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Coronavirus. Fonti controverse e grafici male interpretati: così un video che promette di «analizzare i fatti» distorce la realtà

06 Febbraio 2021 - 08:44 Juanne Pili
Il filmato è circolato molto, anche grazie al sito Byoblu. Si propone di approfondire i dati sulla pandemia in Italia, ma ignora fattori importanti. Arrivando a travisare premesse e conclusioni

Ci avete segnalato un video intitolato Covid-19: analisi dei fatti, a cui l’autore allega la versione in Pdf. Questa analisi ha ottenuto notevole diffusione anche grazie al sito Byoblu, particolarmente seguito dagli ambienti complottistici. L’autore inizia da premesse sostanzialmente veritiere, anche se talvolta cita fonti poco attendibili. È vero che diversi studi suggeriscono la presenza precoce del nuovo Coronavirus in Italia prima del focolaio di Codogno. Ci sono indizi databili nel dicembre 2019, mediante l’analisi delle acque reflue, e si dibatte sulle cosiddette «polmoniti anomale» a gennaio.

Nella seconda parte dell’analisi vengono esaminati i grafici dell’andamento dei casi di Covid-19 in Italia. Qui vengono fatte almeno due domande sbagliate: come mai se il virus era già presente l’epidemia esplode diversi mesi dopo? Possiamo distinguere tra morti per Covid e morti con la Covid?

Il primo quesito, come vedremo, ignora il modo in cui questo Coronavirus si diffonde nel tempo. Tali informazioni non sono nemmeno più appannaggio dei soli esperti. Infine, è un falso mito – anch’esso già smontato – ritenere che i morti Covid siano frutto di fraintendimento del ruolo della malattia con altre patologie pregresse. Nel presente articolo spiegheremo tutto questo in dettaglio, con alcune indicazioni su come vagliare le fonti a disposizione, contestualizzandole.

Per chi ha fretta

  • Come avremo modo di dimostrare l’autore del video che si propone di analizzare i dati sulla pandemia in Italia si basa in parte sulla cattiva interpretazione dei grafici, ignorando fattori importanti;
  • Diverse premesse e conclusioni sono invece distorte da fonti poco attendibili;
  • È plausibile che il nuovo Coronavirus sia emerso diversi mesi prima del dicembre 2019, proprio perché essendo la sua diffusione esponenziale inizialmente i casi sono molto pochi, solo successivamente cominciano a diventare rilevanti;
  • Il discorso delle fonti controverse riguarda in particolare quelle sulla attendibilità dei tamponi per i test diagnostici, dove si allude anche a un mancato effettivo isolamento del virus.

Analisi

L’autore titola il documento «analisi dei fatti», evitando il termine «fact checking». Questa tecnica dovrebbe essere la prassi del giornalismo. Deve essere eseguita infatti restando scevri da pregiudizi e contestualizzando quanto si crede di aver capito, consultando sempre esperti di settore. Per esempio, non si dovrebbe mai fare cherry picking, ovvero quella pratica di collezionare qualsiasi fonte avvalori le proprie tesi, senza verificarne la qualità.

«Esistono diversi studi che confermano la presenza in Italia del virus Sars-Cov-2 sin dal 2019 – continua l’autore – Una ricerca sugli anticorpi dell’Istituto tumori di Milano e dell’Università di Siena, ha individuato la presenza del virus sin da settembre 2019 in 13 regioni italiane, con una percentuale di positività dei campioni superiore al 10%».

Il paper dell’Istituto Tumori di Milano, pubblicato a seguito di una peer review eseguita nell’arco di 24 ore non può dimostrare la presenza di SARS-CoV-2 in Italia dal settembre 2019. Trova solo anticorpi neutralizzanti, utilizzando un test non standardizzato e ignorando il fenomeno della cross-reattività. Possibilità accertata poco prima dello studio da un report di Science.

Cos’è la cross-reattività? I ricercatori di Science riferiscono di anticorpi neutralizzanti il nuovo Coronavirus, anche in campioni risalenti al 2011, quando non poteva esservi traccia del virus, al di là di ogni ragionevole dubbio. I valori riportati dai ricercatori dell’Istituto Tumori combaciano perfettamente con la possibilità che lo strumento utilizzato abbia emesso dati errati e le percentuali dei casi corrispondono a quanto ci aspettiamo con la cross-reattività, ovvero la possibilità che casualmente degli anticorpi sviluppati per altri Coronavirus comuni, risultino reattivi anche per il SARS-CoV-2. Quindi lo studio citato non è una prova.

Come si interpretano i grafici

Fino all’ottavo paragrafo del documento l’autore si lancia in una analisi dei grafici italiani e mondiali, sulla pandemia e sulla mortalità precedentemente all’emergenza sanitaria. Abbiamo chiesto al fisico Enrico D’Urso, con cui abbiamo analizzato i dati pandemici – facendo le pulci al precedente Governo Conte II – un parere sull’analisi dell’autore.

