Gli intoppi di Astrazeneca e il piano B del governo con Pfizer mettono a rischio la campagna vaccinale italiana?

di Giada Giorgi

L’ombra del compromesso sulla somministrazione del vaccino Oxford solo per gli under 55 preoccupa per la grande quantità di dosi concordate dall’Italia. E la soluzione d’emergenza ventilata con Pfizer non compensa i timori

È il terzo giorno consecutivo in cui l’Italia combatte con in mano una nuova arma. Le dosi di vaccino anti-Covid, Pfizer-BioNtech, continuano a essere inoculate in tutto il Paese, in uno scenario di entusiasmo che al momento però non è ancora specchio di una vittoria definitiva. Nella prossima staffetta di forniture, che dovrà garantire il rispetto della fasi previste dal piano vaccinale, c’è il cavallo da corsa su cui l’Italia ha deciso di puntare già dalla scorsa estate e che proprio per questo non smette di destare timori. Da AstraZeneca dipenderanno infatti quasi il 60% delle dosi previste per i primi tre mesi del 2021, 40 milioni in tutto il 2021, le stesse su cui la dichiarazione di Speranza di poche ore fa ha confermato le aspettative riposte:


«Se arriva subito al traguardo anche AstraZeneca, entro il primo trimestre si aggiungeranno altri 16 milioni di dosi. Risultato finale: già dal primo aprile potremmo avere 13 milioni di vaccinati, raggiungendo così la fase 1 del piano»


Dice bene il ministro Speranza, tutto questo potrebbe avvenire «se» Astrazeneca dovesse arrivare subito al traguardo. Un condizionale che nonostante il trascorrere dei mesi, a oggi deve essere ancora mantenuto, nello scenario di una sperimentazione rivelatasi tutt’altro che serena.

I documenti presentati all’ente regolatore europeo sono ancora al vaglio, in una dinamica di ritardi e compromessi che ancora una volta non promettono al vaccino di Oxford un iter rassicurante. La fase 1 di cui parla Speranza, e cioè quella che porterebbe a vedere i primi effetti epidemiologici della somministrazione con 13 milioni di persone vaccinate, dipenderebbe dunque dalla scommessa dell’Italia su un candidato vaccino che al momento sembrerebbe essere davvero efficace solo per una certa categoria di popolazione. Le dichiarazioni delle ultime ore del Ceo Pascal Soriot sui dati più incoraggianti del vaccino di Oxford – forse alla base di un via libera anche da parte del Regno Unito – contribuiscono ora a dare qualche speranza in più alla scommessa italiana. Una sfida che negli ultimi mesi il governo ha rischiato a più riprese di perdere in modo definitivo.

Perché Astrazeneca è sembrato il cavallo vincente

Più facile da trasportare e meno costoso. Due elementi di certo non secondari alla luce della difficile logistica a cui le dosi Pfizer ci hanno costretto in questi giorni. A differenza della formula americana, bisognosa dei suoi -70 gradi per conservarsi in sicurezza ed efficacia, il vaccino Astrazeneca può essere mantenuto alla temperatura di frigorifero per almeno 6 mesi. Un fattore che sulla carta renderebbe più facile sia il trasporto che lo stoccaggio a livello globale. Anche le dosi di Moderna saranno in grado di resistere in una temperatura di frigorifero, ma non più di 30 giorni. Sui costi poi il vantaggio è piuttosto evidente, si parla di cifre che vanno da 1,78 euro a 2,80 euro per dose contro i 12 euro del vaccino Pfizer e i 14,68 del vaccino Moderna, attualmente il più caro fra tutti.

Perché a oggi potrebbe non esserlo

Il vaccino AZD1222 è stato sviluppato congiuntamente dall’Università di Oxford e dalla sua società spin-out Vaccitech con la tecnica del vettore virale. È stato cioè usato un virus simile al SARS-Cov-2 ma non aggressivo, a cui sono state incollate le informazioni genetiche capaci di allertare la risposta immunitaria dell’organismo. A maggio 2020, l’azienda britannica AstraZeneca aveva ricevuto un ingente finanziamento dall’americana Biomedical Advanced Research and Development Authority (BARDA), di cui lo studio della fase 3 è stato parte integrante. Le risorse promettenti messe in campo hanno però più volte minato le aspettative riposte, nel corso di una sperimentazione senza dubbio complessa:

  • Il primo intoppo, risolto nel giro di pochi giorni, era avvenuto a causa di effetti collaterali ritenuti gravi su un volontario sottoposto a somministrazione. La sperimentazione era stata tempestivamente bloccata per poi essere ripresa.
  • Secondo intoppo, questo più rilevante sia in termini di rischi scientifici, sia in quelli legati ai tempi. L’annuncio del 90% di efficacia diffuso lo scorso 23 novembre è stato il risultato di un errore fortunato. Un numero esiguo di partecipanti alla sperimentazione avrebbe ricevuto per sbaglio un quantitativo di vaccino inferiore a quello previsto, risultandone inaspettatamente più protetti. Conseguenza: la comunità scientifica insieme all’Ema (Agenzia europea per i medicinali) ha voluto vederci più chiaro chiedendo all’azienda ulteriori dati e documenti, provocando così anche ritardi sulla tabella di marcia dell’intero piano vaccinale nazionale. Ora lo scenario di un compromesso con la stessa Ema è l’ulteriore evidenza di una complessità tutt’altro che risolta.
  • Terzo intoppo: il risultato migliore della formula (al 90%) è stato riscontrato esclusivamente tra under 55, garantendo un’efficacia nelle persone più anziane solo al 70%.

