Coronavirus, i numeri in chiaro. L’infettivologa Taliani: «Per la prima volta guardo i dati e sono speranzosa»

di Valerio Berra

Durante il fine settimana, il numero dei tamponi cala e così anche quello dei pazienti positivi. Eppure questa volta il calo è stato molto più forte di quello della scorsa settimana

Nelle ultime 24 ore il numero dei contagi si è fermato a 22.253. Una cifra più bassa dei picchi conosciuti negli ultimi giorni, in cui questo dato ha superato anche quota 30 mila. Una cifra che secondo Gloria Taliani, infettivologa e ordinaria di Malattie infettive all’Università La Sapienza di Roma, potrebbe far sperare in un rallentamento dell’epidemia. Anche se si tratta di un segnale che da solo non basta per leggere una tendenza.


I dati di oggi possono segnare
un’inversione di tendenza?


«L’andamento
dei casi giornalieri segna uno schema a dente di sega. Fino ad oggi
ogni discesa era sempre superiore al minimo della discesa precedente.
Oggi per la prima volta questo minimo è inferiore all’ultimo minimo
registrato. Troppo poco per parlare di un calo. Per la prima però
volta siamo tornati indietro ai valori precedenti. È chiaro che
l’esame complessivo richiede una visione più ampia. È un dato che
per la prima volta mi sento di commentare in un modo speranzoso».

Sappiamo che il calo dei nuovi
positivi è legato al numero dei tamponi. Questi due valori non sono
troppo intrecciati per cogliere dei segnali?

«Il calo dei tamponi avviene in ogni weekend. La scorsa settimana il minimo era comunque più alto di quello della settimana prima. Questa volta non è successo».

Cosa hanno in comune le regioni in
cui si stanno registrano più contagi?

«Le regioni con più casi sono Lombardia, Campania e Lazio. E queste sono anche le regioni con la più alta densità di abitanti in Italia. La frequenza dei contagi quindi è legata alla prossimità. Certamente questo fa riflettere sul fatto che dobbiamo essere incisivi e ripetitivi fino alla morte con il principio del distanziamento, con l’uso della mascherina e con il lavaggio delle mani. Queste sono le cose che fanno la differenza. Noi possiamo fare ripetuti lockdown ma del virus non ci libereremo fino ai prossimi mesi».

Sempre parlando di regioni, c’è
qualche altro caso rilevante oltre a quelli citati?

«La cosa interessante è che al quarto posto c’è il Piemonte, la nona regione in ordine di densità di abitanti. Probabilmente la spiegazione più ragionevole è che ci sono nella regione dei grandi centri, grandi agglomerati urbani in cui la densità aumenta notevolmente. Ma questo non basta: in altre regioni come Emilia-Romagna o Veneto le strategie di controllo sono state più efficaci».

Cosa sta succedendo in Valle
d’Aosta, dove ci sono oltre 2mila contagi su una popolazione totale
di circa 125mila abitanti?

«La
Val d’Aosta è una realtà molto montuosa, probabilmente nelle valli
la ricerca del virus è meno ferrea. Si fanno i tamponi ai
sintomatici e quindi la frazione di positività è più elevata».

Il nuovo Dpcm si sta muovendo verso
una serie di limitazioni su base regionale. Ha senso procedere in
questa direzione?

«La quota di soggetti che si muove da una regione all’altra non è così alta da rendere necessario un blocco totale. I casi positivi e l’Rt sono molto geopardizzati nel territorio: la personalizzazione in base alle regioni è fondamentale. In ogni caso possiamo chiudere anche 15 giorni per alleviare il peso sul sistema sanitario ma comunque bloccare la diffusione di questo virus è un obiettivo che resta nelle nostre mani».

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