«Inizia dicendo che abbiamo trovato evidenze della presenza del virus a novembre e non si capisce come mai i primi focolai sono emersi mesi dopo – continua D’Urso – Intanto la diffusione del Coronavirus è esponenziale, poi devi tener conto di tutte le altre caratteristiche. Perché i morti hanno cominciato a discostarsi dalla media tre mesi dopo? Non sai quale dei cosiddetti casi zero abbia dato origine al filone che ha portato all’esplosone dell’epidemia italiana e quali si siano esistiti naturalmente, per esempio a gennaio. Dal momento che la diffusione è esponenziale, inizialmente risulta lenta, i casi sono molto pochi, poi sembrano emergere improvvisamente in grande quantità».

Si è parlato anche dei casi di polmoniti anomale nel gennaio 2020, prima che avessimo isolato SARS-CoV-2. Non sapevamo cosa cercare. «Il virus non lo stavamo proprio cercando – prosegue il fisico – Come fa vedere anche l’autore, nell’analisi dei casi e dei decessi dobbiamo tener conto delle normali fluttuazioni dei dati. Se rientrano in quel limite di valori attesi, non hai ragione di preoccuparti. Gli eccessi alla norma devono essere marcati e non sovrapponibili a quelli di altri casi usati come paragone, per evidenziare qualcosa di insolito».

Continua D’Urso: «L’autore prosegue notando che ad aprile ci fossero 100 mila casi positivi, molti di più che a inizio pandemia, quindi non sarebbe chiaro come mai tutte le morti stessero calando. Inizialmente facevamo il tampone, lo controllavamo e monitoravamo solamente i casi gravi. Dopo, quando avevamo a disposizione più macchinari per l’analisi, abbiamo fatto molti più test, quindi non abbiamo conteggiato solo i casi gravi, ma anche tutti i congiunti, parenti e amici che erano entrati in contatto col positivo ospedalizzato».

Dalle analisi sierologiche successive, dice D’Urso, «abbiamo visto che i casi reali non erano qualche centinaio di migliaia, ma ci aggiravamo attorno ai due milioni. Nell’analisi dei positivi sui campioni effettuati inizialmente vedevamo che i positivi erano anche il 40%, dopo coi tamponi a tappeto siamo scesi a percentuali ben più basse, tra il 2 e il 3%, o anche meno nella stagione estiva. Per esempio, inizialmente gli asintomatici saltavano fuori solamente se erano personaggi noti».

Andando a vedere dati più affidabili come quelli sui ricoverati nelle terapie intensive, dice il fisico, «raggiungiamo i valori di aprile, ma i casi totali risultavano molti di più, perché siamo diventati più efficienti nel trovarli. L’autore si chiede anche come mai un’epidemia così forte l’abbiamo avuta solamente in Lombardia».

Qui entriamo in un altro aspetto della pandemia, quello dell’andamento «stocastico»: grandi metropoli possono aver registrato focolai e altre località invece no. «In tutto questo dobbiamo tener conto di asintomatici e grandi diffusori, e le situazioni che rendono possibile la nascita di focolai epidemici – spiega D’Urso – Anche in Cina inizialmente il focolaio era concentrato nella regione di Hubei. I primi casi italiani sono di Codogno, cittadina misconosciuta prima di febbraio 2020, e anche in questo c’è molta casualità».

«Le epidemie hanno sempre un punto di origine», dice D’Urso. «Quindi vediamo che in Lombardia c’è subito il picco, mentre nelle altre regioni il picco sopraggiunge successivamente ed in modo meno marcato, grazie alle misure di contenimento già adottate. L’epidemia deve avere il tempo di distribuirsi nel resto del territorio. Devi vedere tanti fattori, come avvengono le relazioni sociali, gli spostamenti, la densità di persone nei mezzi e luoghi pubblici, eccetera».

«Tutti fattori che nell’analisi dell’autore non vengono presi minimamente in considerazione. fra le varie cause che spiegano minori incidenze della pandemia in Africa c’è infatti una minore interconnessione col resto del mondo, oltre che una popolazione mediamente giovane che rende la pandemia meno visibile, avendo i suoi effetti più deleteri soprattutto negli anziani».

Uno sguardo alle fonti: tre errori da evitare

L’autore suggerisce che non sia possibile distinguere chi è morto per Covid-19 da chi è morto con la malattia:

«Stabilire la morte PER Covid-19, in base alla positività al test, è certamente una pratica deprecabile».

