Scuola, certificato obbligatorio con i sintomi Covid. I medici di base: «Senza test rapidi è una follia»

di Giada Ferraglioni

Nell’ultima circolare del Ministero si conferma che per tornare in classe dopo un’assenza per motivi di salute è necessario dichiarare di aver fatto i controlli anti-Coronavirus. Ma per i medici è come «spegnere un incendio con un secchiello»

Il via libera è arrivato, seppur ancora cauto: Roberto Speranza, ministro della Salute, ha aperto alla possibilità di utilizzare i test rapidi e salivari antigenici in contesti diversi dagli aeroporti. Il passo è importante soprattutto sul versante delle scuole: alla prova dei primi contagi da Coronavirus, le classi restano spesso incastrate in lunghe spirali di quarantene legate ai tempi dei tamponi, necessari a certificare lo stato di salute dei bambini e – di conseguenza – il loro rientro.


Alcune Regioni si erano già portate avanti le scorse settimane bandendo gare d’acquisto per i kit dei test. Giunte come quella della Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Veneto e Toscana ne hanno ordinati fino a 2 milioni e si sono organizzate per avviare lo screening rapido nelle scuole, senza ricevere né lo stop né l’approvazione formale del governo. Che per il momento lascia fare.


Fortunato D’Ancona, membro dell’Istituto superiore di sanità, fa sapere a Open che la valutazione dell’Iss sui test è comunque positiva. I vantaggi sarebbero due: uno riguardo al tempo – la risposta può arrivare tra i 15 e i 30 minuti – e uno riguardo al luogo, poiché la lettura dei risultati è affidata sul momento a un piccolo macchinario portatile. «Non spetta a noi decidere le modalità di utilizzo, ma posso dire che si tratta di uno strumento rapido soprattutto per necessità di screening».

Il nodo dei certificati

Proprio quello di snellire le pratiche di tracciamento dei contagi è uno dei motivi alla base dell’apertura di Speranza: se un bambino si assenta da scuola per più di 3 giorni (5 dalle elementari in su) per tornare in classe avrà bisogno di un’attestazione di negatività certificata dal tampone. E per una diagnosi possono passare fino a 10 giorni – che, se il bambino è positivo, si traducono in un totale di 24 giorni di isolamento per un’intera classe.

Per arginare almeno in parte l’arbitrarietà regionale (molte, come Lombardia e Emilia-Romagna, hanno deciso di eliminare il certificato) il ministero della Salute ha emanato una nuova circolare per fare chiarezza. Nell’ultima parte del documento è ribadito che

In caso di patologie diverse da COVID-19, con tampone negativo, il soggetto rimarrà a casa fino a guarigione clinica seguendo le indicazioni del PLS/MMG che redigerà una attestazione che l’alunno/operatore scolastico può rientrare scuola poiché è stato seguito il percorso diagnostico-terapeutico e di prevenzione per COVID-19, come disposto da documenti nazionali e regionali.

Senza test rapidi è come «spegnere un incendio con un secchiello»

Questo significa solo una cosa, dice a Open Domenico Crisarà, medico di base e vice segretario della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG). «Che per ogni malattia va fatto il tampone. Altrimenti come faccio ad assicurare di aver fatto di tutto per escludere la Covid-19?». Secondo il dottor Crisarà, i test rapidi sono sono fondamentali per distinguere una semplice influenza stagionale da un’infezione da Coronavirus.

«Senza si intasa il sistema. È come essere davanti a in incendio e provare a spegnerlo con un secchiello». «Bisogna avere un senso della realtà, che in questo momento non c’è», aggiunge il medico. «Perché se io ogni bambino che starnutisce lo mando a casa, allora diventa un gioco al massacro sulle responsabilità »

«I test aiuterebbero a diminuire il carico di tamponi molecolari, di cui ci sarà grande richiesta in questo periodo, e rendere più agile il sistema tracciamento», conferma il dottor D’Ancona. «Noi speriamo che miglioreranno preso le loro performance (al momento sono all’85% di sensibilità, ndr). Nel frattempo potremmo usare i tamponi per il monitoraggio dei malati e i test rapidi per migliorare le attività di screening».

Tra le questioni in ballo in queste settimane c’è anche la decisione sulla riduzione dei tempi di quarantena. Una scelta che spetta al Ministero della Salute, che però è ancora in fase di valutazione insieme al Comitato tecnico scientifico. Andrea Crisanti, virologo dell’Università di Padova, ha affermato che la riduzione è ipotizzabile solo in relazione a un’aumento dei tamponi e dei test. Ma per D’Ancona le due cose non stanno insieme: «Sono due cose diverse», dice. «I tempi di quarantena sono una forma di garanzia per la salute pubblica. Test rapido o no, la maggior parte delle persone che ha avuto contatti stretti con positivi sviluppa la malattia nel corso dei 14 giorni».

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