di raggiungere l’Europa attraverso quella che è la rotta migratoria più mortale al mondo. Insomma, una linea politica coerente e rivendicata da tutta la maggioranza.

ANSA/Angelo Carconi | Il murales comparso in piazza Capizucchi sul nuovo governo Conte bis. L’opera ritrae il premier Giuseppe Conte, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il segretario del Pd Nicola Zingaretti e il senatore Matteo Renzi, Roma, 6 settembre 2019.

Cambia il governo, a Giuseppe Conte succede alla presidenza del Consiglio Giuseppe Conte, e il Conte II è retto da una coalizione di centrosinistra (esce il Carroccio, entrano Pd, Italia Viva e LeU) con un nuovo programma che nelle intenzioni – ricostruisce Amnesty International nel rapporto – adotta «una linea politica e una retorica meno populiste e meno incentrate sul contrasto all’immigrazione». Spoiler: non andrà così.

Immigrazione

L’effetto dei decreti sicurezza di Salvini (mantenuti dall’attuale governo)

Il 2019 «è stato un anno di politiche ostili ai diritti umani, segnatamente di politiche ostili ai diritti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati», racconta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia. «E nonostante il cambio di maggioranza, quella famosa ‘discontinuità‘ può essersi vista nelle parole e non nei fatti».

I decreti sicurezza voluti da Salvini sono ancora al loro posto. E grazie a loro – l’allarme era stato già lanciato a ottobre dal dossier statistico immigrazione 2019, a cura di Idos, con Confronti e la chiesa Valdese – sta crescendo il popolo degli invisibili e degli irregolari, e aumenta l’esclusione. Un allarme che viene oggi confermato dal report di Amnesty: a poco più di un anno dall’entrata in vigore del decreto legge 113/2018, il cosiddetto “decreto Salvini” che ha abolito lo status di protezione umanitaria, «ad almeno 24mila persone è stato negato uno status legale».

ANSA/Massimo Percossi| Blessing Attari, una giovane nigeriana di 25 anni ospite del Cara di Castelnuovo di Porto, titolare di protezione umanitaria e per questo – secondo la nuova Legge sicurezza – destinataria di un “foglio per la revoca dell’accoglienza”. Blessing, che ha un figlio di 6 mesi, si è vista respingere la domanda per lo status di rifugiato, 23 gennaio 2019.

Oggi hanno meno accesso all’assistenza medica, all’alloggio, ai servizi sociali, all’istruzione e al lavoro e sono così più esposte a «vulnerabilità a sfruttamento e abusi», affonda Amnesty International nel report. Con conseguenze «disastrose» sull’integrazione, con i richiedenti asilo esclusi dalla rete di strutture di accoglienza ed esposti «a detenzione prolungata nei centri per il rimpatrio, con ridotte opportunità di comunicare con avvocati e familiari». 

È così che la civile Italia diventa il paese che a febbraio riceve la “preoccupazione” del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti dell’infanzia, per la protezione offerta ai minori rifugiati e migranti (un settore dove, peraltro, il nostro paese era invece, almeno dal punto di vista teorico, all’avanguardia). Due mesi dopo sarà poi il Comitato sulle sparizioni forzate dell’Onu ad avanzare «timori sulle condizioni di vita nei centri di detenzione» per migranti in Italia . 

ANSA / Ettore Ferrari | Il leader della Lega Matteo Salvini durante la conferenza stampa per presentare il piano sull’emergenza Coronavirus, Roma, 25 febbraio 2020.

I porti chiusi

Paradosso dei paradossi, è stato questo governo a chiudere i porti, dichiarando l’Italia «non sicura» a causa dell’emergenza Covid-19. Il vero spartiacque è stato però il decreto Sicurezza bis (per il quale l’Onu ha parlato di violazione dei diritti umani). Una legge che, ricorda Amnesty, prevede, «in caso di violazione del divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane» sanzioni che vanno da 150mila euro a un massimo di un milione di euro per il comandante e l’armatore della nave, nonché il sequestro cautelare e la confisca dell’imbarcazione. 

OPEN | Grafica di Vincenzo Monaco

Il 2019 è costellato di cronache di navi umanitarie «fatte sostare al largo per prolungati periodi di tempo, sottoponendo le persone soccorse a bordo a inutili sofferenze, prima di ricevere l’autorizzazione a sbarcare in Italia», si legge nel rapporto. Ma anche di navi confiscate, di capitane arrestate, di rifiuti di diritto di sbarco.

Certo, con il governo di centrosinistra, da settembre in poi, le attese al largo sono durate meno, si è cominciato a lavorare sul cosiddetto accordo di Malta e si è assistito a più rapide redistribuzioni delle persone soccorse tra i paesi europei prima dello sbarco. Altrettanto certo è che i decreti Sicurezza restano lì, tuttora in vigore e niente affatto archiviati. E gli impegni, pure presi, nel rivederli hanno visto ogni interlocuzione interrotta dall’arrivo della drammatica emergenza sanitaria che stiamo ancora vivendo.