Nel sostenere queste affermazioni presenta le seguenti fonti. In tutto l’analisi dell’autore ne presenta diverse altre. A noi interessano tre in particolare, perché – senza esprimere giudizi diretti sull’autore – ci aiutano a trasmettere ai lettori quali sono i tre errori che si dovrebbe evitare di commettere, quando vogliamo analizzare grafici e dinamiche estremamente complicate:

Gli articoli dei quotidiani tendono spesso a eccessive semplificazioni e/o non presentano fonti. La prima fonte è l’articolo di una testata locale, dove citando Giuliano Rizzardini, infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, si sostiene che Adriano Trevisan, il primo morto per Covid-19 di Vo Euganeo, «soffriva di gravi patologie pregresse, e dunque la morte potrebbe non essere dovuta al virus». A una prima analisi sembrano affermazioni ingenue. Sappiamo benissimo che una parte dei pazienti più a rischio sono proprio quelli con patologie pregresse. Forse è comprensibile, nell’aprile 2020 questi aspetti non erano ancora del tutto chiari. Ecco perché sarebbe buona norma consultare fonti più aggiornate, per fornire analisi minimamente accurate di fenomeni complessi.

I post di associazioni di nicchia potrebbero essere affetti da bias e rifarsi a esperti scarsamente informati. La seconda fonte è il post del blog denominato Patto vera scienza, che sembra fare il verso all’associazione di scienziati Patto per la scienza (Pts). Vi troviamo affermazioni poco precise:

«[Il] cosiddetto FALSO virus, mai sequenziato per intero, falsificando e condannando alla positività (inesistente) i cosiddetti asintomatici (NON malati), infatti qualsiasi medico coscienzioso sa benissimo che un soggetto per essere considerato malato di una qualsiasi influenza o malattia, deve presentare dei sintomi ben precisi».

Una fonte del genere non può essere considerata attendibile, se non per mero cherry picking. E no, non è questione di bon ton, ma di rigore nell’analisi dei fatti. Si parla della presunta inaffidabilità dei tamponi in modo poco accurato, inoltre tra le fonti citate troviamo Stefano Scoglio, già noto per le sue affermazioni controverse sulla Covid-19 e il SARS-CoV-2.

Precisiamo per completezza, che il test RT-PCR standard – se eseguito secondo le specifiche – è il più affidabile in assoluto, dovendo trovare la precisa traccia genetica univoca del SARS-CoV-2. Altri test come quelli rapidi, devono sempre prevedere un ultimo riscontro definitivo con l’analisi PCR e servono a ottimizzare la gestione dei potenziali malati.

Questi possono essere anche asintomatici, ovvero non presentare sintomi evidenti in una normale visita clinica, mentre circa il 50% presenta evidenze dell’infezione polmonare se vengono eseguite analisi più accurate. Se volete approfondire, con informazioni raccolte da fonti di qualità e sotto la consultazione di esperti affidabili, potete cominciare dalla nostra Guida ai test diagnostici, o consultare gli articoli del progetto Open Fact-checking sul tema.

Gli articoli scientifici devono essere stati revisionati in riviste non predatorie, e i loro dati devono corroborarsi con altre recenti ricerche, chi li cita dovrebbe tener conto di cosa rende concordi gli esperti e cosa è davvero oggetto di dibattito. L’ultima fonte è un report pubblicato su Zenodo dove si evincerebbero delle falle nei metodi standard con cui viene eseguita l’analisi RT-PCR. Il portale è già noto per ospitare documenti pre-print, ovvero senza alcuna revisione scientifica, anche piuttosto discutibili, come lo Yan Report.

Conclusioni

Dalla nostra analisi, quando vogliamo trovare fonti che sembrano dimostrare punti critici della cosiddetta versione ufficiale, scopriamo che si tratta di articoli di testate, blog di associazioni e studi non sottoposti a revisione da parte di esperti (la già citata peer review). Il fatto che gli autori del paper apparso su Zenodo chiamino il proprio lavoro «external peer review» non fa eccezione.

Sono tante le affermazioni e le fonti collezionate dal documento. Alcune sono autorevoli, ma non contestualizzate nella maniera corretta, altre di dubbia attendibilità. Abbiamo visto inoltre che l’analisi dei grafici omette di tanti aspetti che non possono essere ignorati, rendendo i dubbi suggeriti dall’autore privi di fondamento.

In generale, in rete si trovano tanti articoli e video, che restando a livello superficiale ci fanno sembrare certe tesi infondate analisi sconvolgenti, spesso nascoste con la formula retorica del «io dubito». Dubitare va benissimo, purché non faccia perdere tempo inutilmente, dando la caccia ai mulini a vento. Non appena lo stesso lettore volesse porsi sul serio delle domande, ragionando davvero con la propria testa, scoprirebbe che molti di questi «dubbi» sono destinati a dissolversi davanti ai fatti.

Open.online is working with the CoronaVirusFacts/DatosCoronaVirus Alliance, a coalition of more than 100 fact-checkers who are fighting misinformation related to the COVID-19 pandemic. Learn more about the alliance here (in English).

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