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Esiste il rischio che i vaccini anti-Covid facciano contrarre forme più gravi della malattia? No!

01 Febbraio 2021 - 12:47 Juanne Pili
Analizziamo una nuova fonte No vax. Al solito si linkano studi a caso, senza nemmeno leggerli

Ci avete segnalato un post che circola in rete, firmato da un certo avvocato Scifo, dove si linka uno studio dalla libreria online di PubMed, su presunti pericoli riguardo ai vaccini contro il nuovo Coronavirus. Ricordiamo che si tratta appunto di un database che pubblica – integralmente o in parte – articoli scientifici pubblicati da terze parti, non di una rivista vera e propria. Non si esegue alcuna verifica dei contenuti.

L’autore del post elenca tre presunte evidenze che emergerebbero dalla ricerca:

«1. i vaccinati rischiano di contrarre la malattia COVID in modo PEGGIORE rispetto ai non vaccinati; 2. il vaccino potrebbe attivare malattie che non sapevamo di avere; 3. la gente NON E’ INFORMATA su questi rischi prima di fare il vaccino».

Il post dell’avvocato Scifo.

È bene notare che nel contesto della letteratura scientifica di qualità, non esistono prove di quanto si afferma nel post. Le fasi di sperimentazione clinica servono proprio ad accertare queste eventualità. Queste coinvolgono man mano migliaia di volontari, divisi in gruppi di controllo, con la somministrazione in doppio cieco di placebo o altri farmaci. 

Per approfondire suggeriamo la lettura di un nostro articolo precedente. Abbiamo redatto anche una apposita Guida ai vaccini anti-Covid. Potete anche recuperare tutti gli aggiornamenti sui vaccini più discussi, in particolare quelli di Pfizer, Moderna e AstraZeneca

Per chi ha fretta:

  • Non è dimostrato che i vaccini anti-Covid approvati dai principali enti sanitari per la somministrazione aumentino il rischio di contrarre forme gravi della malattia o di «attivarne» altre (qualsiasi cosa significhi);
  • L’unica ragione per cui «la gente» potrebbe non essere informata di certi presunti eventi avversi è che non sono stati nemmeno segnalati;
  • Le case farmaceutiche infatti, per tutelarsi, riportano nelle specifiche dei farmaci qualsiasi sintomo correlato, anche se non è stato accertato;
  • In seconda analisi, si tende a criticare quei media che fanno eco a eventi avversi non dimostrati, anche se le eccezioni in rete e nella stampa non mancano;
  • La ricerca scientifica linkata nel post in questione non presenta alcuna evidenza diretta degli eventi avversi citati.

Analisi

Facciamo subito presente che l’articolo in questione risulta pubblico dall’ottobre 2020 (si suppone dopo qualche mese in cui degli esperti lo hanno revisionato su richiesta della rivista, The International Journal of Clinical Practice. Pfizer annuncia i primi risultati dell’ultima fase di sperimentazione il 9 novembre. Un comunicato simile da parte di Moderna lo troviamo online il 16 novembre. AstraZeneca ottiene l’ottimizzazione dei tempi di approvazione (la rolling review) proprio nel mese di ottobre, mentre i primi dati della sperimentazione clinica più avanzata, risalgono a dicembre.

Perché una ricerca condotta mesi prima di avere dati certi sulla sicurezza ed efficacia dei vaccini, dovrebbe dimostrarne alcuni eventi avversi? Effettivamente i due ricercatori che firmano il paper, Timothy Cardozo e Ronald Veazey, analizzerebbero la letteratura disponibile sui protocolli di sperimentazione dei vaccini anti-Covid, per vedere se i volontari reclutati nelle sperimentazioni sono sufficientemente informati del pericolo che si verifichi il fenomeno ADE (Antibody Dependent Enhancement).

