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Due settimane alla presentazione del Recovery Plan italiano: la tabella di marcia per la vera missione di Mario Draghi

14 Aprile 2021 - 07:57 Federico Bosco
I ministri che si occuperanno di attuare tutto il piano dovrebbero essere quelli coinvolti direttamente nelle sei missioni elencate nei contenuti del Pnrr. Tra questi, Vittorio Colao per la digitalizzazione, Roberto Cingolani per la transizione ecologica, Maria Cristina Messa per istruzione e ricerca

La necessità che più di ogni altra ha convinto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a chiamare in causa l’ex governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, è la stesura del Recovery Plan italiano, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) necessario per utilizzare i 191 miliardi di euro stanziati per l’Italia con il Next Generation EU (Ngeu). Sul fondo per la ripresa post-pandemia sono riposte tutte le speranze di rilancio e modernizzazione dell’economia italiana, ma il successo del Recovery Fund non è una certezza, nemmeno a fronte di un programma approvato dalle istituzioni dell’Unione europea: se nei prossimi cinque anni i governi italiani non riusciranno a rispettare gli obiettivi concordati nel Pnrr, l’Italia riceverà meno fondi del previsto, e i progetti non saranno realizzati.

Ormai mancano solo due settimane per scoprire i dettagli del Pnrr, entro il 30 aprile tutti gli Stati membri dovranno presentare i Recovery Plan alla Commissione e al Consiglio europeo, che avranno fino a tre mesi di tempo per valutarli e approvarli. Dopodiché, se non ci saranno altri intoppi – uno scenario tutt’altro che remoto – la prima tranche, pari al 13% della quota di Ngeu destinata a ogni Paese, sarà sbloccata presumibilmente entro la fine dell’estate. Per l’economia italiana si tratta di circa 25 miliardi di euro.

La performance di utilizzo verrà valutata in base agli obiettivi intermedi

Nel 2021 non sono previsti altri fondi, le successive erogazioni arriveranno una volta ogni sei mesi, una ogni semestre fino al 2026. Di volta in volta, la performance di utilizzo verrà valutata in base agli obiettivi intermedi (milestone), con il rischio costante di incagliarsi a causa di progetti falliti. L’approvazione di ogni trasferimento semestrale potrebbe diventare una delle battaglie ricorrenti dei prossimi anni. Inoltre, se non dovessero esserci progressi per 18 mesi consecutivi (tre semestri), la Commissione potrebbe arrivare alla sospensione del programma, e alla cessazione dei pagamenti.

Soprattutto nel caso dell’Italia, un Paese cronicamente afflitto dalla scarsa performance nell’utilizzo dei fondi comunitari, c’è preoccupazione per la capacità di assorbimento di una quantità di risorse senza precedenti. Per i governi italiani utilizzare fino in fondo questi 191 miliardi di euro è una sfida senza precedenti. Stavolta non si tratta solo di sprecare denaro dei contribuenti italiani con opere incompiute, o di non attingere alle risorse comunitarie. Stavolta si farebbe fallire il programma che realizza una prima forma di mutualizzazione del debito, il più ambizioso messo in campo dall’Ue da quando esiste. Ecco perché è stato chiamato Draghi. 

Draghi sta lavorando con il cerchio più ristretto di ministri tecnici (che ha scelto personalmente e che non dipendono dai partiti)

Nonostante la promessa di coinvolgere «intensamente» il Parlamento, Draghi si sta occupando della chiusura del Pnrr solo con il governo, in particolare con il cerchio più ristretto di ministri tecnici che ha scelto personalmente e che non dipendono dai partiti. Un lavoro discreto e riservato, sono pochissime le informazioni che arrivano all’opinione pubblica. Per farsi un’idea, ieri il premier spagnolo Pedro Sanchez ha iniziato a presentare il Recovery Plan alle camere (e al Paese) dopo un dibattito che va avanti da mesi. Draghi invece porterà in Parlamento le 700 pagine del Pnrr solo il 26 e 27 aprile. Tre giorni prima dell’invio a Bruxelles.

Ma il nodo più spinoso è la governance del Pnrr, la struttura di controllo che ne accompagnerà l’attuazione lungo tutto il periodo 2021-2026. Una controversia che è costata il posto all’ex-premier Giuseppe Conte, che voleva accentrare il controllo su Palazzo Chigi, e sulla sua persona. Draghi ha preferito trasferire il controllo a una struttura che fa riferimento al Ministero dell’Economia (Mef), dicastero affidato a un suo uomo di fiducia, Daniele Franco. Per l’ex banchiere centrale quello che conta è dare a una struttura per sua natura più tecnica rispetto al resto del governo il ruolo di interlocutore privilegiato dei funzionari della Commissione che ogni sei mesi chiederanno conto dell’avanzamento degli obiettivi intermedi.

I dicasteri che si occuperanno di attuare tutto il piano

I ministri che si occuperanno di attuare tutto il piano dovrebbero essere quelli coinvolti direttamente nelle sei missioni elencate nei contenuti del Pnrr: Vittorio Colao per la Digitalizzazione, innovazione, competitività; Roberto Cingolani per la Rivoluzione verde e transizione ecologica; Enrico Giovannini per le Infrastrutture e la mobilità sostenibile; Maria Cristina Messa per Istruzione e ricerca; Mara Carfagna per la Inclusione e coesione territoriale; Roberto Speranza per la Salute.

Di questi nomi, Franco, Colao, Cingolani, Giovannini e Messa sono tutti ministri tecnici scelti da Draghi che potrebbero restare al loro posto anche nei governi successivi, e agire da “guardiani” degli obiettivi del Pnrr anche dopo le elezioni del 2023. Tuttavia, la vera domanda che si fanno tutti è cosa farà Draghi dopo la scadenza del suo mandato nel 2023, ma la risposta a questa domanda potrebbe arrivare molto prima.

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