Il memorandum con la Libia

L’arrivo della pandemia avrebbe interrotto anche l’interlocuzione sulle modifiche a quello che è per Amnesty un altro dei punti più dolenti in termini di rispetto dei diritti umani: il memorandum Italia-Libia. Nè risultano all’orizzonte quelle modifiche all’accordo che l’attuale governo avrebbe assicurato di chiedere alla controparte libica. L’unica novità sono state, dicono le ong che si occupano di diritti umani, «due righe» di modifica inviate da Roma a Tripoli per «lavarsi la coscienza».

Nel frattempo la Libia resta un paese in guerra e dove i diritti umani non vengono rispettati (solo pochi giorni fa il tribunale di Messina ha per la prima volta confermato che le prigioni finanziate da Italia e Unione europea sono luoghi di tortura). E dove però, anche per effetto di quell’accordo, i migranti che tentano la traversata del Mediterraneo, se intercettati dalla cosiddetta Guardia costiera libica, vengono riportati. Un porto «non sicuro» (ebbe ad ammetterlo anche Matteo Salvini) dove quindi, ai sensi dei diritto internazionale, nessuno dovrebbe essere riportato.

È vero, il numero degli attraversamenti irregolari ha continuato a diminuire a partire da agosto 2017, «principalmente a seguito della cooperazione con la Libia per contenere le partenze», si legge. Ma a che prezzo, giacché chi viene intercettato e portato indietro viene «detenuto arbitrariamente in condizioni disumane»?

ANSA/UFFICIO STAMPA POLIZIA DELLO STATO | Il centro di detenzione libico dove operavano le tre persone fermate dalla Dda di Palermo, accusati di sequestro di persona, tratta di esseri umani e tortura e e un estratto delle testimonianze contro di loro, Messina 16 settembre 2019. Avrebbero trattenuto in un campo di prigionia libico decine di profughi pronti a partire per l’Italia. I migranti hanno raccontato di essere stati torturati, picchiati e di aver visto morire compagni di prigionia.

I campi rom

I campi rom violano i diritti umani. E l’Italia è da tempo “il paese dei campi”, che anche nel 2019 ha visto «politiche di segregazione su base etnica», un sistema abitativo al di sotto degli standard di sicurezza internazionali e condanne di istituzioni europee e internazionali. Le condanne di Strasburgo all’Italia si sono susseguite negli anni: sanzioni e moniti al superamento del sistema dei campi. Ma i piani per farlo, come quello che l’amministrazione guidata da Virginia Raggi ha provato a mettere in atto a Roma (ma accade anche in altre città), di fatto non funzionano.

ANSA/Ciro Fusco | Il campo rom di Giugliano in Campania (Napoli), 5 giugno 2019.

E migliaia di rom continuano a vivere in campi segregati, con un accesso agli alloggi popolari che resta «sproporzionalmente limitato». Lontani e inimmaginabili sono concetti come “integrazione” e condizioni di vita dignitose, mentre la realtà viene schiacciata dalla costante minaccia di sgombero. Come quello di un anno fa, quando quasi 500 persone – tra cui almeno 150 bambini, donne incinte e anziani – sono «state sgomberate con la forza dalle autorità dai loro insediamenti nel comune campano di Giugliano, nei pressi di Napoli», ricorda Amnesty International. «Non è stato loro offerto alcun alloggio alternativo o alcun piano per una sistemazione d’emergenza».

ANSA/Ciro Fusco | Il campo rom di Giugliano in Campania (Napoli), 5 giugno 2019.

Tortura e decessi in custodia

In Italia chi porta avanti sulla sua pelle battaglie di giustizia, paga ancora un prezzo altissimo. Così accade a Ilaria Cucchi e alla sua famiglia: dieci anni in cui questa sorella, insieme a mamma Rita e papà Giovanni, non si è mai arresa nella ricerca della verità sulla morte del fratello mentre era nel reparto detentivo di un ospedale.

ANSA/Massimo Percossi | Ilaria Cucchi all’esterno della Procura di Roma per incontrare il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, 3 novembre 2014.

Di abusi, presunti o accertati, da parte delle forze dell’ordine su persone fermate o in carcere, la storia d’Italia è ormai costellata. Quella che forse il caso Cucchi ha provato a contribuire a scardinare è un’omertà che non fa bene alla giustizia e alle tantissime brave persone – la stragrande maggioranza – che di quelle forze dell’ordine fanno parte, ripete spesso Italia Cucchi.

A settembre, 15 agenti di custodia sono stati indagati per molteplici reati, tra cui tortura aggravata, in relazione all’aggressione contro un detenuto avvenuta nel carcere di San Gimignano, in provincia di Siena, nel 2018, ricorda Amnesty International nel suo rapporto.

«Quattro degli agenti sono stati interdetti dal servizio, su disposizione del giudice per le indagini preliminari». Una settimana dopo la diffusione della notizia dell’apertura di un’indagine, l’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini – scrive ancora l’associazione nel rapporto – «ha visitato il carcere esprimendo quello che è sembrato essere un sostegno incondizionato agli indagati, compromettendo in tal modo gli sforzi della magistratura e dell’amministrazione penitenziaria di assicurare l’accertamento delle responsabilità per gravi violazioni dei diritti umani».

In copertina OPEN | Grafica di Vincenzo Monaco

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