L’inviato della Ue Borrell a Mosca per il caso Navalny. «Non aspettiamoci nuove sanzioni» – L’intervista

L’ex presidente della commissione Ue sui diritti umani Antonio Panzeri spiega perché è meglio avere aspettative basse sul viaggio dell’alto rappresentante per l’Unione europea a Mosca

L’alto rappresentante per l’Unione europea, Josep Borrell è arrivato a Mosca per due giorni di colloqui con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Nonostante le dichiarazioni di facciata – «Vorremmo sbloccare il dialogo con la Ue», ha dichiarato stamane il portavoce di Putin -, il clima è teso. Il 2 febbraio l’oppositore Alexei Navalny, ritenuto colpevole di appropriazione indebita nel 2014 in un caso che l’Unione europea ha definito di matrice politica, è stato condannato a tre anni e mezzo (ridotti a due anni e otto mesi perché aveva già scontato 10 mesi agli arresti domiciliari) per non essersi presentato in una stazione di polizia mentre si stava riprendendo da un avvelenamento. In Europa e negli Stati Uniti sono piovute condanne e reazioni indignate.


Lo stesso Borrell ha sottolineato in un primo tweet che «la condanna di Alexei Navalny è contraria agli impegni internazionali della Russia in materia di Stato di diritto e libertà fondamentali» e ha annunciato che ne parlerà appunto con Lavrov durante la sua visita e chiederà che venga rilasciato. Tra gli alleati russi di Navalny – come Leonid Volkov, accusato dal Cremlino di aver reclutato illegalmente minori per infoltire le fila degli oppositori di Putin – c’è invece chi invoca nuove sanzioni contro la Russia. Prima di tornare a Mosca, lo stesso Navalny aveva inviato una lettera al neo presidente americano Joe Biden in cui chiedeva di sanzionare 35 persone vicine a Putin, tra cui il patron del Chelsea Roman Abramovich.


L’Ue divisa sulle sanzioni. Francia e Germania reticenti

Una parte dell’Europa sembra essere intenzionata ad assecondare la richiesta di Navalny. «Nell’Unione europea già a ottobre, a causa dell’avvelenamento, abbiamo concordato delle sanzioni contro Mosca e altre sanzioni non sono escluse», ha dichiarato il portavoce di Angela Merkel Steffen Seibert. Anche ad agosto, quando erano state riscontrate tracce di Novichok, una potente neurotossina sviluppata in Unione Sovietica ai tempi della guerra fredda, negli indumenti di Navalny, Manfred Weber, il leader tedesco del Partito popolare europeo non aveva usato mezzi termini: «L’Ue deve colpire dove danneggia davvero il sistema Putin – ovvero il portafoglio». Un portavoce dell’Alto rappresentante, però, al telefono smorza le aspettative. Nessuna decisione vincolante sulle sanzioni potrà essere presa prima del prossimo incontro tra i leader europei, che avverrà a marzo. Come si legge nella nota del 3 febbraio, se ne riparlerà nuovamente alla prossima riunione del Consiglio degli Affari Esteri.

«Non credo che l’incontro potrà determinare qualcosa dal punto di vista delle sanzioni – commenta Antonio Panzeri, europarlamentare dal 2004 al 2019 ed ex presidente della commissione per il diritti umani del Parlamento Europeo – ma deve essere netto il messaggio che l’Unione Europea manda al Cremlino». Al suo ritorno Borrell dovrà informare, oltre alla Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo, e in base alle risposte che riceverà verranno predisposte tutte le iniziative per far cessare questo stato di cose. Cosa succederà? «Penso che, nel momento in cui sarà possibile, si tratterà di sanzioni di carattere commerciale che dovranno essere accompagnate da un’assidua campagna di denuncia», precisa Panzeri, oggi presidente della Ong Fight against impunity.

Sempre che tutti i Paesi membri siano d’accordo. Le prime divisioni sono emerse mentre gli ambasciatori europei discutevano il via libera alla dichiarazione di condanna comunicata da Borrell. Dichiarazione nella quale, come ha sottolineato su Twitter l’ex presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, le parole «sanzioni» o «misure restrittive» sono colpevolmente assenti. Alcuni Paesi, come la Francia e la Germania, si sarebbero mostrati cauti nel rivolgersi a Mosca. In parte potrebbe pesare anche la questione dei vaccini, soprattutto adesso che quello russo, Sputnik V, si è rivelato essere efficace al 91,6%. E poi ci sono grandi interessi economici in ballo, come il Nord Stream, gasdotto che trasporta direttamente il gas proveniente dalla Russia in Europa attraverso il Mar Baltico. Un progetto molto caro alla Germania, ma che negli ultimi giorni la Francia si era detta favorevole a sospendere.

«Ultimamente Macron ha assunto un atteggiamento più duro nei confronti del Cremlino anche per ragioni interne, perché si avvicinano le elezioni – commenta Panzeri -. Pesano molto, poi, i nuovi rapporti con l’amministrazione americana. Le prime telefonate Biden le ha fatte con Johnson, Merkel e Macron. Biden ha un problema in più rispetto a Trump: deve riaffermare anche il concetto del rispetto dei diritti». Non a caso, il 3 febbraio in serata è arrivata anche la notizia di un colloquio tra Biden e gli alleati europei sulla Russia e sul caso Navalny, come ha riferito la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki.

Le sanzioni servono?

Ormai le sanzioni europee nei confronti della Russia sono storia vecchia. A fine 2020 l’Ue ha prolungato per altri sei mesi le sanzioni introdotte nel 2014 in seguito all’intervento russo in Ucraina, sanzioni che colpiscono il settore energetico, finanziario e bellico. Sono anche stati bloccati i fondi a oltre 140 persone coinvolte nella crisi ucraina, a cui è stato impedito l’ingresso in Ue. A tutto ciò la Russia ha risposto con le proprie contro-sanzioni. Ma questa strategia serve a qualcosa? Panzeri pensa di sì.

«Borrell ha introdotto il criterio delle sanzioni legandolo alla politica estera europea da non molto tempo. Credo che le sanzioni debbano essere più mirate per colpire per evitare di colpire la popolazione – dichiara l’ex eurodeputato -. Allo scetticismo, che comprende, rispondo con una domanda: se non avessimo nulla, ma solo un parziale diritto di tribuna nell’Unione europea, che cosa cambierebbe? Le parole di condanna entrerebbero da un orecchio per poi uscire dall’altro, come il caso dell’Egitto testimonia».

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