«Il rischio specifico e significativo COVID ‐ 19 di ADE avrebbe dovuto essere e dovrebbe essere divulgato in modo visibile e indipendente ai soggetti di ricerca attualmente in sperimentazione sui vaccini, nonché a quelli reclutati per gli studi e ai futuri pazienti dopo l’approvazione del vaccino, al fine di soddisfare il medico standard etico di comprensione del paziente per il consenso informato […] Il rischio specifico e significativo COVID ‐ 19 di ADE avrebbe dovuto essere e dovrebbe essere divulgato in modo visibile e indipendente ai soggetti di ricerca attualmente in sperimentazione sui vaccini, nonché a quelli reclutati per gli studi e ai futuri pazienti dopo l’approvazione del vaccino, al fine di soddisfare il medico standard etico di comprensione del paziente per il consenso informato».

Del fenomeno ADE si tiene conto eccome. Si tratta del rischio che il virus prenda di mira anche alcune cellule del sistema immunitario, infettandole a loro volta. Nulla di questo è emerso in maniera significativa nei precedenti studi pre-clinici, tanto meno nelle fasi cliniche della sperimentazione.

Senza poter riportare alcuna prova che il rischio ADE si concretizzasse davvero nei vaccini di ultima generazione, Cardozo e Veazey possono solo presentare un dato surrogato: a loro risulterebbe che medici e volontari non fossero sufficientemente informati a riguardo. Il fatto che, come spiegato dagli autori, questo fenomeno non sia solo teorico, lo rende probabile, ma non necessariamente presente in tutti i vaccini.

Anche la possibilità di una «interferenza virale» come intesa per esempio dai No vax, non trova riscontro nelle sperimentazioni dei vaccini anti-Covid attualmente somministrati. Ovvero, non ci sono prove che questi farmaci attivino altri virus o che suscitino forme più gravi di Covid-19. I veri limiti stanno nel fatto che potrebbero non proteggere da forme lievi o dal contagiare altre persone.

Del resto gli stessi ricercatori devono riportare che non sussistono prove sui vaccini nelle fasi più avanzate della sperimentazione, nel periodo in cui la loro ricerca era in corso:

«I dati attuali sui vaccini COVID‐19 sono limitati, ma finora non rivelano prove di ADE della malattia. Gli studi sui primati non umani del vaccino mRNA‐1273 di Moderna hanno mostrato un’eccellente protezione, senza immunopatologia rilevabile».

All’epoca gli autori avevano informazioni preliminari solo sulla mutazione dominante «D614G». Suggeriscono quindi che possa compromettere la capacità dei vaccini di riconoscere il Coronavirus. Sappiamo però che tale mutazione non ha dimostrato niente di tutto questo. Del resto non abbiamo evidenze rilevanti nemmeno sulle nuove varianti Covid.

«Tuttavia, tutti gli studi preclinici fino ad oggi sono stati eseguiti con il Wuhan o ceppi strettamente correlati del virus, mentre un virus mutante D614G è ora la forma circolante più diffusa. Diverse osservazioni suggeriscono che questa forma alternativa possa essere antigenicamente distinta dal ceppo derivato da Wuhan, non tanto nella composizione, ma nella conformazione del picco virale e nell’esposizione degli epitopi di neutralizzazione».

Conclusioni: studio datato con dati surrogati

Il paper è di fatto una inchiesta sul consenso informato, che esibisce dati surrogati all’ipotesi che i vaccini anti-Covid possano causare certi eventi avversi, come il fenomeno ADE. Gli autori dello studio non potevano avere la sfera di cristallo, prevedendo cosa sarebbe emerso sui vaccini anti-Covid nell’ultima fase di sperimentazione.

I ricercatori facendo riferimento a dati preliminari riguardo la prima fase clinica del vaccino di Moderna, ammettono che non emergono evidenze degli eventi avversi citati, nemmeno sui primati non umani della fase pre-clinica. Si accenna anche al pericolo che alcune mutazioni mettano in difficoltà i vaccini, basandosi solo sulle informazioni a disposizione riguardanti la mutazione dominante D614G.

Gli autori non esibiscono dati direttamente acquisiti che dimostrino alcun evento avverso dei vaccini anti-Covid, né pretendono di averlo fatto.

Open.online is working with the CoronaVirusFacts/DatosCoronaVirus Alliance, a coalition of more than 100 fact-checkers who are fighting misinformation related to the COVID-19 pandemic. Learn more about the alliance here (in English).

Foto di copertina: whitesession | Vaccini anti-Covid.

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