Anche Bob Dylan chiede giustizia per George Floyd: «Vederlo morire in quel modo è stato l’orrore»

A due mesi dall’uscita dell’inedito «Murder most foul», Dylan parla dell’ osceno omicidio che ha portato l’America – e non solo – alle rivolte

«It was beyond ugly». È stato oltremodo brutto. Terribilmente inguardabile. O ancora: è stato l’orrore. Per Bob Dylan, leggenda della musica americana e premio Nobel per la Letteratura, la morte di George Floyd per mano di un agente di polizia è stato un evento rivoltante. In un’intervista concessa allo storico Douglas Brinkley e pubblicata sul New York Times, il rivoluzionario di Duluth ha commentato l’omicidio che sta accendendo le rivolte in tutto il continente – e oltre. «Mi ha nauseato senza fine vedere George torturato a morte in quel modo», ha detto Dylan. «Speriamo che la giustizia arrivi velocemente per Floyd, per la sua famiglia e per tutta la nazione». Proprio a fine marzo, Dylan aveva pubblicato una canzone-maratona da 17 minuti, dal titolo shakespeariano a dir poco profetico: «Murder Most Foul». L’omicidio più osceno, più disgustoso, più disonesto. «It happened so quickly, so quick, by surprise – recitano alcuni versi della sua canzone più lunga, e che ruota attorno all’assassinio di John F.Kennedy – Right there in front of everyone’s eyes / Greatest magic trick ever under the sun / Perfectly executed, skillfully don / Wolfman, oh wolfman, oh wolfman howl / Rub-a-dub-dub, it’s a murder most foul». (Accadde così in fretta, così di sorpresa / Proprio lì davanti agli occhi di tutti / Il trucco di magia più grande di sempre sotto il sole / Perfettamente eseguito, / Oh uomo lupo / È l’omicidio più osceno di sempre).


A una settimana dall’uscita del suo nuovo album, dal titolo «Rough and Rowdy Ways» – è la prima raccolta di inediti dopo 8 anni, quando nel 2012 uscì «Tempest» – Dylan è tornato a parlare della sua arte, del rapporto che questa ha con il presente e con la realtà, della sua portata universale che va oltre le singolarità, oltre lo spazio e oltre il tempo.


«Murder Most Foul», proprio come l’altro meraviglioso singolo estratto «I Contain Multitude» (citazione da «Foglie d’erba» di Walt Whitman) è «una canzone che non parla del passato, né lo glorifica, né ne esprime nostalgia: «questa canzone, come tutte, mi parla del momento». E di riferimenti visionari al momento – soprattutto sull’assalto alle statue e ai simboli – ce ne sarebbero a bizzeffe anche in «False Prophet», altro inedito appena pubblicato. Ma questa è un’altra, lunga, storia.

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