Banksy battuto in tribunale, chi resta anonimo non ha diritti d’autore: così il suo Lanciatore di fiori può usarlo chiunque

Un precedente che potrebbe avere un effetto anche sulle altre opere dell’artista la cui identità è al centro di speculazioni da anni?

Giù le mani da Banksy. La notizia è di quelle che faranno discutere: il celebre e anonimo artista non si è visto riconosciuto il trademark per una delle sue opere più famose, Flower Thrower (il Lanciatore di Fiori), dopo essersi rifiutato di rivelare la sua identità ai giudici.


Un duro colpo è stato quindi inferto al tentativo dell’artista di dissuadere i merchandiser dall’incassare profitti dalle immagini dei suoi graffiti: l’ufficio per la proprietà intellettuale dell’Unione europea ha dichiarato non valida la richiesta dell’artista di utilizzare il suo famoso Flower Thrower – dipinto sui muri della Cisgiordania, a Betlemme – come marchio.


La battaglia legale

«Il copyright è per i perdenti», recita uno dei suoi murales. Ma il trademark poteva servire. Una battaglia che Banksy, la cui identità è stata per anni e continua a essere oggetto di speculazione ma ancora avvolta nel mistero nonostante cicliche rivelazioni mai confermate – stava portando avanti da anni. Ora – e la mossa, nota la stampa internazionale, potrebbe rappresentare un precedente anche per le sue altre opere d’arte – i giudici hanno stabilito che non può rivendicare un marchio UE per il murales perché l’artista «non può essere identificato come il proprietario indiscutibile di tali opere a causa della sua identità è nascosta».

Come ricostruisce il New York Times, nel 2014 Pest Control, l’ufficio di autenticazione di Banksy, si è rivolto all’ufficio per registrare l’immagine del murale di Betlemme come «marchio di fabbrica senza testo» ufficiale. L’immagine è celeberrima in tutto il mondo: un gigantesco ribelle che lancia un bouquet floreale che occupa un muro altissimo nascosto dietro a un’anonime pompa della benzina e autolavaggio. Gli artisti, scrive ancora il Times, usano tradizionalmente la legge sul copyright per proteggere le loro opere da imitazioni, ma l’azione sul copyright avrebbe richiesto all’artista di graffiti britannico di rivelare la sua identità a lungo nascosta. Ecco allora la strada del trademark.

Nel 2019 è Full Color Black, una società di biglietti d’auguri che ha sede in Gran Bretagna, a presentare domanda e chiedere all’Europa di dichiarare non valido il tentativo di Pest Control di registrare il marchio Flower Thrower. La risposta di Banksy era stata quella di creare un negozio pop-up a Croydon, a sud di Londra, per cercare di dimostrare «che stava attivamente utilizzando il suo marchio per produrre e vendere la propria merce». Tra i prodotti in negozio, anche una stampa a tre pannelli del murales di Betlemme.

La decisione della giuria

Banksy – oggi tra l’altro sceso attivamente in campo nella questione migratoria con il finanziamento di una nave di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale – «ha scelto di rimanere anonimo e per la maggior parte di dipingere graffiti sulla proprietà di altre persone senza il loro permesso, piuttosto che dipingerli su tele o di sua proprietà», dice ora la giuria. «Ha anche scelto di essere molto esplicito riguardo al suo disprezzo per i diritti di proprietà intellettuale».

E poi, appunto, la questione dell’anonimato «un altro fattore degno di considerazione è che non può essere identificato come il proprietario indiscutibile di tali opere poiché la sua identità è nascosta; inoltre non si può stabilire senza dubbio che l’artista detiene i diritti d’autore sui graffiti».

In copertina OPEN/Angela Gennaro | Il lanciatore di fiori di Banksy a Betlemme, Palestina

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