Motivo per il quale Ema starebbe pensando di autorizzare Astrazeneca solo nella somministrazione degli under 55. Meglio di niente, si direbbe in tempi difficili come quelli di una lotta a un virus sconosciuto. Non abbastanza, se l’arma vincente su cui si è programmato un intero piano strategico, si inceppa proprio nel momento più decisivo.

Il compromesso con Ema: la falla delle categorie escluse che minano il Piano

Una delle ultime notizie è quella di una soluzione trovata a metà strada tra Ema e Astrazeneca per riuscire a garantire il via libera anche alla formula di Oxford. L’ok dell’ente regolatore europeo potrebbe valere solo per gli under 55, una categoria su cui il candidato vaccino sembra essere efficace al 90%, a differenza degli over. Un escamotage che va incontro soltanto a metà al piano vaccinale italiano, ora bisognoso di certezze e poche clausole.

La condizione degli under 55 che Ema vorrebbe imporre non è certo un dettaglio su cui chiudere un occhio, piuttosto un fattore che andrebbe a compromettere la libertà di diffusione e quindi di copertura della popolazione ancora da vaccinare. Un problema che varrebbe in primis per gli anziani, ma non solo. Tra le categorie più fragili che in buona dose potrebbero rientrare nella fascia degli over 55, ci sarebbero difatti anche gli operatori sanitari.

L’80% di copertura. Quanto realistici i numeri di Speranza?

L’evoluzione epidemiologica del virus ci ha abituato ormai a parlare in termini di fasi. Anche sui vaccini il piano del governo riconosce 2 differenti step: il primo prevede 13 milioni di persone vaccinate con i primi concreti segni di un impatto epidemiologico sui numeri registrati. La seconda fase coinvolge 40 milioni di vaccinati che a quel punto, secondo il governo, permetterebbero il raggiungimento dell’immunità di gregge, con l’80% di copertura necessaria. Speranza precisa:

«Secondo il piano contrattuale nel primo trimestre noi dovremmo ricevere 8,7 milioni di dosi prodotte da Pfizer e 1,3 milioni prodotte da Moderna. Totale, 10 milioni di dosi, corrispondenti a 5 milioni di persone vaccinate, visto che con un richiamo servono due dosi a persona».

Per il primo trimestre di cui parla Speranza però erano attese anche 16 milioni di dosi di Astrazeneca, un arrivo che l’ottimismo del ministro da solo non riuscirà a garantire. Stesso discorso per le altre 24 milioni in programma nel secondo trimestre. Servirà un’autorizzazione piena, senza compromessi di categorie e di fasce d’età. Va da sé che anche la “clausola” degli under 55, prefigurata da Ema per il via libera, potrebbe mettere in difficoltà la tabella di marcia di Speranza sulla fase 1. Su un piano evidentemente numerico ma anche su quello dei contagi, escludendo dalla somministrazione le categorie ampiamente riconosciute come più a rischio, anziani e parte degli operatori sanitari.

I piani B silenziosi

Secondo un’indiscrezione riferita da Il Messaggero, il governo italiano si starebbe muovendo per l’acquisto di altre 18 milioni di dosi, probabilmente da Pfizer. Se confermata, la notizia di una strategia di acquisto già in corso alternativa ad Astrazeneca, suggerirebbe un clima ben diverso rispetto agli ottimismi sulla riuscita del piano vaccinale, diffusi negli ultimi giorni. Sull’idea di un piano B, il commissario all’emergenza Domenico Arcuri si era esposto settimane fa anche con la possibilità di richiedere ulteriori dosi a Moderna, il vaccino attualmente più costoso tra tutti quelli disponibili o in attesa di sperimentazione. Ora le voci sembrerebbero ripiegare sul più economico Pfizer.

Speranza invece si era espresso sulla non particolare esigenza di un piano alternativo per le dosi in ritardo. Giorni fa in merito alla questione Sanofi aveva detto: «Con le dosi che attendiamo da tutte le altre aziende, anche senza Sanofi, l’Italia dovrebbe avere comunque una copertura sufficiente». Anche la stessa Sanofi, al pari di Astrazeneca, sarebbe stata l’azienda su cui puntare di più per la quantità di dosi accordate. Ma in questo caso la speranza di un recupero è ormai andata persa, la fornitura non arriverà prima di giugno 2021.

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