Il leader della Lega alla prova dell’Aula del Senato. Tra poche ore a Palazzo Madama è previsto il voto sull’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini per il caso relativo alla nave Open Arms, quando l’allora ministro dell’Interno si rifiutò di dare il via libera allo sbarco dei migranti a bordo dell’imbarcazione. «È agli atti, ho fatto il mio dovere, ho la coscienza a posto», ha ribadito Salvini con l’avvicinarsi di questo giorno fatidico in cui il governo deciderà se mandarlo a processo o meno. Poi ha lanciato una provocazione ai suoi avversari politici: «Chiedo a Pd e M5s se pensino sia normale attaccare gli avversari per via giudiziaria e non politica».
Cosa accadde un anno fa
Per capire di cosa stiamo parlando dobbiamo fare un passo indietro, tornando all’agosto del 2019. In carica c’è ancora il governo “gialloverde” e Matteo Salvini è ministro dell’Interno. Sono i giorni che precedono la crisi del primo governo Conte (il premier si dimetterà il 20 agosto). Il 1° agosto al largo della Libia la nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms interviene e salva 124 migranti in difficoltà. Chiede quindi un porto di sbarco all’Italia, ma riceve il divieto di entrare nella acque territoriali italiane. Alcuni migranti a bordo vengono trasferiti per ragioni di salute. Ne rimangono quindi 121, tra cui 32 minori e 28 non accompagnati.
Il 9 agosto, per superare lo stallo, i legali della Ong si rivolgono alla magistratura italiana. Al tribunale dei minori di Palermo viene depositato un ricorso per consentire lo sbarco. Intanto, il giorno successivo, vengono tratte in salvo altre 39 persone, che aumentano il numero dei presenti a bordo, che sono adesso oltre 150. Ma il braccio di ferro con il ministero dell’Interno continua. Salvini non concede alcuna autorizzazione allo sbarco, mentre il tribunale dei minori di Palermo riconosce che si starebbe verificando un illegittimo respingimento alla frontiera ed espulsione dei minori stranieri non accompagnati e chiede spiegazioni all’esecutivo.
Il giorno successivo la Ong si rivolge al Tar del Lazio contro il decreto sicurezza bis, fonte normativa che legittimerebbe lo status quo. Il giorno successivo il Tar accoglie il ricorso e sospende il divieto di ingresso nelle acque italiane ma, nonostante questa decisione, all’imbarcazione non viene assegnato un porto di sbarco.
La situazione a bordo si fa difficile. Molte persone vengono fatte sbarcare per motivi medici, molte altre restano a bordo. Il medico della nave ha già denunciato le gravi condizioni di disagio fisico e psichico dei migranti, stipati sull’imbarcazione e fermi da giorni in mare. Ha riferito anche di minori con ustioni, difficoltà di deambulazione, come conseguenza delle violenze subite nei campi di detenzione libici. Ma la tensione sulla nave sfocia anche in atti disperati. Diversi migranti si gettano in mare per raggiungere le coste italiane (Lampedusa), ma vengono raggiunti dai volontari spagnoli e riportati a bordo.
Dopo 19 giorni di stallo, con la nave ferma al largo di Lampedusa, il braccio di ferro si risolve con l’intervento del procuratore di Agrigento. A seguito di un esposto presentato in Procura sale a bordo della Open Arms e decide, viste le condizioni che si trova di fronte, di disporre lo sbarco e il sequestro della nave. L’imbarcazione attracca quindi a Lampedusa con le 83 persone rimaste a bordo. Dalla procura agrigentina l’inchiesta passerà poi, per competenza, al Tribunale dei ministri di Palermo.
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