Coronavirus, i numeri in chiaro. Sebastiani (Cnr): «No alla ripresa della scuola per il 7 gennaio: occorre attendere»

di Giulia Marchina

Per il matematico resta problematica anche la diminuzione dei tamponi, il cui numero è dimezzato in meno di due mesi

In Italia sono 11.831 i nuovi casi di positività al Coronavirus registrati nel bollettino odierno della Protezione Civile e del ministero della Salute. Il totale dei positivi individuati nel Paese, dall’inizio dell’emergenza sanitaria, raggiunge quota 2.141.201. I dati di oggi arrivano a fronte di 67.174 tamponi eseguiti, la metà dei 157.524 analizzati nelle 24 ore precedenti. Il totale dei test, al 2 gennaio, ammonta a 26.823.305. Sono 364 le persone decedute, mentre ieri i decessi registrati erano stati 462. «Siamo sotto i 500 decessi al giorno, significa che abbiamo scavallato il picco», spiega a Open il matematico del Cnr Giovanni Sebastiani. Il totale delle persone attualmente positive in tutta Italia è pari a 577.062: di questi, 22.948 sono ricoverati con sintomi.


Professore, qual è la situazione relativamente ai dati di oggi?


«Questa settimana siamo intorno al picco rispetto ai nuovi positivi sui nuovi casi testati e il valore di oggi (39% circa) è superiore a quello del picco della settimana scorsa (37%). Da notare che il valore di dieci giorni fa era pari al 22% circa. Spero che le misure restrittive del periodo Natale-Epifania mitigheranno questo aumento».

E invece per quanto riguarda i decessi?

«Il giorno di Natale avevo detto che eravamo davanti a un punto di svolta e una delle due possibilità si sta realizzando: quella dell’appiattimento della curva dei decessi legati a Covid-19. Il valore medio è sotto alle 500 vittime al giorno».

Lo stesso sta avvenendo con le terapie intensive?

«Per le terapie intensive noto da una decina di giorni oscillazioni casuali attorno a un valore costante, e in due degli ultimi tre giorni c’è stato un aumento. Se non ci sono effetti delle misure, il trend di aumento è certo. Il risultato è coerente con l’aumento dell’ultimo picco della curva teorica degli ingressi in terapia intensiva che interrompe il trend in discesa dei picchi delle settimane precedenti».

I dati di oggi, però, arrivano a fronte di un numero dimezzato di tamponi…

«Questa è una nota molto dolente, perché il numero medio giornaliero di tamponi è calato dai 215 mila di sei settimane fa ai 130 mila della settimana scorsa. Quando l’epidemia è in crescita, come in questo momento, questo numero deve aumentare e non diminuire».

Cosa ne pensa dell’idea di rivedere i criteri di assegnazione delle aree per le Regioni?

«Alcune regioni recentemente hanno chiesto la riduzione del numero degli indicatori utilizzati dall’algoritmo per decidere l’assegnazione delle zone. Gli indicatori riportati nel monitoraggio settimanale non sono 21 ma 17 di cui uno è opzionale. In realtà penso che averne molti è positivo, sia per studiare il sistema “da più punti di vista” sia per ridurre gli effetti dovuti alle imprecisioni di ciascuno. Chiedo una volta in più che siano resi noti i dettagli dell’algoritmo, per eseguire tutte le analisi e individuare i principali indicatori che hanno portato all’assegnazione di un dato colore a una regione. Le regioni potrebbero in questo modo adottare misure locali mirate».

E sembra permanere il problema del tracciamento, quando si parla di test rapidi.

«I test rapidi sono uno strumento efficace per limitare la diffusione dell’epidemia. Il problema sorge quando vogliamo monitorarla: chi è positivo al test rapido è sottoposto comunque al tampone molecolare, mentre chi è negativo no. La percentuale di positivi sui tamponi è di solito calcolata come rapporto tra il numero di tamponi molecolari positivi e il numero totale di tamponi molecolari.

In realtà dovremmo aggiungere al denominatore il numero di test rapidi negativi e al numeratore la stima del numero di falsi negativi al test rapido, che è proporzionale al numero di test rapidi negativi. Questo numero andrebbe registrato e reso pubblico, sia a livello nazionale ma soprattutto a livello regionale. Questo permetterebbe di effettuare un confronto equo tra regioni».

A breve la scuola ripartirà. Lei ha più volte sostenuto la teoria secondo cui uno dei fattori scatenanti della seconda ondata fosse proprio la ripresa delle lezioni.

«Sono molto preoccupato perché siamo in una fase di aumento del contagio e i possibili e sperati effetti dei provvedimenti adottati prima di Natale potranno essere visibili chiaramente solo a partire dalla seconda settimana di gennaio, mentre il 7 è prevista la riapertura delle scuole. Alcuni degli studi finora pubblicati mostrano che l’attività scolastica nella fascia d’età 11-19 anni, ossia studenti delle scuole medie e superiori, contribuisce in modo significativo alla diffusione di questa epidemia.

Questo non è vero per età inferiori agli 11 anni, ma anche in questo caso bisogna usare cautela alla luce di alcune osservazioni relative alla nuova variante Covid. Sulla base di questi fatti, suggerisco fortemente di aspettare di vedere qual è la situazione epidemica nella seconda metà di gennaio prima di riaprire l’attività didattica in presenza, anche se effettuata in misura ridotta. Non dimentichiamo inoltre che a gennaio ci aspettiamo una maggiore circolazione sia del Coronavirus che dell’influenza».

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